Le bacheche di Facebook e i social network si riempiono di ecografie. Con tutti i rischi che ne seguono: e non è questione di privacy

Nascere in rete

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Ma c’è, o ci deve essere un limite al narcisismo di noi facebookkini? Sicuramente non c’è negli Stati Uniti se è vero quello che scriveva qualche settimana fa il Washington Post. Il nuovo trend infatti pare essere la pubblicazione sulla propria bacheca delle foto dei figli non ancora nati. Ecografie dettagliate, magari mese dopo mese, fino a quella arrivata qualche tempo fa su Fb, addirittura in 3D, dove il nascituro già pareva sorridere all’obiettivo, pronto a venire alla luce dopo pochi giorni. Il 30% delle quasi mamme americane fa così, spiegava l’arti- colo, citando uno studio del 2010 condotto attraverso il software Avg. Aggiungendo che del resto basta cliccare «Pregnancy ultrasound» su You Tube per vedere apparire la bellezza di 5230 ecografie. E ovviamente le percentuali diventano da capogiro dopo il parto, visto che il 92% dei piccoli tra 0 e due anni finisce in rete, su Fb o su Twitter e You tube. Non sempre però per il piacere degli «amici» e delle «amiche», come racconta con disagio Katherine Mullen. Ventottenne, neolaureata in «Women’s and gender studies», dopo aver subito l’invasione delle ecografie delle sue coetanee, ha deciso di dedicare all’argomento uno dei suoi paper universitari. Per ora però non ha trovato granché materiale e quindi ha deciso di sollevare il tema direttamente là dove è nato, ovvero in rete. Chiedendosi per l’appunto, come dice il titolo del suo articolo per Feministing.com, «Dove porre il limite?». Non solo per problemi di rispetto della privacy. Il problema infatti per Katherine, che ha persino rotto per questo con alcune amiche di Fb, è la distorsione che a suo parere questo nuovo trend provoca nell’immagine della futura madre. Se il feto diventa una persona, un bambino, prima del tempo e persino pubblicamente, si chiede la giovane femminista, non c’è il rischio che la madre si trasformi in un puro contenitore? Con un salto nel passato, quando, nel medioevo ma ancora poi per secoli e secoli, la gestante era per l’appunto solo questo. La questione non è di lana caprina, soprattutto in un paese dove l’aborto è sì legale, grazie alla famosa sentenza della Corte suprema del 1973, ma non è mai stato veramente accettato socialmente. Oggi chi è contrario supera il numero di chi pensa che debba essere la donna a decidere. E il Movimento per la vita americano, (e se  è per questo anche quello italiano), ha fatto della «personalità» del feto la sua bandiera. Innalzando gigantografie di bambini non nati a ogni manifestazione, soprattutto davanti alle, poche, cliniche degli Stati Uniti dove si può abortire. In realtà, nei commenti al suo articolo, poche paiono preoccupate quanto Katherine Mullen. Anzi, c’è chi, come Krista, madre di tre figli, racconta come sia del tutto normale dare una personalità a ciò che si muove nella tua pancia. Lo fanno tutte le mamme e non si vede perché dovrebbe fare scandalo quando, come adesso, il tutto finisce anche in rete. Per sentire però rispondere da Beth, che bisognerebbe avere un po' di sensibilità per chi magari ha appena abortito, o più semplicemente vorrebbe ma non può diventare madre. Peccato che loro, i fotogenici non nati non possano dire la loro.

* Quest'articolo è stato pubblicato su Alias (supplemento settimanale del manifesto) il 25 giugno 2011