Un libro ricostruisce le vicende di tante lavoratrici che, ieri come oggi, subiscono le conseguenze di un modello di organizzazione del lavoro pensato al maschile
Senza giusta causa
Una storia di donne
“Senza giusta causa” è un testo di attualità. Contravviene però in parte al sottotitolo “Le donne licenziate per rappresaglia politico-sindacale a Bologna negli anni ‘50”. Non si limita a raccontare una questione bolognese, né tantomeno circoscritta ai soli anni ’50. Non è insomma uno di quei bei testi di ricerca d’archivio e sul campo che regalano chiavi interpretative per leggere la contemporaneità. Per lo meno non solo. C’è qualcosa di più. Eloisa Betti ed Elisa Giovannetti, due giovani studiose emiliane, raccontano soprusi, ingiustizie, abusi dai contorni odierni. Denunciano una storia scritta al “maschile neutro”, senza alcuna caratterizzazione di genere. E ricostruiscono con cura -di documento in documento, di testimonianza in testimonianza, di fotografia in fotografia– la duratura permanenza delle discriminazioni contro le donne nel mondo del lavoro. Una storia nient’affatto neutra.
Discriminazioni legate al salario e all’organizzazione del lavoro; licenziamenti dovuti a matrimoni o gravidanze, alla partecipazione politica e sindacale, all’esercizio del diritto di sciopero; ma anche contratti a termine non rinnovati senza preavviso, clausole di nubilato, vessazioni sessuali e molestie. Le parole chiave sono: super sfruttamento, discriminazioni e precarietà. Un intreccio complesso di elementi riconducibili ai modelli femminili prevalenti. Ieri come oggi.
Certo, molti cambiamenti sono intercorsi nei decenni. Spesso, però, cambiano le parole per dirlo, meno la sostanza delle cose. Le donne sono ancora sottopagate a parità di mansioni, spesso più precarie, sbattono violentemente contro il “soffitto di cristallo”, subiscono discriminazioni legate alla procreazione, vivono sulla loro pelle il fenomeno delle “dimissioni in bianco”.
Eloisa Betti ed Elisa Giovannetti dimostrano come l’esistenza di una “giusta causa”,e quindi di conseguenza di “un’ingiusta causa”,ha rappresentato l’argine di fronte ai licenziamenti discriminatori e arbitrari. In molti casi imponendo il reintegro delle lavoratrici, spesso buttate in mezzo alla strada perché di recente convolate a nozze, o incinta, o elette delegate sindacali, o più semplicemente parte attiva nelle contestazioni. Mi sento di aggiungere che troppo spesso è ancora così.
“Senza giusta causa” è un testo che fa riflettere anche sul recente desiderio di smantellare l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, un sistema normativo che non proteggel’impossibile, ma rappresenta uno strumento di legittima difesa di fronte agli abusi. Ciò che dovrebbe avvenire in una Repubblica fondata sul lavoro e che considera tutti i cittadini di pari dignità sociale e uguali di fronte alla legge senza distinzioni: di sesso per esempio.
Susanna Camusso, nella postfazione, ci ricorda che “la repressione, i licenziamenti, furono, come spesso viene richiamato, l’emblema della Costituzione negata nei luoghi di lavoro. Negata perché veniva negato il fondamento di libertà, di eguaglianza e pari dignità fra uomo e donna. Ma la Costituzione continuerà ad essere negata se il lavoro seguiterà ad essere pensato al maschile e immedesimato nel neutro maschile al punto da non leggere e vedere le discriminazioni”.