Politiche

Ormai è un dato globale; le donne si laureano più e meglio degli uomini. Eppure per loro la laurea non "rende" più che per i maschi, anzi rende di meno. E le donne hanno costi diretti più alti per gli studi universitari. Ma è minore per loro il costo psicologico: fanno meno fatica a studiare

<p>Il grande sorpasso delle laureate</p>

7 min lettura

Negli ultimi 40 anni tutti i paesi del mondo sono stati caratterizzati da una forte espansione dell’istruzione universitaria. Questo forte e generalizzato aumento del numero di laureati ha riguardato soprattutto le donne. Se all’inizio degli anni ’70 un gender gap a favore delle donne nell’acquisizione di titoli di studio universitari era un dato “originale”, prerogativa di pochi paesi ricchi, attualmente il numero di donne laureate (nella classe di età 30-34 anni) supera il numero di uomini con analogo titolo di studio in 67 paesi su 120, tra i quali molti paesi in via di sviluppo. In questo quadro, in Italia il numero di laureate 30-34enni ha superato il numero di coetanei laureati solo nel 2002 (Eurostat).

Le cause del “sorpasso delle laureate” vanno ricercate analizzando l’andamento dei benefici e dei costi dell’istruzione universitaria.

1. I benefici della laurea sono maggiori per le donne?

I principali benefici derivanti dal possesso di un titolo di studio elevato possono essere ricondotti a benefici in termini di reddito da lavoro, a migliori condizioni di salute (derivanti da una più consapevole attività di prevenzione), a migliori prospettive matrimoniali e ad una maggiore efficienza dell’investimento sui figli.

L’andamento dei rendimenti monetari dell’istruzione non appare decisivo nella spiegazione del “sorpasso”. Da un lato, infatti, i differenziali salariali tra donne laureate e donne non laureate sono generalmente più elevati degli analoghi differenziali per gli uomini. Tale risultato (che si riduce ma non si annulla tenendo conto di eventuali fenomeni statistici di autoselezione dei campioni) sembrerebbe dipendere in buona parte dalle scelte occupazionali delle donne, che privilegiano tipi di occupazioni e settori in cui, contemporaneamente, l’istruzione è richiesta/remunerata e l’orario di lavoro è tale da facilitare la conciliazione tra lavoro e famiglia. Dall’altro lato, permangono differenziali salariali di genere negativi per le donne laureate (e non). In particolare, in Italia tali differenziali appaiono consistenti già ad inizio carriera, cioè quando i carichi di cura familiare (che nelle famiglie italiane sono tradizionalmente “sbilanciati” sulle donne) non sono ancora “a pieno regime”.

D’altro canto, i benefici in termini di migliori condizioni di salute e riduzione dei tassi di mortalità derivanti da un livello di istruzione elevata sembrano riguardare più gli uomini che le donne.

Per quanto riguarda i vantaggi matrimoniali della laurea, in alcuni paesi (USA) essi sembrano essere particolarmente rilevanti per le donne, mentre in altri (Cina) sembrano guidare le scelte di istruzione terziaria soprattutto per gli uomini. In Italia ed in altri paesi europei, secondo alcune ricerche (Fiori, 2007;  di Giulio, 2007) l’acquisizione di titoli di studio elevati per le giovani donne rappresenterebbe uno strumento per ri-negoziare i ruoli di genere ed “evitare” il matrimonio a favore di altre forme di unione (convivenze, LAT, living apart toghether) caratterizzate da una maggiore uguaglianza di genere e da una distribuzione dei ruoli domestici maggiormente paritaria.

Quanto all’efficienza dell’investimento sui figli, è noto che le famiglie formate da individui con titolo di studio elevato tendono ad avere figli che, a loro volta, raggiungeranno titoli di studio elevati. La letteratura economica, tuttavia, non è conclusiva nel ritenere che l’elevato titolo di studio della madre abbia un maggiore impatto sulla carriera scolastica dei figli rispetto al titolo di studio del padre.

L’analisi dei benefici dell’istruzione non ci consente, quindi, di spiegare in modo compiuto e decisivo il rovesciamento del gender gap in materia di istruzione universitaria.

2. E i costi?

I costi dell’acquisizione di un titolo di studio universitario sono tradizionalmente fatti coincidere con i costi monetari diretti (per le tasse di iscrizione, l’acquisto dei libri…), i costi monetari indiretti (che risiedono nel costo-opportunità dei redditi da lavoro persi per frequentare l’università) e coi costi non monetari o psicologici (la “fatica” dello studio).

Non esiste evidenza empirica che i costi diretti dell’istruzione siano diversificati per genere, anche se in alcuni paesi in via di sviluppo le famiglie potrebbero essere meno propense a sostenere tali costi per le figlie femmine che non per i figli maschi.

