Politiche

Indonesiane, filippine, vietnamite. Arrivano a Taiwan per prendersi cura di anziani e malati, non prima di essere state addestrate da un programma governativo serratissimo che le richiede remissive e servili, prive di trucco e con i capelli corti

Le badanti di Taiwan
addestrate al servilismo

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Foto: Unsplash/ Catt Liu

Ho coniato l’espressione “esternalizzare la pietà filiale” nel 2006 per descrivere come l’impiego di assistenti migranti in regime di convivenza fornisca una risposta al paradosso che vede, da un lato, la cultura dell’assistenza basata sulla pietà filiale e, dall’altro, l’esternalizzazione dell’attività di assistenza. Assumendo lavoratori e lavoratrici migranti in qualità di “familiari fittizi”, la popolazione adulta taiwanese ha la possibilità di mantenere in vita il modello tradizionale che prevede la convivenza di tre generazioni sotto lo stesso tetto, nonché di onorare il precetto della pietà filiale, proprio del confucianesimo. Una tale soluzione, che consiste nell’inserimento dell’assistente all’interno della famiglia, è ampiamente diffusa non solo a Taiwan ma anche nei paesi dell’Europa meridionale, dove molte famiglie ricorrono a lavoratori e lavoratrici migranti in regime di convivenza al fine di mantenere in vita la tradizione culturale del familismo nonché il modello culturale che considera il lavoro di cura appannaggio delle donne.

A Taiwan prendersi cura di padri e madri in età avanzata è considerato un dovere per i figli e per le nuore, e la convivenza di tre generazioni sotto lo stesso tetto rimane la soluzione preferenziale per la popolazione anziana. In linea con quanto affermato, le indagini condotte a livello nazionale hanno evidenziato che più del 60% della popolazione anziana taiwanese preferisce vivere con i propri figli e le proprie figlie in età adulta, e una percentuale simile di popolazione anziana risulta di fatto essere in tale condizione. Solamente una fetta di popolazione anziana inferiore al 2% guarda ai servizi di assistenza istituzionalizzati come alla soluzione ideale. Secondo le stesse indagini, il 13% della popolazione anziana in condizioni di vulnerabilità ha dichiarato di ricorrere a lavoratori e lavoratrici provenienti da altri paesi per ricevere assistenza nelle loro necessità quotidiane. Tale percentuale raggiunge il 31% a Taipei, nonostante la maggior parte della popolazione anziana in quest’area viva ancora con i propri figli e le proprie figlie.

Sebbene il governo taiwanese abbia iniziato ad attuare programmi di lungoassistenza finanziati con fondi pubblici e finalizzati a fornire assistenza specifica a persone con disabilità fisiche o mentali, le risorse stanziate risultano essere scarse e la copertura resta limitata. Il governo fa ancora affidamento sulle migranti in quanto “personale di assistenza straniero” al fine di protrarre la privatizzazione del sistema dell’assistenza sociale. Il reclutamento di badanti e di lavoratori e lavoratrici domestiche – che ammontavano a 240.000 nel 2017 – avviene attraverso uno specifico programma per “lavoratori e lavoratrici ospiti”, varato nel 1991. Si tratta principalmente di donne provenienti dall’Indonesia (77%), dalle Filippine (13%) e dal Vietnam (10%). La durata massima del permesso di lavoro è inizialmente fissata a tre anni, per poi essere gradualmente estesa agli attuali dodici anni. Tuttavia, questi soggetti non hanno la possibilità di ottenere il ricongiungimento familiare, la residenza permanente o la naturalizzazione.

La forza lavoro migrante del settore dell’assistenza viene collocata principalmente all’interno delle famiglie, piuttosto che all’interno di strutture di tipo medico o assistenziale. Lo stipendio mensile si aggira intorno ai 550 dollari statunitensi, al di sotto del salario minimo in vigore a Taiwan. A tali lavoratori e lavoratrici è richiesto di svolgere attività di assistenza alla persona nonché una disponibilità e reperibilità su base continuativa in regime di convivenza; le loro mansioni spesso si confondono con quelle del personale di assistenza nonché dei collaboratori e delle collaboratrici domestiche. Entrambe le figure professionali rappresentano un’estensione delle responsabilità familiari delle donne, definite dal sistema di assistenza tradizionale, incluso il dovere filiale della nuora di prendersi cura del proprio suocero e della propria suocera in età anziana. Il ruolo atteso della “famiglia acquisita” spiega la preferenza dei datori di lavoro per la forza lavoro femminile. Lo stato, inoltre, non riconosce pienamente il valore del lavoro svolto all’interno della famiglia: il lavoro domestico e assistenziale non è infatti tutelato dalla disciplina giuslavoristica taiwanese.

