Dimissioni volontarie, secondo i dati dell'Ispettorato del lavoro riguardano soprattutto le madri, e sempre di più i padri. Ma se le donne si dimettono per curare i figli, gli uomini lo fanno per cambiare lavoro

Madri e padri
che si dimettono

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Foto: Unsplash/ Tim Gouw

Il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità all’articolo 55 prevede che la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio. A questa convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro. Si vuole cioè evitare che – dietro alla richiesta di dimissioni presentata dal lavoratore/genitore – si nascondano indebite pressioni da parte del datore di lavoro (le cosiddette dimissioni in bianco, ndr) o un vero e proprio licenziamento, vietato dalla legge durante la gravidanza e fino al compimento del primo anno del bambino. La tutela è estesa al padre lavoratore che abbia usufruito del congedo di paternità o del congedo parentale.

Secondo l’ultima Relazione annuale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, le dimissioni sottoposte a convalida nel 2018 sono state 49.451, in forte crescita (+ 24%) rispetto al 2017. Sempre nel 2018 sono nati 449 mila bambini: 11 dimissioni ogni 100 nascite, mentre l’anno precedente il rapporto si fermava a 8,7.

 

Nascite

Convalide

Dimissioni per 100 nascite

2018

449 mila

49.451

11,0

2017

458 mila

39.738

8,7

Primo elemento di criticità, il notevole aumento delle convalide: +24% del numero totale rispetto al 2017. Secondo elemento da considerare, abbastanza interessante, un andamento fortemente differenziato per uomini e donne. Per i padri l’incremento è ben più consistente (+49%) di quello registrato per le madri (+17,3%).

Come numero assoluto, ovviamente, prevalgono le cittadine/i cittadini italiani, che costituiscono l’83% del totale. Le lavoratrici/i lavoratori extracomunitari che hanno richiesto e ottenuto la convalida delle dimissioni sono  l’11% del totale, con un peso maggiore di quello che esse rappresentano sulla popolazione lavorativa (e in forte aumento a fronte dei 3.920 casi del 2017); più limitato invece è stato il numero delle convalide relative a cittadini comunitari, corrispondenti a circa il 6%. In totale, le dimissioni dei genitori stranieri rappresentano il 17% del totale. A titolo di confronto, le nascite da madri straniere rappresentano il 20,3% del totale delle nascite in Italia.

Continuano a essere interessati dal fenomeno i lavoratori/le lavoratrici con una anzianità di servizio non particolarmente elevata: oltre metà del totale (26.322 dimissioni) si riferisce a lavoratrici/lavoratori con anzianità di servizio fino a 3 anni e 16.787 con anzianità da oltre 3 a 10 anni. In totale, oltre l’ 87% del totale delle dimissioni convalidate riguarda lavoratori con meno di 10 anni di anzianità.

Le richieste di convalida in numero assoluto riguardano in egual misura impiegati (22.878) e operai (23.706). Dato il peso minore della componente operaia nell’occupazione, è da ritenere tuttavia che l’incidenza sia maggiore fra le operaie. Il settore economico prevalente è il terziario a cui si ricollegano 37.658 convalide (pari ad oltre il 76% del totale). Tuttavia, è l’industria a registrare l’aumento più forte, in quanto le convalide passano da 6.314 nel 2017 a  9.477 nel 2018, con un incremento del 50,1%, doppio di quello generale.

Oltre il 59% del totale dei lavoratori e delle lavoratrici interessati dalle convalide hanno un solo figlio o sono in attesa del primo. Il 33% hanno due figli.

Teoricamente utili, ma piuttosto generiche, le indicazioni sulle motivazioni riportate dalla lavoratrice/lavoratore per giustificare le dimissioni. Quella più ricorrente permane l’incompatibilità tra l’occupazione lavorativa e le esigenze di cura della prole, indicata dal 36% del totale. Questa macrocategoria comprende:  l’assenza di parenti di supporto, con una percentuale di circa il 27% del totale;  l’elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato, es. asilo nido o baby sitter (circa il 7%);  il mancato accoglimento al nido, pari a circa il 2%. Da notare che l’importanza attribuita al mancato sostegno familiare supera largamente quella sull’indisponibilità dei servizi pubblici per l’infanzia.

