Con la nomina di Daria De Pretis alla Consulta, il presidente Napolitano rompe la vecchia regola non scritta per cui tra i supremi giudici c'era posto solo per una donna alla volta. Una lezione per il Parlamento, mentre continua lo stallo per i membri di nomina parlamentare. Forse perché lì non si vuole guardare oltre criteri come i legami (e il sesso) giusti
Con le due nomine di sua competenza di giudici alla Corte Costituzionale, Napolitano ha battuto il parlamento su due, anzi tre, fronti diversi. Il primo, rilevato da tutti i commentatori, è che mentre il Parlamento si attarda invischiato in veti e contro veti, lasciando vuote da tempo due poltrone in un organismo cruciale per la democrazia, il presidente della Repubblica ha nominato i giudici di sua spettanza prima che quelli che debbono sostituire venissero a scadenza, in modo da garantire la continuità e il funzionamento della Corte senza soluzione di continuità.
Ma ci sono altri due motivi per cui Napolitano ha dato una lezione al Parlamento. Il primo riguarda la scelta di almeno uno dei due neo-giudici di chiara indipendenza dai partiti ed insieme portatore di competenze non esclusivamente costituzionali, ma necessarie in un contesto in cui la costituzionalità delle norme si deve confrontare con una complessità crescente dei livelli di regolazione e di attività. È il caso di Daria De Pretis, attuale rettrice dell’Università di Trento, con una carriera tutta professionale, tra università e, prima di diventare rettrice, il suo studio di avvocata amministrativista. Con una solida reputazione di studiosa alle spalle – un suo libro ha anche vinto un premio come uno dei dodici migliori nel suo campo – rafforzata da una forte apertura internazionale, non solo non fa parte del gruppo dei costituzionalisti cui normalmente si pensa quando si tratta di individuare candidati adatti per la Corte, ma neppure dei giri romani e del notabilato con curricula politici o parapolitici alle spalle da cui ama pescare il Parlamento.
È apparsa alla ribalta pubblica quando, poco più di un anno fa, è diventata rettrice dell’università di Trento, la prima in Italia, cui ne sono fortunatamente seguite alcune altre, quasi che la sua elezione avesse segnalato, finalmente, la rottura di un tabù, di un divieto non scritto. Con la sua nomina Napolitano ha rotto un'altra regola non scritta, che lui stesso, quando nominò Amato, sembrava aver confermato: che alla Consulta c’è posto solo per una donna per volta. Perciò se ne può nominare una solo quando scade quella in carica.
Questa volta, a fronte di due giudici uomini arrivati a scadenza, li ha sostituiti con un uomo e una donna. L’equilibrio di genere della Corte rimane fortemente squilibrato (due sole donne su quindici giudici), senza che ce ne sia alcun motivo legittimo, ma non per colpa del Presidente Napolitano. Ricordo che il Parlamento non ha mai, ripeto mai, nominato una donna tra i giudici costituzionali di propria competenza. Lo stesso vale per le nomine di competenza delle supreme magistrature ordinarie e amministrative (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti). Eppure ci sono molte docenti ordinarie di diritto, magistrate, avvocate che avrebbero, ed hanno avuto in passato, i titoli per essere prese in considerazione, più di altri che, per appartenere alle cordate - e al sesso - giuste, sono stati invece nominati o anche solo presi in considerazione.
Forse, se il Parlamento provasse a guardare oltre il proprio ombelico, considerasse davvero il merito e l’appropriatezza delle competenze rispetto al bisogno e non solo cursus honorum politici e parapolitici, anche dignitosi, da premiare e interessi immediati da salvaguardare, troverebbe altre Daria De Pretis da designare senza vergognarsi. Per ora chi, come me, ha speso una vita perché venisse riconosciuta la capacità, le competenze, e talvolta la stessa esistenza sociale e professionale delle donne, non può che rallegrarsi di questa scelta del Presidente Napolitano. Perché porta alla Corte una persona competente, indipendente, di grande equilibrio e capacità di ascolto attento delle diverse ragioni, ed allo stesso tempo rompe un’altra piccola-grande barriera sul (troppo) lento processo di allineamento istituzionale al principio di uguaglianza e pari opportunità.