Politiche

Pari opportunità e sgravi contributivi. La pandemia ha allargato il divario di genere nelle assunzioni a tempo indeterminato, ma stabilizzare le donne conviene. Un commento a partire da dati aggiornati e misure recenti

Se assumere le
donne conviene

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Foto: Unsplash/ Daniel McCullough

Favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è un obiettivo che il legislatore italiano intende perseguire anche con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Come emerge dalle raccomandazioni della Commissione europea le donne italiane sono vittime di una doppia disparità per quel che riguarda il tasso di occupazione: di genere e geografica.

Questo dato è confermato dal rapporto Istat sulle assunzioni del primo semestre 2021, seguito dal Gender policies report diffuso a dicembre dall'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (Inapp), da cui emerge che, nel flusso delle nuove assunzioni, quelle a tempo indeterminato per gli uomini sono il 18%, mentre quelle a tempo indeterminato per le donne sono solo il 14,5%; e che a sud è più difficile per le donne ottenere un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Cresce anche il numero di donne assunte con contratto a tempo parziale, e – poiché sappiamo che si tratta in buona parte dei casi di part-time involontario  questa non è una buona notizia.

Da qualche anno a questa parte il legislatore ha varato misure per agevolare l’occupazione femminile sia rafforzando la tutela della co-genitorialità – ad esempio rendendo obbligatorio il congedo di paternità o favorendo con una contribuzione di vantaggio il ritorno al lavoro delle madri  che incentivando l’assunzione delle donne per favorire la stabilizzazione di rapporti di lavoro a tempo determinato.

A partire dalla legge Fornero del 2012 un complesso sistema di sgravi contributivi mira a promuovere pari opportunità di accesso nel mercato del lavoro di soggetti appartenenti a gruppi svantaggiati tra i quali rientrano anche le donne disoccupate da più di dodici mesi con una età maggiore di cinquant'anni o, se residenti in particolari aree del paese, indipendentemente dal requisito anagrafico, purché prive d’impiego da almeno sei mesi. Questa misura è stata riproposta e rafforzata con la legge di Bilancio per il 2021, che propone l’esonero contributivo del 100 per cento nel limite massimo di 6.000 euro per i datori di lavoro che assumono o stabilizzano donne over50 disoccupate da oltre 12 mesi nel biennio 2021-2022.

L’esonero contributivo è riconosciuto sia per le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine – in tal caso il beneficio è di 18 mesi a decorrere dalla data della trasformazione –, sia per la proroga del rapporto. In tal caso l’esonero contributivo è riconosciuto per 12 mesi sempre che si rispettino i limiti sulla durata massima del contratto a termine attualmente fissati a 24 mesi. Per il momento il beneficio è riconosciuto soltanto per il 2021. Per il 2022 l’Inps fa sapere che le istruzioni operative saranno fornite all’esito del procedimento di autorizzazione sugli aiuti di Stato da parte della Commissione europea.

Questa modalità di incentivazione dell’occupazione in generale, e di quella femminile in particolare, dovrebbe servire a promuovere la stabilizzazione del lavoro delle donne. Al momento non sappiamo però se questa politica abbia o meno sortito l’effetto sperato. Quel che sappiamo è che durante la pandemia le donne sono state maggiormente colpite dalla crisi occupazionale proprio perché in maggior numero occupate con contratti a termine non rinnovati o trasformati dopo la scadenza.

La pubblicazione del rapporto Istat, ha messo in evidenza come la congiuntura economica spinga le imprese a preferire ancora i contratti a tempo determinato che, almeno per ora, nonostante la loro prevalenza nel flusso delle nuove assunzioni, in termini di stock rappresentano il 13% del lavoro dipendente, come prima della crisi. Quel che rileva l’Inapp è però una maggiore incidenza dei contratti atipici per le donne, compresi il lavoro in somministrazione e i contratti intermittenti. 

Una parziale risposta al divario di genere può venire dal disegno di legge fiscale presentato alla Camera dal governo a inizio dicembre, che reca una misura di equità per le donne. Come è noto il cumulo dei redditi familiari previsto nel nostro ordinamento disincentiva l’occupazione femminile, che di regola costituisce la fonte del secondo reddito familiare. Agendo sul cuneo fiscale, con una riduzione dell’aliquota per il secondo percettore, la norma contenuta dalla legge in discussione in Parlamento delinea un sistema di detassazione selettiva sostanzialmente mirata a incentivare l'offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro dei giovani e dei secondi percettori di reddito, cioè principalmente delle donne.

Va osservato in proposito come gli studi disponibili mostrino una marcata rigidità dell’offerta di lavoro maschile, cioè una sua minore sensibilità alla pressione tributaria sul reddito da lavoro, a fronte di una marcata elasticità dell’offerta di lavoro femminile, che dunque reagisce molto di più alla variazione del prelievo fiscale. Il governo ha dunque motivo di attendersi una buona risposta positiva dell’offerta di lavoro femminile alla riduzione dell’Irpef. La speranza è che i fatti confermino queste attese.