Annie Ernaux e la sua scrittura minuziosa, distaccata e attenta, come una miniatura iperrealista

Scritti col bisturi - Annie Ernaux

3 min lettura
foto Flickr/Sarah

Autrice di una quindicina di romanzi, oltre a racconti, articoli di critica letteraria, pièces teatrali, Annie Ernaux è nata nel 1940. Cresciuta in un piccolo paese della Normandia da una famiglia di estrazione contadina, il padre lavora anche come operaio, e in seguito diventa proprietario di un bar-drogheria; la futura letterata studia e si laurea. Il divario tra l’affermazione come insegnante e poi narratrice di successo, e la provenienza sociale è al centro dell’intera produzione di Ernaux; la quale ha scelto uno stile originale per raccontare le differenze di classe. Il senso di vergogna per le proprie origini e l’acquisizione di una cultura e comportamenti borghesi la fanno sentire sempre in colpa e in bilico tra mondi opposti e inconciliabili. 

“Nello scrivere, una via stretta tra la riabilitazione di un modo di vivere considerato come inferiore e la denuncia dell’alienazione che l’accompagna. Poiché quella maniera di vivere era la nostra, persino felice, ma anche umiliata dalle barriere della nostra condizione (consapevolezza che 'da noi non è abbastanza come si deve'), vorrei dirne allo stesso tempo la felicità e l’alienazione. E invece, impressione di volteggiare da una sponda all’altra di questa contraddizione.”

La sua scrittura è considerata una sorta di auto-socio-biografia, dove con scrittura fredda e distaccata si dispiega la materialità quotidiana del linguaggio, dei comportamenti, delle cose appartenenti al mondo di una famiglia francese povera durante e dopo la guerra, fatto di obblighi e costrizioni da rispettare, mansioni faticose, ristrettezze, poche parole e molti silenzi; e anche il gigantesco scenario mercantile della contemporaneità. 

Scritto dopo la morte del padre, Il posto (La Place), di recente pubblicato in italiano dalla casa editrice L’Orma, è il libro che l’ha rivelata nel 1984 e le ha fatto vincere il premio Renaudot. Centrato sulla figura paterna, Ernaux utilizza da virtuosa il suo caratteristico stile ‘piatto’, paragonato a un bisturi che incide la lingua con metodica precisione. Come ha spiegato nel testo/intervista intitolato L’Écriture comme un couteau, la scrittrice si richiama all’idea rivendicata da Leiris di una letteratura simile alla tauromachia: “Mi piacciono le frasi senza metafore, senza effetti, come selci affilate che incidono sul vivo, scorticano”. Nel Posto aveva commentato che le parole e le frasi utilizzate in questo modo “dicono i limiti e il colore del mondo in cui visse mio padre, in cui anch’io ho vissuto. E non si usava mai una parola per un’altra”.                             

Sono soprattutto le cose – vestiti, suppellettili, mobilio – a definire con precisione meticolosa e a stabilire le differenze tra il mondo dove la scrittrice abiterà successivamente e il milieu familiare. In quest’ultimo c’è una “obbligata sacralizzazione delle cose” perché “tutto costa caro”. 

Lo stile acuminato, impregnato di fredda ironia, serve da guida nei libri come il Journal du dehors costruito con le scene e le parole ascoltate da Ernaux tra il 1985 e il 1992 negli ipermercati e nei centri commerciali della Ville Nouvelle alla periferia di Parigi, dove la scrittrice abita. Le frasi raccolte sui treni e per la strada, quelle in lettere giganti dei cartelloni pubblicitari, i prezzi segnati sui prodotti in vendita, i comportamenti dei clienti, compaiono sulla pagina scritta con la meticolosità attenta di una miniatura iperrealista. Nel recente Regarde les lumières mon amour (2014) Ernaux ha raccolto gli appunti delle visite fatte durante un intero anno all’ipermercato Auchan di Trois-Fontaines, fuori Parigi: sembra una versione romanzata postmoderna delle righe iniziali del Capitale di Marx.