Opinioni

La vittoria di Trump alle ultime elezioni americane segna il trionfo di un paladino della mascolinità, che sostiene il ritorno a valori tradizionali e rigidi ruoli di genere. Un'analisi femminista mostra come il rinsaldarsi degli ideali patriarcali abbia plasmato il panorama elettorale americano, e ne indaga le implicazioni di genere

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Credits Unsplash/NIPYATA!

A pochi giorni dalle elezioni americane, uno dei più autorevoli sondaggisti statunitensi ha annunciato che in Iowa si era aperto un divario di genere significativo nell’intenzione di voto: sembrava che un numero di donne senza precedenti stessero sostenendo Kamala Harris. Fino a quel momento gli opinionisti, che ora rabbrividivano, ci avevano ripetuto fino a insegnarcela a memoria la lista degli stati in bilico (swing states): Michigan, Wisconsin, Pennsylvania (il “muro blu”, speranza dei democratici) e Nevada, North Carolina, Arizona, Georgia (aspirazione dei repubblicani), come se, in queste elezioni, fossero gli unici davvero importanti. Una lista in cui l’Iowa – solida roccaforte repubblicana – non era compreso. 

Se le donne rimettevano in gioco il voto in Iowa forse potevano anche salvare la Repubblica da Donald Trump e i suoi accoliti? Era possibile che la scelta di voto delle donne potesse essere il fattore in grado di cambiare l’esito delle elezioni?

C'era motivo di credere che potesse essere così. In primo luogo, le donne sono più numerose degli uomini nelle liste elettorali statunitensi. In secondo luogo, hanno una maggiore propensione al voto rispetto agli uomini. Terzo, rispetto agli uomini, le donne favoriscono sistematicamente candidati e candidate democratiche. 

Inoltre, era chiaro che l'abolizione della protezione costituzionale del diritto all'aborto da parte della Corte Suprema avesse galvanizzato elettori ed elettrici nella difesa dell’autonomia riproduttiva delle donne, anche negli stati più conservatori. Non era quindi irragionevole, per chi sosteneva Kamala Harris, sintonizzarsi sui notiziari, mentre i risultati iniziavano ad arrivare, con uno stato d'animo cautamente ottimista. 

“Potrebbe farcela”, ci siamo ripetute io e le mie amiche. “Non è un'illusione, ricordate l'Iowa”. Ma quando ho spento la luce, prima delle 23.00, il risultato era già angosciosamente chiaro. A differenza di otto anni fa, quando l'improvvisa vittoria di Donald Trump colse di sorpresa il paese (e, a quanto pare, lo stesso Trump), questa volta ero pronta. Nelle prime ore del 6 novembre, mi sono svegliata con il suo discorso ondivago di autocompiacimento, credendo che le dinamiche di genere non avessero avuto effetto.

Mi sbagliavo. Il divario di genere ha influito sull'esito delle elezioni, o almeno vi ha contribuito, ma non nella direzione che avevo sperato. Come è accaduto per molte elezioni, ancora una volta gli uomini hanno sostenuto il partito repubblicano più delle donne. Gli exit poll hanno rivelato una differenza di dieci punti tra il sostegno degli uomini a Trump (55%) e quello delle donne (45%), sebbene più donne abbiano votato per Donald Trump rispetto al 2020, spingendo molti a chiedersi come mai le donne abbiano preso le distanze dalla candidata alla più alta carica del paese. Lo scarto però è stato minimo, e anche se in futuro sapremo se siamo di fronte a una tendenza (le donne stanno diventando più simili agli uomini?), nell'immediato il divario di genere è rimasto significativo. 

In quasi tutti i principali gruppi etnici e razziali, la maggioranza degli uomini ha scelto il candidato repubblicano. Ironia della sorte, con l'eccezione degli uomini neri. Nonostante la loro evidente deriva a destra si sia tradotta in un duro rimprovero da parte di Barack Obama e nell'appassionata richiesta di empatia di Michelle Obama, gli uomini neri rappresentano il più forte sostegno maschile ad Harris (78%), in contrasto con il 37% dei bianchi e il 44% degli ispanici/latini.

Le donne bianche laureate hanno sostenuto Harris, mentre le donne bianche senza laurea hanno votato per Trump. In effetti, poiché le donne bianche senza una laurea sono più numerose delle altre, questo significa che le donne bianche hanno votato complessivamente di più per il Partito Repubblicano.

Ci sono tuttavia segnali che indicano che le tendenze attuali potrebbero non essere un presagio del futuro: le giovani donne hanno decisamente respinto Trump. Ha scelto Harris il 61% di quelle di età compresa tra i 18 e i 29 anni – ma solo il 47% dei giovani uomini, con un'indicazione preoccupante dello stato delle relazioni sociali. Nel complesso, quindi, siamo di fronte a un divario significativo: gli uomini hanno portato al trionfo di Donald Trump, mentre le donne non sono riuscite a salvare la candidatura di Kamala Harris.

