Usa, donne in prima fila nelle battaglie per la legalizzazione. In nome della sicurezza, soprattutto.

Mamme per la marijuana

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Ann, che ha 33 anni e un figlio di 4, se ne fa uno la sera, nel suo appartamento di Brooklyn, quando il bambino finalmente si addormenta. Jennifer, la sua vicina di casa, non aspetta il tramonto, anzi sostiene che l’euforia che le mette addosso l’aiuta a giocare con John, che ha solo un anno. Sono ormai tantissime le mamme americane che, stressate dal lavoro e la famiglia, hanno sostituito il bicchierino della sera con lo spinello. Tanto che da qualche anno è nata in molte città degli Stati uniti “Mamme per la marijuana”, bizzarra associazione, con tanto di pagina Facebook, attraverso cui ci si scambia ricette per fare biscotti o più semplicemente cucinare o condire l’insalata con l’olio trattato con l’erba. Ma non solo. Perché le donne americane stanno diventando protagoniste di primo piano nella battaglia per la legalizzazione della marijuana. Quella che ha già portato all’introduzione del suo uso terapeutico in ben 19 stati dell’Unione, e da qualche mese alla fine dello stigma per chi semplicemente si rilassa così, quantomeno in Colorado e nello stato di Washington.

E’ stato proprio con il voto che ha fatto vincere i referendum del novembre scorso che si è capito quanto l’atteggiamento femminile sia profondamente cambiato. Almeno da questa parte dell’oceano. Ancora alla fine degli anni ’80 Nancy Reagan conquistava le casalinghe con il suo “Basta dire no”, mentre il suo augusto marito lanciava la “guerra alla droga” e appena tre anni fa, nel 2010, la stragrande maggioranza delle donne, il 57 per cento, votava cocciutamente no ad ogni referendum. Ma adesso per l’appunto non è più così. Quando si sono aperte le urne, a Denver come a Seattle, si è infatti scoperto che in entrambi gli stati ben il 53 per cento dell’elettorato femminile aveva detto sì.

Ma le donne non si sono limitate a seguire l’onda, come si è visto a San Francisco all’inizio di febbraio, alla conferenza organizzata dalla Norml (la National organization for reform of marijuana laws). Sul palco, una dopo l’altra, sono arrivate Dale Sky Jones, presidentessa della Coalition for cannabis policy reform, la direttrice del Norml della California Ellen Kompf e Diane Goldstein, che guida la Law enforcement against proibition. E se la prima della lista ha imparato a non temere la marijuana dai suoi genitori hippies, l’ultima ha passato la sua vita a combatterla, visto che Diane Goldstein ha fatto la poliziotta per ben 21 anni. Ma adesso come le altre si è convinta che per difendere i propri figli adolescenti l’unica via è togliere l’erba dalle mani degli spacciatori. “Io ho imparato a mie spese come le politiche antidroga di questi anni siano state un totale fallimento – ha raccontato l’ex luogotenente della polizia di Redondo Beach ai giornalisti del blog “Smell truth” – L’unico risultato è stato quello di farci odiare, come poliziotti, da tutti”.

Senza per questo riuscire a liberare le strade della sua cittadina californiana, né quelle ben più pericolose dei ghetti di Chicago o di Harlem, dal crimine, piccolo e grande, che da sempre accompagna lo spaccio. Ed è in effetti il tema della sicurezza, più ancora che il piacere di tante consumatrici, che ha spinto le donne a cambiare idea sulla marijuana, che arriva negli Stati uniti, a tonnellate, grazie ai cartelli della droga messicani che, da qualche tempo, hanno sconfitto i loro “concorrenti” colombiani.

Dopo le vittorie dei referendum in Colorado e nello stato di Washington, ora la battaglia si è aperta in molti altri stati. E fa grandi passi, soprattutto sul fronte più caro alle donne, e alle mamme, la decriminalizzazione. In New Mexico e nelle isole Hawaii, le proposte di legge sono già state approvate, quantomeno in commissione, nei parlamenti locali, mentre in Oregon, Nevada e nello stato di Rodhe Island si discutono leggi sulla legalizzazione tout court. In realtà dietro la passione per la marijuana, come sempre, ci sono anche ragioni economiche. Là dove si può liberamente fumare, magari per alleviare le proprie sofferenze, visto che in tutto il mondo è ormai riconosciuto (anche se non accettato) il potere terapeutico dell’erba, il nuovo “prodotto” viene infatti regolarmente tassato. Con gran gioia dei governatori soprattutto negli stati più colpiti negli anni della Grande recessione, o in quelli dell’attuale anemica ripresa economica, e che possono così ora finalmente pagare gli stipendi agli insegnanti, o perché no, aprire nuove scuole e ospedali. Un circuito virtuoso insomma, che di nuovo coinvolge le donne e le loro famiglie, aiutandole a sopravvivere nelle maglie del fragile welfare americano. E che forse anche per questo paiono aver deciso ora di sostenere la bandiera della legalizzazione della marijuana.