Reclutare persone remissive 

A Taiwan, le famiglie si rivolgono alle agenzie di collocamento, che – in collaborazione con le omologhe nei paesi di provenienza – forniscono una serie di servizi tra cui il reclutamento e la formazione della forza lavoro, l’abbinamento tra domanda e offerta di lavoro, la preparazione della documentazione e l’organizzazione del viaggio.

Le agenzie di collocamento dei paesi di provenienza forniscono una rosa di candidati e candidate dal carattere “remissivo”, scelti a seguito di un’accurata procedura di selezione. Tendono a escludere candidati e candidate che “sembrano troppo intelligenti” e che sembrano “avere un carattere forte”. Non sempre la loro preferenza cade su coloro che hanno già prestato servizio all’estero, o sui candidati e sulle candidate che presentano una somiglianza etnica con i datori di lavoro taiwanesi, come ad esempio gli indonesiani di origine cinese. Avere dimestichezza con la società locale o con la lingua non è considerato un vantaggio per la performance lavorativa, quanto piuttosto un ostacolo al controllo della forza lavoro. Ciò è stato chiarito da una delle agenzie di collocamento, che ha dichiarato: “Se parlano cinese, chiederebbero in giro e farebbero confronti. Se hanno legami a livello locale, fuggono.”

La diversità etnica viene vista come una linea di demarcazione per sottolineare la differenziazione gerarchica tra forza lavoro migrante e datori di lavoro. Allo stesso tempo, al momento di analizzare i profili di candidati e candidate, preparati dalle agenzie di collocamento, i futuri datori di lavoro tendono a preferire le persone con un colore della pelle più chiaro. Ad esempio, la popolazione vietnamita viene preferita per la sua carnagione simile a quella della popolazione cinese, mentre gli incarnati più scuri vengono associati a un senso di sporcizia, stupidità, bruttezza e inferiorità razziale. In altre parole, i datori di lavoro considerano le differenze etniche come una linea di demarcazione dello status, nonché come un indicatore della sottomissione di lavoratori e lavoratrici; al contempo, guardano con preoccupazione alla distanza culturale, perché potrebbe anche rappresentare un ostacolo per la performance lavorativa all’interno di una famiglia moderna. Le agenzie di collocamento riescono a risolvere questo paradosso nell’ambito del percorso di formazione.

A scuola di deferenza

Il governo taiwanese esige che il personale di assistenza e i lavoratori e le lavoratrici domestiche provenienti dall’estero ricevano un minimo di 90 ore di formazione prima del loro arrivo a Taiwan. Il governo indonesiano richiede alle potenziali lavoratrici domestiche che presteranno servizio a Taiwan e a Hong Kong di completare 600 ore di formazione per acquisire informazioni e prepararsi al loro prossimo impiego. Al fine di migliorare la nicchia di mercato delle potenziali migranti, alcune agenzie di collocamento taiwanesi hanno aperto delle filiali in Indonesia o collaborano con le agenzie locali all’attuazione di un programma di formazione di natura residenziale. In generale, ciascuna lavoratrice migrante partecipa a tali attività per un periodo che va dai due ai tre mesi prima della sua partenza.

Il percorso formativo del centro che ho visitato in Indonesia constava di 454 ore e iniziava con lezioni di educazione morale e di etica del lavoro. Il dogma morale del confucianesimo veniva insegnato con lo scopo di correggere ciò che veniva percepito come “inadeguatezza morale” delle migranti, nonché di distogliere queste ultime dalle attività di prostituzione. Inoltre, queste lezioni di morale erano finalizzate a trasformare la popolazione che vive nei villaggi in una forza lavoro produttiva e obbediente, inculcando e incoraggiando un atteggiamento di soggezione nei confronti dei datori di lavoro.