Delle motivazioni connesse alla situazione dell’azienda di appartenenza, pari a 10.155 e corrispondenti al 18% del totale, la voce prevalente, pari a 6.317, è relativa all’organizzazione ed alle condizioni di lavoro particolarmente gravose o difficilmente compatibili con la cura della prole.

Dall’analisi dei dati concernenti le richieste di part-time o flessibilità da parte dei lavoratori interessati alle convalide e l’accoglimento o meno di tale tipologia di articolazione dell’orario di lavoro emerge che, a fronte di 2.062 richieste, il part time e la flessibilità sono stati concessi soltanto in 423 casi (630 casi nel 2017): appena 1/5 delle richieste ha trovato accoglienza, in misura dunque ancora inferiore all’anno precedente, in cui risultavano accolte 1/3 delle richieste. La difficoltà ad ottenere il part time per le lavoratrici madri va letta insieme all’enorme crescita del part time involontario.

Quanto alla distribuzione geografica, prevale nettamente il Nord Italia con 31.691 convalide, pari al 64% del totale. Le minori percentuali del Centro e del Sud (circa il 18% per ogni ripartizione) farebbero sospettare un minore grado di controllo nel territorio, più che una minore incidenza di dimissioni.

Ancora una volta si conferma la prevalenza delle dimissioni/risoluzioni consensuali dei padri lavoratori nelle regioni settentrionali, dove ne sono state convalidate 10.193 pari a circa il 76% del totale nazionale (in discesa rispetto al 2017, quando il Nord rappresentava l’83%). Nel Sud il dato risulta notevolmente in aumento, essendo stati emessi 1.634 provvedimenti di convalida di dimissioni o risoluzioni consensuali di lavoratori padri (a fronte di 347 nel 2017). Gli aumenti più sensibili nel Veneto (2.289 nel 2018 contro i 1950 del 2017) e soprattutto in Puglia (1.239 casi nel 2018, contro i 72 dell’anno precedente).

La motivazione addotta per le dimissioni in 11.220 casi dai lavoratori padri è quella del passaggio ad altra azienda, che sembrerebbe spiegare la quasi totalità del fenomeno. Sarebbe interessante accostare l’andamento delle dimissioni dei lavoratori padri con quello dell’utilizzo dei congedi parentali, ma il bilancio sociale Inps non ci consente al momento di farlo.

La relazione dell’Ispettorato è svolta in collaborazione con l’Ufficio della Consigliera nazionale di parità. Tuttavia, nell’ultimo rapporto di attività 2018 della Consigliera Franca Cipriani, non appare alcun riferimento ai risultati emersi dal Rapporto dell’Ispettorato, che pure suggerirebbero l’esistenza di pratiche – direttamente o indirettamente – discriminatorie.

Naturalmente, l’efficacia di questa forma di tutela si estende solo ai rapporti di lavoro “regolari”, in quanto il lavoro nero sfugge per sua natura al controllo dell’Ispettorato. Inoltre, suscita qualche perplessità che – su un totale nazionale di quasi 50 mila dimissioni sottoposte a convalida nel 2018, i casi di mancata convalida siano solo 29, di cui 14 si concentrano nelle province autonome di Trento e Bolzano. In queste due province le mancate convalide sono circa un caso su 100 esaminati, a livello nazionale quasi uno su 2.000. Più inadempienti i datori di lavoro, o più rigorosi gli ispettori, nel Trentino-Alto Adige?

Quanto alla qualità statistica del Rapporto, se ne è apprezzabile la semplicità e la tempestività, bisogna però notare che le valutazioni sulla caratteristiche di questa “sottopopolazione” di genitori “dimissionari” acquisterebbero maggiore significatività se comparate con il resto della popolazione, cosa che richiederebbe un minimo di collaborazione con l’Istat.

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