Dati

Il tasso di disoccupazione non dice tutto. Tra le persone ufficialmente "inattive" c'è una massa pronta al lavoro. E predominano le donne. I nuovi indicatori dell'Istat ci permettono di tracciare la mappa del tesoro femminile sprecato: 3,6 milioni di "forze di lavoro potenziali", più 386mila sottoccupate part-time

Donne sull'orlo del lavoro.
L'esercito delle invisibili

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Nel 2011 l’Eurostat ha deciso di introdurre tre nuovi indicatori che forniscono informazioni che vanno oltre la distinzione convenzionale tra occupati, disoccupati ed inattivi (Eurostat 2011a, 2011b). I nuovi indicatori complementari servono a identificare tre gruppi della popolazione in età lavorativa che non soddisfano i criteri utilizzati per la definizione di disoccupato dell’ILO, ovvero essere senza lavoro, aver intrapreso almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nell’ultimo mese ed essere disponibili a lavorare. Questi tre gruppi hanno alcune caratteristiche in comune con i disoccupati, pur non essendo classificati tali (v. scheda). Comprendono al loro interno una quota di persone occupate (i sottoccupati part-time che vorrebbero lavorare più ore), e la quota di inattivi che cerca lavoro (pur non essendo immediatamente disponibile) e che è disponibile a lavorare (pur non cercando attivamente).

Gli inattivi disponibili a lavorare, ma che non cercano lavoro, e gli inattivi che cercano, ma non sono disponibili, manifestano un “attaccamento” al mercato del lavoro più basso di quello dei disoccupati ma più alto di quello degli altri inattivi. La somma di questi due segmenti di inattivi rappresenta le cosiddette “forze di lavoro potenziali” (FLP). Se ai disoccupati si sommano le forze di lavoro potenziali si ottiene una misura delle persone potenzialmente impiegabili nel sistema economico. E’ stato inoltre deciso di considerare il sottoutilizzo delle potenzialità produttive degli occupati, misurando i sottoccupati part time, ovvero i lavoratori ad orario ridotto che vorrebbero svolgere un maggior numero di ore di lavoro, ma non ne hanno l’opportunità.

La figura 1 riporta per l’Italia i valori assoluti dei tre indicatori complementari disaggregati per sesso, oltre all’ammontare della disoccupazione. Nel 2012 vi sono 2 milioni 744 mila disoccupati (di cui 1,3 milioni di donne); le forze di lavoro potenziali, date dalla somma degli inattivi che cercano ma non sono disponibili (111 mila) e degli inattivi disponibili a lavorare ma che non cercano (3 milioni), sono oltre 3 milioni (di cui 2,3 milioni di donne). Sommando le forze lavoro potenziali ai disoccupati si ottiene una misura delle persone potenzialmente impiegabili nel sistema produttivo, pari a 5,8 milioni (di cui 3,6 milioni di donne) nel 2012. Vi sono inoltre 605 mila sottoccupati part time (di cui 386 mila donne).

Figura 1 – La disoccupazione e i nuovi indicatori complementari* in Italia nel 2012 (‘000)

* I dati fanno riferimento alla popolazione di 15-74 anni (per omogeneità con i dati sulla disoccupazione).

Fonte: Eurostat database, codice online: lfsi_sup_age_a e lfsa_pganws.

 

Figura 2 – La distribuzione per sesso nei principali indicatori del lavoro in Italia, 2012 (%) 

Fonte: Eurostat database, codice online: lfsi_sup_age_a e lfsa_pganws.

Dalla figura 2 si può vedere chiaramente come gli indicatori complementari interessano in maggioranza le donne. Ciò è in contrasto con quanto si osserva con la disoccupazione e l’occupazione, che interessano in maggioranza gli uomini. Ne deriva un'implicazione di rilievo: il tasso di disoccupazione – il principale indicatore utilizzato per misurare le difficoltà incontrate nel mercato del lavoro – riesce a cogliere meglio la posizione della componente maschile rispetto a quella femminile, e ciò è tanto più vero quanto più ampia è la quota di donne con un debole attaccamento al lavoro.