Il percorso formativo includeva conoscenze e competenze in vari ambiti: lavoro domestico, cucina, babysitting e assistenza agli anziani. L’esperienza maturata dalle migranti nell’assistenza ai membri della propria famiglia veniva liquidata in quanto pratica antiquata svolta in condizioni igieniche non adeguate. Alle migranti è stato insegnato come prendersi cura di bambini e bambine e delle persone anziane secondo modalità approvate dal personale medico e nel rispetto delle norme igieniche. Le potenziali lavoratrici hanno inoltre appreso come svolgere le faccende domestiche in modo “efficiente” e “adeguato”, incluse le regole del galateo e altre attività (servire a tavola, fare il bucato e occuparsi dello stiro, nonché utilizzare le apparecchiature elettriche ed elettroniche moderne, tra cui gli aspirapolvere e i forni a microonde). La trasmissione delle conoscenze relative al lavoro domestico era finalizzata a riorientare queste potenziali lavoratrici verso gli stili di vita urbani delle famiglie moderne.

Un consistente numero di ore di formazione ha riguardato l’insegnamento delle lingue straniere, incluso l’inglese e il mandarino. La conoscenza della lingua cinese rappresenta il vantaggio più significativo che le lavoratrici indonesiane posseggono rispetto alle concorrenti filippine. I datori di lavoro taiwanesi assumono solitamente migranti filippine per occuparsi di bambini e bambine piuttosto che degli anziani. Sebbene le famiglie con un livello di istruzione più basso sfruttino il vantaggio ulteriore rappresentato dall’insegnamento della lingua inglese a favore dei loro bambini e delle loro bambine, guardano con preoccupazione alla perdita di autorità nei confronti delle lavoratrici filippine che conoscono la lingua inglese. L’insegnamento della lingua cinese alle migranti indonesiane è finalizzato a facilitare le comunicazioni, contribuendo al contempo a sottomettere la lavoratrice al giogo linguistico del proprio datore di lavoro.

Durante il percorso formativo, il corpo delle migranti viene trasformato in modo da mostrare deferenza sul futuro luogo di lavoro. In molti centri di formazione, è proibito truccarsi e, per quanto riguarda i capelli, è richiesto un taglio corto, sebbene i capelli lunghi vengano generalmente considerati in Indonesia come un elemento fondamentale della bellezza femminile. Molte delle donne migranti con le quali ho parlato a Taiwan ricordavano con tristezza il momento in cui, all’atto dell’iscrizione al centro di formazione, hanno dovuto tagliarsi i capelli. Le regole in materia di acconciature e trucco reprimono l’estetica femminile delle migranti e ne limitano l’appeal sessuale sul luogo di lavoro all’interno della famiglia; il look androgino rispecchia la preferenza dei datori di lavoro per persone di servizio dall’apparenza semplice e senza stile.

Sostitute ossequiose

Gli intermediari taiwanesi cercano donne che vivono nei villaggi che corrispondano all’immagine di lavoratrice servile e possano fungere da “sostitute ossequiose” delle proprie datrici di lavoro. Il programma di formazione non solo fa leva sull’inclinazione delle lavoratrici al servilismo ma trasmette loro le nozioni del lavoro domestico moderno. La diversità etnica delle lavoratrici migranti viene considerata uno strumento per razionalizzare la loro condizione di inferiorità all’interno delle abitazioni nelle quali prestano servizio, nonché la loro esclusione sociale nel paese di destinazione.

Sebbene le lavoratrici migranti vengano accolte all’interno della famiglia per svolgere il ruolo di “familiari acquisite”, non godono delle tutele riconosciute dalla normativa giuslavoristica e vengono a trovarsi in una condizione di vulnerabilità in quanto lavoratrici usa e getta. Alcune di queste lavoratrici ospiti vivono e lavorano a Taiwan da più di 10 anni, ma il loro status giuridico è rimasto sempre temporaneo. Attribuire alle lavoratrici migranti un’analogia con le persone legate da un vincolo di parentela non solo rafforza la natura informale e precaria delle condizioni di lavoro delle prime, ma ostacola anche il programma politico avente come obiettivo la socializzazione e la professionalizzazione dell’assistenza. 

Riferimenti

Bettio, Francesca, Annamaria Simonazzi e Paola Villa. 2006. Change in Care Regimes and Female Migration: The ‘Care Drain’ in the Mediterranean. Journal of European Social Policy 16 (3): 271-285.

Lan, Pei-Chia. 2006. Global Cinderellas: Migrant Domestics and Newly Rich Employers  in Taiwan. Durham, NC: Duke University Press.

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