Politiche

Dopo la pandemia si parla di cura ovunque, ed è solo dalla cura che l'Europa può ripartire. Due fondazioni lanciano un 'atlante europeo' per guardare oltre i gap salariali e comprendere la reale entità degli squilibri di genere

Verso un patto per
la cura in Europa

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Foto: Unsplash/Michael Lai

“Una società che dia valore alla cura e alle relazioni di cura non solo sarebbe più bella e più buona, ma anche più egualitaria e più giusta”.[1] Queste parole, espresse da Evelyn Nakano Glenn (docente all'Università di Berkeley), riassumono efficacemente la posta in gioco sottesa al bisogno di politicizzare la cura. Sulla scia della ricerca femminista che da decenni evidenzia la relazione diretta fra disuguaglianze, squilibri di genere e lavoro di cura, oggi è più necessario che mai misurare – su vari parametri – i persistenti divari assistenziali, in modo tale da riuscire ad affrontarli.

Svelando di colpo le profonde falle dei nostri sistemi di welfare sociale, la crisi innescata dal Covid-19 ha portato alla luce una crisi della cura di gran lunga preesistente e più profonda. La società e le famiglie hanno potuto tenersi a galla grazie all’invisibile ma essenziale lavoro di cura – formale o informale – sproporzionatamente concentrato sulle spalle delle donne e delle persone più svantaggiate. Con l’avvento della pandemia, l’idea di cura viene riscoperta nell’ambito delle politiche pubbliche. La necessità di valorizzare il settore della cura è sotto i riflettori per essere riconosciuta in termini politici. In una certa misura, si potrebbe individuare nel discorso politico l’adozione di alcune forme di etica della cura. Tuttavia, al di là del simbolico applauso ai lavoratori dell’assistenza, elevati a eroi (o meglio, eroine), la vera domanda è fino a che punto la nascente retorica di una “società che si prende cura” può tradursi in azione concreta all’altezza di quei valori?

Nonostante i graduali progressi verso la parità di genere, le donne continuano a svolgere un doppio lavoro a livelli insostenibili. Innumerevoli report mostrano il pesante colpo che il Covid-19 ha sferrato al fiacco e penosamente lento progresso dell’Unione europea verso la parità di genere.[2] Le annose disuguaglianze assistenziali radicate nelle norme di genere sono identificate fra le principali fonti delle crescenti disuguaglianze sociali, facendo così eco a un’opinione internazionale diffusa che suona come un campanello d’allarme. Molto prima della pandemia, l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) pubblicava un report in cui già si ammoniva: “[se] non adeguatamente affrontati, i deficit e la qualità attuali del lavoro di cura porteranno a una crisi globale severa e insostenibile e aumenteranno ulteriormente le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro”.[3] Le testimonianze evidenziano inequivocabilmente come la pandemia abbia esacerbato gli svantaggi economici delle donne vista la quota iniqua di mansioni assistenziali non pagate e la loro massiccia presenza in posti di lavoro sottovalutati e precari dell’economia della cura.

In tale contesto, l’incapacità di raccogliere dati su quel carico di lavoro assistenziale non pagato offusca pesantemente le cause primarie dei gap di genere che durano nel tempo, in particolare il gap occupazionale, il gap del lavoro part-time, il gap dell’uso del tempo e, di conseguenza, il gap salariale e pensionistico. Proprio per far luce su come i deficit assistenziali alimentano e perpetuano le disuguaglianze di genere nella società, la Fondazione per gli studi progressisti europei (Feps) e la Fondazione Friedrich-Ebert (FES) hanno congiuntamente lanciato L'atlante europeo della cura. La mappa illustra il bisogno urgente di guardare oltre il mero gap salariale di genere per comprendere la reale entità degli squilibri di genere. Per ogni stato membro dell’Ue, l’atlante fornisce dati disaggregati per genere confrontando i divari che sussistono all’interno di ambiti rilevanti e che contribuiscono al complessivo gap reddituale.

Nell'atlante si sostiene che il peso del lavoro di cura – retribuito e non – sbilanciato sulle spalle delle donne sia uno dei principali fattori esplicativi della disuguaglianza di genere. La mappa mostra cioè che secondo la media europea è tre volte più probabile che una donna riduca il proprio tempo lavorativo rispetto a un uomo. Considerando le variazioni nazionali, queste differenze diventano ancora più impressionanti. I Paesi Bassi, ad esempio, mostrano la più alta percentuale di donne che lavorano part-time, cioè il 56,8% delle donne olandesi. Seguono la Germania, l’Austria e l’Italia, dove le donne che lavorano part-time (rispettivamente 33,3%, 33,2% e 31,5%) superano ampiamente gli uomini, che optano meno comunemente per questa soluzione lavorativa atipica e più precaria (rispettivamente 9,5%, 7,7% e 8%). Ciò è dovuto in parte alle aspettative sociali implicite nella legge e nelle modalità di funzionamento della nostra economia, che considerano le donne come accuditrici primarie.