Al contrario, le differenze di genere nei costi indiretti della laurea potrebbero rivelarsi significative in molte realtà. Ciò in considerazione del fatto che in molti paesi le ragazze diplomate incontrano maggiori difficoltà dei loro concorrenti maschi a trovare un posto di lavoro, e del fatto che quando lo trovano guadagnano, quasi sempre, significativamente di meno. Il peso dei “redditi da lavoro persi” per la decisione di iscriversi all’università, in questo caso, sarebbe nettamente minore per le donne incentivandole, ceteris paribus, ad andare avanti negli studi.

L’ultimo elemento di “costo” insito nella scelta di istruirsi, il costo psicologico, è quello che la maggioranza degli studiosi ritiene decisivo nella spiegazione del “sorpasso” delle laureate.

La “fatica” che un individuo deve fare per arrivare alla laurea dipende dalle abilità cognitive e da una serie di abilità non-cognitive dello studente. Per quanto riguarda le abilità cognitive, le ricerche internazionali non mettono in evidenza l’esistenza di significative e sistematiche differenze di genere nei “quozienti di intelligenza”. Al contrario, esiste evidenza del fatto che le donne siano maggiormente dotate, rispetto agli uomini, di alcune abilità non-cognitive particolarmente importanti nel determinare i risultati scolastici. Alcune ricerche in campo psicologico, infatti, hanno misurato l’impatto sui risultati scolastici di varie dimensione delle abilità non-cognitive (auto-motivazione, autostima, auto-disciplina, senso di responsabilità, competitività, capacità di attenzione, organizzazione nello studio, assenza di problemi comportamentali e di comportamenti antisociali, ecc.), nonché delle abilità cognitive. I risultati hanno messo in luce che alcune abilità non-cognitive generalmente più diffuse tra le studentesse (in particolare, l’auto-disciplina) avrebbero un impatto sui risultati scolastici maggiore rispetto alle abilità cognitive. Al contrario, altre dimensioni delle abilità non-cognitive, generalmente ritenute più diffuse nella popolazione maschile (quali autostima e competitività), non spiegherebbero una significativa porzione della varianza nei risultati scolastici.

In questa luce, l’esistenza di migliori rendimenti scolastici medi per le studentesse e di una minore variabilità individuale in tali rendimenti tra le femmine rispetto ai maschi (OCSE-PISA), contribuirebbe a mettere in luce una maggiore dotazione e una più uniforme distribuzione di rilevanti abilità non-cognitive tra le femmine rispetto ai maschi.

Tutto ciò dovrebbe portare ad una significativa riduzione dei costi psicologici (e totali) della scelta di istruirsi a livello universitario per le donne, aumentando la probabilità che i benefici netti di tale scelta siano positivi. Inoltre, la maggiore uniformità nella distribuzione di alcune abilità non-cognitive tra le donne rispetto agli uomini farebbe sì che, anche per un piccolo aumento nei benefici totali dell’istruzione universitaria, un cospicuo numero di donne troverebbero conveniente continuare gli studi fino alla laurea.

3. In conclusione?

L’elemento decisivo, e sul quale concorda la maggioranza degli studiosi, nella spiegazione del “sorpasso delle laureate” sembra essere la maggiore dotazione femminile di alcuni tipi di abilità non-cognitive, che sarebbe in grado di abbattere significativamente i costi totali della scelta di istruirsi a livello universitario per le donne.

Resta una contraddizione: più istruite, più brave, più motivate, più responsabili, più attente. Quale paese potrebbe permettersi di sprecare una simile risorsa? Eppure, ancora oggi, più disoccupate, meno pagate, ecc. Ci stupisce che i paesi con reddito pro capite e Indice di Sviluppo Umano più elevati del mondo siano quelli in cui gli indicatori di segregazione di genere sono più bassi?

 

Bibliografia

Becker G.S., Hubbard, W.H.J., Murphy K.M, 2010, “Explaining the Worldwide Boom in Higher Education of Women”, MFI Working Paper, n. 2010-09, Milton Friedman Institute For Research In Economics.

Das Gupta M., Ebenstein, A., Sharygin, J., 2010, “China’s Marriage Market and Upcoming Challenges for Elderly Men”, Policy Research Working Paper, n. 5351, The World Bank Development Research Group, Poverty and Inequality Team.

Di Giulio P., 2007, “Living apart together: insieme, ma separati”, Genere, famiglia e salute, Pinnelli A., Racioppi, F., Terzeria L., (eds.), FrancoAngeli, Milano.

Dougherty C., 2003, “Why is the Rate of Return to Schooling Higher for Women Than for Men?”, CEP Working Paper.

Duckworth A., Seligman M.,  2005, “Self-discipline outdoes IQ in predicting academic performance of adolescents”, Psychological Science 16, n. 12, pp. 939–44.

Fiori F., 2007, “Le convivenze sono più ‘gender equal’ dei matrimoni?”, Genere, famiglia e salute, Pinnelli A., Racioppi, F., Terzeria L., (eds.), FrancoAngeli, Milano.