In Nepal le donne mestruate vengono considerate impure e segregate in condizioni disumane. Con pratiche contro le quali è partita una campagna in rete

Chaupadi, una denuncia dal Nepal

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Chaupadi: provate a digitare questa parola sul motore di ricerca di Facebook. Vi uscirà un gruppo denominato “Elimination of Chaupadi Pratha in Nepal” creato da una giovane donna nepalese che studia legge all’Università di Kathmandu. Scoprirete l’esistenza di una pratica diffusa tra le famiglie hindu del Nepal, che consiste nel considerare le donne menstruate come impure e dunque soggette ad essere allontanate ed isolate dalla società. Il menarca, vissuto ancora come un tabù, segna la prima esperienza di chaupadi delle ragazzine: circa undici giorni durante i quali  vengono tenute al buio, a differenza di quanto avviene alle donne più adulte, che vengono isolate per tre – quattro giorni. Poichè anche le puerpere sono considerate impure, anch’esse devono subire la stessa sorte, venendo allontanate da casa con le stesse modalità per circa una decina di giorni.


Esiste una credenza che le donne che attraversano tali fasi della loro vita non devono consumare cibi ad alto contenuto nutritivo come latte, yogurt, burro, legumi o carne, per cui si nutrono solamente di riso insaporito con un po’ di sale e di pezzi di pane. E’ proibito loro di usare coperte, ma possono usufruire di un un tappeto su cui distendersi. Non possono svolgere le normali attività quotidiane come cucinare, lavarsi, interagire con gli altri, inclusi i membri della propria famiglia.


Mentre nel mondo “occidentale” odierno le donne danno per scontato che il periodo menstruale rimanga un fatto privato, che non va ad inficiare alcuna delle attività quotidiane, incluse quelle sportive, in Nepal  “quei giorni” diventano un fatto di dominio pubblico: le donne segregate vengono infatti controllate dai parenti, affinchè non abbiano alcun contatto con il mondo esterno. Non è loro consentito di parlare, se non con lievi sussurri e solo se strettamente necessario. E’ credenza comune che qualora dovessero contravvenire alle regole prescritte eventi infausti si abbatterebbero su di esse: malattie, morte, rottura improvvisa delle ossa, sventura per il coniuge e per l’intera comunità di appartenenza. Ed è così che, ai margini dei villaggi, sono state costruite delle vere e proprie capanne con il fine di “ospitare” le donne impure. Molto spesso tali capanne sono le stesse utilizzate in altri periodi dell’anno dal bestiame. Alle volte sono scantinati bui, interrati sotto le abitazioni.


Tale pratica è conosciuta con diversi nomi in base ai distretti di appartenenza: "Chhue" a Dadeldhura, “Chhaupadi" a Achham e "Chueekula" a Humla ed è diffusa soprattutto nei distretti del Mid e Far West del paese, dove la povertà e l’ignoranza fomentano lontane superstizioni e tabù. E’ per propiziarsi gli dei che queste comunità non osano interrompere una pratica tanto brutale, iniqua e pericolosa. Iniqua e brutale per ovvie ragioni. Pericolosa perchè costringe le donne a vivere in luoghi sporchi e a mangiare cibi poco nutrienti. Alcuni mesi fa una donna di 40 anni di nome Belu Damai è morta di freddo durante il periodo di isolamento trascorso in uno scantinato buio ed umido.


Non a caso nel 2006 la Corte Suprema del Nepal ha dichiarato questa pratica fuorilegge, nonostante numerosi uomini pensino che se venissero in contatto con una sola goccia di sangue mestruale ne morirebbero all’istante o che il contatto con una donna menstruata porterebbe le mucche a produrre sangue anzichè latte.


Anche la società civile sta lentamente cominciando a mobilitarsi contro tale pratica: organizzazioni locali come il Rural Women's Development and Unity Centre o internazionali come Save the Children stanno portando avanti campagne e momenti di sensibilizzazione nei villaggi dove la pratica è più diffusa, anche insieme alle autorità locali. Di recente il Ministro per le Donne, i Bambini ed il Social Welfare nepalese ha dichiarato che con il supporto delle ONG internazionali organizzerà una campagna i cui obiettivi saranno scuole, guaritori locali e gruppi vulnerabili, da coinvolgere in campagne di sensibilizzazione affinchè le comunità diventino esse stesse agenti di cambiamento, e ha già realizzato con lo Undp (United Nations Development Programme) un filmato che si intitola semplicemente “Chhaupadi”, da utilizzare come strumento di sensibilizzazione. Il ministero della salute ha da parte sua dichiarato che inizierà a condurre una ricerca sulle conseguenze di tale pratica sulla salute femminile. Sembra che invece le autorità locali, vicine ed influenzate dal rigido sistema delle caste che contraddistingue la società nepalese, si dimostrino ancora piuttosto scettiche nell’accettare il cambiamento in una pratica che pare oramai consolidata.


Chissà che il gruppo che la studentessa di legge ha creato su Facebook, che ora conta solo una quarantina di membri, non diventi anch’esso un segnale, forte ed innegabile, di una società che sta inesorabilmente cambiando. Grazie anche all’iniziativa di una giovane donna.