Il conseguente divario salariale alimenta quindi un circolo vizioso: spinge le donne alla decisione molto razionale – visto che plausibilmente è la donna nella coppia a guadagnare di meno – di ridurre il proprio orario di lavoro. Tuttavia, il lavoro di cura non retribuito che le donne svolgono è qualcosa di più complesso di una semplice questione di “scelta”, che peraltro è assente nel caso delle famiglie monoparentali.[4] Come scrive in maniera eloquente Caroline Criado Perez “[Il nostro pregiudizio di genere sul lavoro di cura] fa parte del sistema che abbiamo creato, ma potrebbe facilmente esserne estromesso. Il primo passo è raccogliere i dati; dopodiché si può cominciare a progettare un’economia fondata sulla realtà e non sull’immaginario maschile”.[5]

Se gli stati membri dell’Unione europea vogliono sfruttare le potenzialità di una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, dovranno non solo garantire l’effettiva applicazione della direttiva sull’equilibrio lavoro-vita privata[6] ma anche affrontare le sfide poste dal costo e dall’accessibilità dei servizi pubblici per l’infanzia e dell’assistenza a lungo termine.[7] Un intervento pubblico ancor più drastico del congedo parentale sarebbe investire nelle infrastrutture sociali.

È proprio per questo che la ricerca invoca una ripresa guidata dalla cura piuttosto che dall’edilizia. Perché includerebbe di fatto i servizi pubblici su cui si regge il funzionamento della società moderna, come l’assistenza all’infanzia e agli anziani. Il Women’s Budget Group suggerisce che investire il 2% del Pil nei servizi di assistenza pubblici creerebbe per gli uomini lo stesso numero di posti di lavoro generato da un investimento nelle industrie di costruzione, ma fino a quattro volte di più per le donne, stando ai risultati della simulazione condotta in sette paesi Ocse.[8] Perciò, superare il bias maschile nella maniera in cui strutturiamo la nostra economia impone ai decisori politici di riconoscere le ingiustizie inerenti al patriarcato, in particolare l’aver associato cura e accudimento alle donne piuttosto che all’essere umano, la femminilizzazione del lavoro di cura, la prestazione dei servizi di cura come sussidiaria alla giustizia.

In quest’ottica, la nuova strategia europea per l’assistenza (EU Care Strategy) introdotta il 7 settembre 2022 va usata come trampolino di lancio perché si inneschi e prenda forma la transizione verso un’Europa più attenta. Annunciata inizialmente durante il Discorso sullo stato dell’Unione del 2021, dopo un anno di pandemia, la strategia ha suscitato aspettative molto alte. Oggi, l’impegno è divenuto realtà. Con il motto it’s time to care about care (è ora di prendersi cura della cura), la Commissione europea ha più precisamente reso note due proposte per la raccomandazione del Consiglio su:

  • educazione e cura della prima infanzia: con l’aggiornamento degli obiettivi di Barcellona del 2002 che entro il 2023 dovranno passare dal 33% al 50% di bambini sotto i 3 anni di età e dal 90% al 96% di bambini fra i 3 anni e l’età di inizio dell’istruzione primaria dell’obbligo;
  • accesso ad assistenza a lungo termine di alta qualità e a prezzi abbordabili: ossia garanzia che l’assistenza a lungo termine sia tempestiva, completa e a prezzi accessibili, aumentando e diversificando l’offerta professionale, supportando l’assistenza informale e assicurando finanziamenti adeguati. 

In questo contesto, sarà decisivo valutare come l’idea femminista di cura, che ha acquisito nuovo slancio conseguentemente alla crisi del Covid-19, offra nuove strade per superare lo stallo dell'avanzamento verso la parità di genere. Diversamente da quanto accadeva prima della pandemia, oggi si parla di cura ovunque.

Se la nuova 'care strategy' dell’Unione europea va intesa come un successo, il passaggio all’azione nelle politiche di cura e assistenza deve diventare tangibile. Considerando il gran numero di persone interessate dai gap assistenziali nella vita quotidiana, la posta in gioco è notevole.

La strategia per la cura potrebbe non solo costituire un passo nella giusta direzione verso una vera riforma della cura e dell’assistenza (care deal) per l’Europa ma anche una soluzione d’impatto per affrontare il suo deficit di democrazia, mettendo al centro la vita di tutti i giorni e il costante lavoro quotidiano di cura che ci è necessario per vivere.

In altre parole, l’attuale enfasi che il discorso pubblico ripone nel concetto di assistenza va sfruttata per elevare i valori di base su cui poggia l’idea femminista di “cura” a un piano di parità che includa altri valori basilari, più diffusamente riconosciuti, come i diritti e la giustizia. Perché la giustizia è incompleta senza cura e viceversa. 