Le teorie su cosa sia accaduto ai democratici (e quindi su ciò che potrà succedere o succederà tra due, quattro, dieci anni) hanno acceso un intenso dibattito. 

Molti hanno rimproverato al partito democratico la presunta, catastrofica incapacità di entrare in contatto con la massa delle "persone comuni” (sorvolando in qualche modo sul fatto che milioni di quelle che presumibilmente sono persone comuni hanno votato per Harris). La causa andrebbe ricercata tendenzialmente in tre direzioni: in primo luogo, nell'economia. Il tasso di inflazione complessiva (non-core), che riguarda beni di prima necessità come gli alimenti, non corrisponde al tasso della cosiddetta inflazione di base (core), che gli esperti considerano generalmente come la misura della salute dell'economia. Nei supermercati come alle pompe di benzina, le consumatrici e i consumatori hanno visto i prezzi aumentare significativamente dopo l’elezione di Biden. 

Qualunque sia la causa – l'impatto del Covid-19 sulle infrastrutture per l'approvvigionamento o le politiche dell'amministrazione Biden – resta il fatto che negli Stati Uniti la maggior parte delle persone ha sperimentato un calo del potere d'acquisto di beni essenziali. Il costo degli alloggi, ad esempio, è rimasto ostinatamente alto. E sebbene poco prima delle elezioni i tassi di inflazione dei generi alimentari, per fare un altro esempio, siano diminuiti, potrebbe aver pesato il ricordo dei bruschi picchi nei mesi precedenti accentuando la sfiducia nei confronti dell’amministrazione dei democratici.

Tuttavia, se prendiamo in considerazione il genere, il potere esplicativo di questa teoria appare limitato. Secondo uno schema delineatosi nelle elezioni precedenti, sebbene le donne bianche senza istruzione universitaria abbiano votato in maggioranza per Trump – le uniche tra tutti i gruppi di donne –, non lo ha fatto la maggior parte di quelle non bianche di tutti i gruppi etnici/razziali (che in genere registrano livelli più elevati di svantaggio economico). 

Non è semplice costruire un'argomentazione convincente che tenga conto della classe ignorando gran parte della classe su cui quella stessa argomentazione si regge. Sebbene parte del sostegno complessivo dato a Trump trovi spiegazione nell'inflazione, quest'ultima non spiega il numero proporzionalmente maggiore di voti ottenuti da Harris da parte delle donne. (Una spiegazione economica diversa, incentrata sulla promessa di Trump di utilizzare i dazi per riportare l'industria manifatturiera – e quindi i posti di lavoro nel settore – negli Stati Uniti, può contribuire a spiegare perché gli uomini neri e ispanici/latini della classe operaia hanno sostenuto Trump con percentuali senza precedenti).

Anche l'immigrazione viene spesso citata come uno dei fattori che hanno contribuito alla vittoria repubblicana, nonostante in realtà solo l'11% delle persone votanti intervistate la considerasse come la questione più importante nella corsa alle presidenziali. Il fatto che il 90% di chi ha indicato l'immigrazione come una delle principali preoccupazioni facesse parte dell'elettorato di Trump (contro solo il 9% di quello di Harris), seppure degno di nota, rende difficile stabilire se questo tema sia stato effettivamente determinante. 

Un numero più alto di votanti ha considerato l’aborto un tema di importanza centrale, e anche in questo caso il divario tra i sostenitori di Trump e quelli di Harris è stato netto. Ma il dato più interessante riguarda i referendum a sostegno del diritto all'aborto approvati in sette stati, quattro dei quali hanno votato per Trump. Forse queste iniziative elettorali hanno dato all'elettorato la possibilità di scindere il proprio voto – difendendo l'aborto come singola questione, ma preferendo Trump (con la sua posizione ambigua sull'aborto) in generale. È impossibile dire se, senza il margine di manovra concesso da queste iniziative elettorali, le persone che sostengono il diritto all'aborto non avrebbero votato per Harris, che ha messo i diritti riproduttivi al centro della sua campagna.

L'aborto si collega al terzo fattore che viene costantemente messo in evidenza: il sesso (o meglio, il genere). I democratici non solo hanno ignorato le persone, ma hanno anche violato le loro convinzioni fondamentali, non tenendo conto delle loro paure profonde legate al sesso e al genere. La paura che bambini e bambine potessero iniziare la transizione di genere a scuola, senza che i genitori ne fossero informati; che le ragazze e le donne dovessero competere nello sport contro femmine che, dal punto di vista biologico, prima erano maschi, ma ora identificate da un punto di vista di genere come tali; che i maschi condividessero gli spogliatoi e i bagni con le donne: con l'aiuto di alcuni insensati spauracchi che l'allora ex presidente Trump amava fomentare, come il fatto che una ragazza potesse andare a scuola come femmina e tornare a casa come maschio (o viceversa), la retorica repubblicana ha tradotto nell'esperienza quotidiana degli americani paure potenti ma astratte sui diritti delle persone trans.