Tra gli indicatori complementari, la dominanza femminile più elevata la si osserva nel gruppo dei sottoccupati part time. Quasi due terzi di questi sono donne (63,4%), ovvero 386 mila donne rispetto a 219 mila uomini. Questa differenza riflette il differenziale per sesso nell’occupazione a tempo parziale, dal momento che quasi il 76% degli occupati part time è costituito da donne. Vi è anche una maggioranza di donne tra gli inattivi che cercano lavoro ma non sono immediatamente disponibili (58,4%, pari a 65 mila donne rispetto a 38 mila uomini). Infine, le donne costituiscono la grande maggioranza degli inattivi disponibili a lavorare, ma che non cercano (62%, pari a 1 milione 841 mila donne rispetto a 1 milione 134 mila uomini).

Tab. 1. Tasso di disoccupazione, forze lavoro potenziali e sottoccupati per sesso in Italia e nell’UE27 nel 2012 (in % forze di lavoro 15-75 anni)

Fonte: v. fig. 1. Nota: tutti gli indicatori sono calcolati come quota percentuale sulle forze di lavoro di 15-75 anni, per uniformità con il tasso di disoccupazione.

Per comprendere meglio, è utile mettere a confronto i valori degli indicatori per l’Italia con ciò che si osserva per la media dei paesi dell’Unione europea (v. tab. 1). Nel 2012, il tasso di disoccupazione femminile in Italia è superiore a quello maschile di 2 punti, e di poco superiore alla media dei paesi dell’Ue (11,9% contro 10,5%), ma si associa ad una quota decisamente più elevata delle forze di lavoro potenziali femminili: il 17,8% in Italia a fronte del 5,7% dell’Ue. Va precisato che l’elevata incidenza delle forze lavoro potenziali in Italia è il risultato di una bassa quota delle persone che cercano ma non sono immediatamente disponibili (inferiore alla media Ue, per entrambi i sessi) e di una quota ingente di persone disponibili a lavorare ma che non cercano (che invece è molto superiore alla media Ue: quasi tre volte per i maschi e quasi quattro volte per le femmine). In valore assoluto, ciò significa che su un totale di circa 8,8 milioni di persone che nell’Ue dichiarano di non cercare lavoro ma di essere disponibili, un terzo (in maggioranza donne) si trovano in Italia. In quasi tutti i paesi, le donne inattive disponibili a lavorare sono molto più numerose degli uomini, ma in Italia in divario è particolarmente ampio: il 17,2% delle donne rispetto al 7,6% degli uomini, a fronte del 4,6% e 2,8% nella media dei paesi Ue.

Se è corretto affermare che, in generale, il grado di attaccamento al mercato del lavoro delle donne è mediamente inferiore a quello degli uomini, i dati rivelano una situazione particolarmente critica in Italia. E’ sufficiente ricordare che le donne in Italia rappresentano il 6,2% della popolazione europea totale (15-75 anni), il 5,1% dei disoccupati ma il 21% degli inattivi disponibili a lavorare. Si può pertanto affermare che una parte consistente delle persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo in Europa è costituita da donne italiane. Ciò che manca è la domanda di lavoro e condizioni lavorative (e retributive) in grado di accogliere e impiegare questo enorme potenziale femminile, a vantaggio di tutti: la qual cosa non andrebbe solo a beneficio delle stesse donne oggi inattive, ma anche delle loro famiglie e della società in generale.

Riferimenti

Eurostat (2011a), “8.5 million underemployed part-time workers in the EU-27 in 2010”, Statistics in focus, Population and social conditions, 56/2011

Eurostat (2011b), “New measures of labour market attachment”, Statistics in focus, Population and social conditions, 57/2011

Istat (2013), “Disoccupati, inattivi, sottoccupati. Indicatori complementari al tasso di disoccupazione”, Statistiche Report, 11 aprile