Note

[1] A society that values care and caring relationships would be not only nicer and kinder, but also more egalitarian and just, Evelyn Nakano Glenn, “Creating a Caring Society”, Contemporary Sociology 29, n. 1 (2000): 84

[2] EIGE, Gender Equality Index 2021 – Health, Vilnius, 2021; Commissione europea, Annual Report on Gender Equality in the EU, 2021; Stefania Fabrizio, Vivian Malta, e Marina M. Tavares, COVID-19: A Backward Step for Gender Equality, VoxEU.Org (blog), 20 giugno 2020

[3] “[if] not addressed properly, current deficits in care work and its quality will create a severe and unsustainable global care crisis and further increase gender inequalities in the world of work”. ILO, “Care Work and Care Jobs for the Future of Decent Work” (Organizzazione internazionale del lavoro, Ginevra, 2018)

[4] La monogenitorialità è fortemente connotata dal punto di vista del genere: molte più famiglie con genitore singolo e figli a carico sono condotte da donne (11% nel 2019) piuttosto che da uomini (3%), benché questa forma sia diventata più comune fra gli uomini. Fonte: The situation of single parents in the EUParlamento europeo, 2020.

[5] Caroline Criado-Perez, Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano, tr. it. Carla Palmieri, Einaudi, 2020, p. 357.

[6] La direttiva sul Work-Life-Balance è stata adottata nel 2019 con lo scopo di “raggiungere un migliore equilibrio tra la famiglia e gli obblighi lavorativi”. Agli Stati membri è stato richiesto di recepire la direttiva nel diritto nazionale al più tardi entro il 2 agosto 2022.

[7] Si veda ad esempio lo studio FEPS di Christian Morabito e Michel Vandenbroeck (2020) Towards a child Union. Reducing inequalities in the EU through investments in children’s early years e quello di Francesco Corti, Christian Morabito, Tomas Ruiz e Patrizia Luongo (2022) The role of the RRF in strengthening childcare policies.

[8] Women’s Budget Group, Investing in the Care economy to boost employment and gender equality, 2016

Riferimenti

Emma Dowling, The Care Crisis: What Caused It and How Can We End It? Verso Books, 2021

Consiglio europeo, A Caring Society Is the Blueprint for Ensuring Our Union Emerges from the Current Crisis Stronger, More United and with Greater Solidarity than Ever, 5 agosto 2020

Suzanne M. Bianchi et al., Housework: Who Did, Does or Will Do It, and How Much Does It Matter?, Social Forces 91, n. 1, 1 settembre 2012, pp. 55–63

Massimiliano Mascherini e Martina Bisello, COVID-19 Fallout Takes a Higher Toll on Women, Economically and Domestically, Eurofound, 2020

OCSE, OECD Employment Outlook 2021: Navigating the COVID-19 Crisis and Recovery, OECD Employment Outlook, 2021

UN Women, From Insights to Action: Gender Equality in the Wake of COVID-19, 2020

UN Women, Promoting Women’s Economic Empowerment: Recognizing and Investing In the Care Economy, 2018

Caroline Criado-Perez, Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano, tr. it. Carla Palmieri, Einaudi, 2020

Jérôme De Henau e Susan Himmelweit, A Care-Led Recovery From Covid-19: Investing in High-Quality Care to Stimulate And Rebalance The Economy, Feminist Economics 27, n. 1–2, 3 aprile 2021, pp. 453–69

Carol Gilligan, Ethics of Care - sharing views on good care, 16 luglio 2011

Proposta di Raccomandazione del Consiglio sulla revisione degli obiettivi di Barcellona in materia di educazione e cura della prima infanzia (2022)

Proposta di Raccomandazione del Consiglio relativa all'accesso a un'assistenza a lungo termine di alta qualità e a prezzi accessibili – COM(2022) 441

Reka Safrani, Who cares? Why we need a Care Deal for Europe?, Progressive Post, 2022

Marion Barnes, “Participation, Citizenship and an Feminist Ethic of Care”, in Susan Balloch e Michael J. Hill, Care, Community and Citizenship: Research and Practice in a Changing Policy Context, Bristol, UK, Policy, 2007

Eva Feder Kittay, Love’s Labor: Essays on Women, Equality and Dependency, Routledge, 2020

Selma Sevenhuijsen, The Place of Care: The Relevance of the Feminist Ethic of Care for Social Policy, Feminist Theory 4, n. 2, 1 agosto 2003, pp. 179–97

Questo articolo si basa sull'Atlante della cura (Care Atlas) FEPS-FES e sul testo di Laeticia Thissen "Towards a Care-led Recovery for the European Union? A feminist care analysis of the National Recovery and Resilience Plans" redatto nell'ambito del progetto FEPS Recovery Watch.
 

Traduzione a cura di Sara Concato