Secondo i dati citati dal New York Times, ogni volta che i futuri elettori hanno letto una dichiarazione che alimentava la paura delle persone trans, il sostegno di Trump è aumentato del 2,7%. Un'ulteriore conferma di questa analisi potrebbe venire da uno dei dati più interessanti di cui disponiamo: il voto dei genitori. Le madri, infatti, hanno votato per Harris ben 4 punti in meno rispetto alle donne senza figli. Ma è il voto dei padri che salta all'occhio: ha votato per Trump il 52% degli uomini in generale, e il 60% dei padri. Quindi, ancor più che lo status di genitore, anche questo aspetto del voto ha ancora una volta evidenziato lo scarto di genere degli uomini nei confronti di Trump. Infatti, ha votato per Trump il 60% degli uomini sposati (contro il 51% delle donne sposate), un dato che suggerisce come l'attrazione politica degli uomini sposati verso il candidato repubblicano fosse particolarmente forte.

Sono state quindi le elezioni degli uomini? Ovviamente, ma non solo. Non potevano esserlo per una semplice ragione matematica: ci sono più donne nell'elettorato, e più voti. Le donne votano, ma non necessariamente votano per le donne. E il modo in cui valutano alcune questioni non è necessariamente allineato alle politiche di genere. Una cosa, però, è chiara: il risultato elettorale è stato guidato dagli uomini.

La campagna di Trump ha fatto assiduamente leva sulla “maschiosfera”. Sarà necessario comprendere a fondo questa straordinaria efflorescenza di mascolinità lesa, che nel 2024 ha aiutato gli uomini a garantire la vittoria di un paladino della supremazia maschile. Trump ha giurato di proteggere le donne, “che a loro piaccia o meno”. Your body, my choice, gridano in coro gli uomini della maschiosfera, che ormai sono milioni, in evidente contrapposizione allo storico “my body, my choice” delle femministe. È proprio l'affermazione del diritto delle donne all'autodeterminazione che alimenta la rabbia nella maschiosfera, una rabbia che li lega gli uni agli altri. Amano odiare insieme.

Tuttavia, ci sono segnali che indicano che il desiderio di tornare ai valori convenzionali non è solo un fenomeno di piazza, che si nutre di rancore e violenza. Negli Stati Uniti, e non solo, le “mogli tradizionali” (trad wives) raccolgono un seguito immenso sui social media. “Il locale più in voga di New York è la Chiesa cattolica”, ha scritto un'opinionista del New York Times, raccontando di giovani influencer che dettano nuove tendenze pubblicizzando la loro ritrovata religiosità. 

La maschiosfera, le mogli tradizionali e la rinnovata passione per la religione possono essere interpretate come un desiderio di infrangere le regole del decoro liberale? La volontà di scioccare – anzi, di scioccare come strategia – mostrata da Trump durante la campagna elettorale è diventata ancora più evidente nelle sue nomine a posizioni governative strategiche. Un certo livello di rispetto per i diritti delle donne era diventato parte delle regole di civiltà; non rispettarli significa anche dichiarare di non rispettare le politiche dalle quali derivano.

Ma, cosa forse ancora più importante, nel fascino esercitato Trump gioca un ruolo chiave il desiderio di infrangere le regole. “Che a loro piaccia o meno”, come ha detto a proposito della sua determinazione a proteggere le donne, è l'ultima trasgressione delle norme liberali, e anche un segno distintivo del carisma di Trump. Come aveva già sottolineato molto tempo fa Max Weber, un leader carismatico è tale proprio perché disdegna le convenzioni. Al contrario, manifesta e mantiene la sua autorità ignorando le regole – e collocando tutta l'autorità normativa all'interno di sé.

Il carisma, lo sanno tutti i liberali, è pericoloso per la politica della ragione, del rispetto e della tolleranza. E al momento, sembra che siano gli uomini quelli più attratti da una politica di magnetismo personale.

In sintesi, quello del 2024 è uno scarto di genere a carattere maschile. Resta da vedere se rimarrà tale. Sono molte le strade che portano le persone a sostenere Trump. Ognuna delle spiegazioni sopra descritte – economia, immigrazione, norme legate all'identità sessuale/di genere – svolge un ruolo. Rimane da capire perché ognuna di esse sembra esercitare un'attrazione più forte per gli uomini che per le donne. Forse prima o poi qualcuno scriverà un saggio intitolato “cosa vogliono gli uomini?”, e fornirà la solida analisi di genere delle recenti elezioni americane che tutte stiamo aspettando.