Dati

Gli uomini sono più esposti al rischio, perché più presenti nelle mansioni pericolose. Ma man mano che ci si allontana dal lavoro manuale il quadro diventa più complesso. Un'analisi di genere dei dati sugli incidenti sul lavoro. Con un'avvertenza: i tagli alla ricerca colpiscono anche qui

Incidenti sul lavoro,
le donne sono in salvo?

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Qualche giorno fa il Daily Telegraph titolava “Advance guard of angry women lead Italians into European protests over austerity cuts”. Le donne in questione sono le dipendenti pubbliche, attrici di una vera ribellione, secondo il giornalista inglese, a seguito dei tagli alla spesa nel settore pubblico.

Tra i tagli spicca la soppressione (con accorpamento in altri enti) di alcuni istituti pubblici di ricerca. A meno di non voler ritenere - con il ministro Tremonti - che il vantaggio di tale operazione risieda nel risparmio (risibile, per le casse dello stato) sull’affitto della sede di questi enti, la misura porterà un risparmio effettivo solo se i nuovi enti non acquisiranno lo status di ente di ricerca e quindi non godranno dei benefici a questi riservati, tra cui i vincoli meno stringenti all’assunzione di personale. Ovvero, il risparmio è il mancato rinnovo e la mancata assunzione di nuovi ricercatori e ricercatrici precari/e, da cui le proteste di cui sopra.

Al di là delle questioni concernenti il precariato nella pubblica amministrazione, vorrei considerare il caso di uno di questi enti, tra i più grandi per numerosità del personale, tra i più invisibili nel dibattito pubblico: l’Ispesl, Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro. Il tema della sicurezza sul lavoro è uno di quelli che, in prospettiva di genere, sembrerebbero meno problematici. Come conseguenza “positiva” della segregazione occupazionale (ovvero nella concentrazione degli uomini in alcune professioni e delle donne in altre), gli uomini sono molto più esposti al rischio di incidenti sul lavoro, sia in termini assoluti (perché più uomini sono occupati) che relativi (perché più uomini sono occupati in mansioni considerate pericolose).

Le virgolette sul fatto che questa situazione sia “positiva” derivano dal fatto che ogni singolo incidente sul lavoro è una fatalità, un dramma in troppi casi. Inoltre, valutare quanti e quali siano gli incidenti sul lavoro, richiede ovviamente di tenere in considerazione che le donne sono molto più esposte degli uomini ad incidenti sul lavoro domestico non retribuito(1).

Però, la questione non è così semplice, ed anzi la sicurezza sul lavoro è un tema su cui ad oggi si è fatta tanta retorica e poca ricerca. Ad esempio, le statistiche degli infortuni sul lavoro sono sbilanciate in favore degli incidenti di tipo fisico, con minore considerazione per le malattie professionali e i danni alla salute psicologica ed emotiva che possono essere generati da condizioni di lavoro stressanti, mobbing, discriminazione e molestie. Questa scarsa considerazione è dovuta anche alla legittima resistenza delle imprese (sia in sede politica che giudiziaria) nel veder riconosciuto un danno non patrimoniale al/la lavoratore/trice soggetto/a a condizioni di lavoro non propriamente edificanti. Certamente, è rilevante anche il fatto che la diagnosi di malattie non fisiche è ovviamente più difficile e contestabile.

A causa di questo squilibrio nelle definizioni e nelle diagnosi, non è una sorpresa se, come mostra la figura 1, emerge che i settori di attività più a rischio sono quelli in cui maggiore è la quota di occupati manuali: agricoltura ed industrie estrattive, trasporti, costruzioni, manifattura.

Figura 1.  Numero di incidenti sul lavoro ogni 1.000 lavoratori/trici in Italia, per settore


 

Fonte: dati raccolti ed elaborati in Italia dall’ISPESL, accessibili online tramite il sito web Eurostat.

La distinzione tra infortuni fisici e malattie psico-emotive è interessante da un punto di vista di genere perché, a titolo puramente preliminare, si potrebbe ipotizzare che le donne sono più esposte a questo tipo “invisibile” di incidente. Dalla stessa figura emerge infatti che nei settori in cui il lavoro manuale è meno diffuso (commercio, servizi) vi è minore discrepanza tra il numero di incidenti (in rapporto agli occupati) per uomini e donne. Nel caso di turismo e ristorazione vi è perfino un ribaltamento, anche se è plausibile che, in questo settore, le donne siano più occupate degli uomini con funzioni manuali.

Un’altra possibile evidenza di questo sbilanciamento nelle tipologie di infortuni emerge dall’analisi degli incidenti e delle malattie professionali per titolo di studi, mostrata in figura 2(2). Mentre gli uomini presentano un chiaro trend decrescente al crescere della formazione (e si suppone, della qualifica occupazionale), il gap con le donne si va parimenti riducendo, ed anzi le donne con istruzione universitaria o superiore presentano un numero di diagnosi superiore agli uomini con pari titolo di studio, e superiore alle donne con titolo inferiore.

Poche e semplici statistiche aggregate bastano dunque a mettere in luce la complessità di un dramma sociale che riguarda in forma diversa uomini e donne, ha rilevanti conseguenze economiche (come sottolinea un rapporto di Eurostat(3)) ma è troppo spesso soggetto a semplificazioni eccessive, se non ad oblio.

Appare dunque discutibile la decisione di ridimensionare la ricerca in questo ambito, come avverrebbe se con l’accorpamento dell’Ispesl nell’Inail si avesse perdita di personale impegnato sulla ricerca in questo campo (ad esempio se i lavoratori e le lavoratrici precarie non vedessero rinnovati i propri contratti)

 

Figura 2.  Numero relativo di incidenti sul lavoro (rispetto alla media) in Europa, per titolo di studio



Fonte: dati riferiti a Danimarca, Germania, Grecia, Spagna, Lussemburgo, Ungheria, Finlandia, Svezia. Accessibili online tramite il sito web Eurostat. Il numero relativo di incidenti é calcolato come rapporto tra il numero di incidenti ogni 10,000 lavoratori/trici con quel titolo di studio e il valore medio nazionale.

Questo senza considerare, come evidenziato altrove su questo sito, che un eccessivo sbilanciamento dei tagli di bilancio sulla pubblica amministrazione, e al suo interno sui settori della ricerca e dell’istruzione, appaiono miopi per lo sviluppo economico, e portatori di un ulteriore squilibrio di genere in quanto colpiscono i pochi settori a maggiore occupazione (relativa) femminile. Le donne intervistate dal Daily Telegraph sembrano avere insomma molte ragioni per protestare.

 

NOTE

(1) Pur non disponendo di dati certi, si può ad esempio notare che secondo l’inserto “Sicurezza e Prevenzione” del Sole 24 Ore del giugno 2010 (n. 8), l’89% degli incidenti sul lavoro domestico retribuito riguardano le donne. E’ evidente che la principale ragione di questo valore è la grande preponderanza femminile tra gli occupati in questo settore.

(2) A causa dell’assenza di dati armonizzati (o aggiornati) i valori si riferiscono alla media Europea, calcolata su un numero limitato di Paesi.

(3) Eurostat (2004), Statistical Analysis of Socio-Economic Costs of Accidents at Work in the European Union - Final Report, Working Papers and Studies, Theme 3 Population and Social Conditions, Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities.