Politiche

Come incide il femminismo sulla politica, e quali sono le implicazioni del movimento sul divario di genere in parlamento? Il caso della marcia delle donne americane e il suo impatto sul congresso statunitense

L'impatto del femminismo
nella politica americana

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Foto: Unsplash/Josh Howard

Le donne costituiscono un quarto dei parlamentari negli Stati Uniti, una frazione che è costantemente aumentata rispetto al 5% del 1990. Nonostante i progressi degli ultimi trent’anni, il divario di genere nella rappresentazione politica sembrerebbe suggerire che le donne si trovano davanti ostacoli che impediscono loro di ricoprire uffici politici a livello federale. Le quote rosa si sono dimostrate una politica top-down utile per ridurre il divario di genere, ma non c’è consenso sulla possibilità che l’attivismo femminista bottom-up possa aiutare a ridurre il divario di genere nella rappresentazione politica. La marcia delle donne del 2017 costituisce pertanto un caso studio interessante per fare chiarezza su questa possibilità.

Il 21 gennaio 2017 quattro milioni di persone in tutto il mondo hanno partecipato alla Women’s March, la manifestazione contro l’inizio del mandato presidenziale di Donald Trump. Negli Stati Uniti più dell’1% della popolazione ha deciso di uscire di casa per protestare in 614 città diverse. Grazie alla sociologa Dana Fisher, che ha intervistato la folla il 21 gennaio 2017 e ha seguito i cosiddetti resisters negli anni seguenti, sappiamo che la maggior parte delle manifestanti erano donne altamente educate che si identificavano come democratiche. Sappiamo anche che la maggior parte di queste donne sono scese in piazza per la prima volta proprio in occasione della marcia del 2017.

Il movimento della marcia delle donne è nato online, quando l'attivista Teresa Shook ha postato su una pagina Facebook anti-Trump una semplice frase: “dovremmo marciare”. Il suo post è diventato virale nel corso di una notte, costituendo il preludio di quella che è stata la manifestazione più grande della storia statunitense fino a quel momento. A partire da quel post, diversi gruppi di interesse (tra cui Black Live Matters e Occupy Wall Street) hanno deciso di radunarsi dietro il rosa simbolo della marcia, scendendo in piazza il 21 gennaio per ribadire che i diritti delle donne sono diritti umani.

Ma i diritti delle donne non erano l’unico motivo per cui le persone sono scese in piazza: Fisher nel suo libro racconta come le principali preoccupazioni delle manifestanti fossero legate all’ambiente, ai diritti civili e in generale al diritto all’uguaglianza. In pratica, la manifestazione è stata un urlo di dissenso contro tutte le politiche proposte da Trump durante la sua campagna elettorale. Ciò nonostante, l’evento ha finito per essere un esempio lampante di leadership al femminile. Basti pensare al Pussyhat project, un movimento nato per creare i cappelli rosa fatti a maglia che hanno fatto passare alla storia le immagini della marea rosa che ha invaso le strade delle principali città statunitensi quel 21 gennaio.

La marcia americana potrebbe aver segnato un punto di rottura per quanto riguarda l’accettazione sociale delle donne come leader politici e la loro volontà di partecipare ai processi decisionali istituzionali. Le figure 1, 2 e 3 mostrano l’andamento storico della partecipazione femminile alla Camera dei Rappresentanti del Congresso statunitense. Rappresentano rispettivamente: la frazione di distretti elettorali dove è stata eletta una donna, la frazione di distretti con almeno una candidata donna nelle primarie e la frazione di donne candidate nelle primarie. La linea rosa rappresenta la Marcia delle Donne del 2017. È possibile notare una discontinuità temporale dopo di essa, come se politicamente esistesse un “prima” e un “dopo”. 

Figura1. Andamento storico della frazione di distretti elettorali del Congresso statunitense che hanno eletto una donna nella Camera dei Rappresentanti

Fonte: Elaborazione su dati CAWP

È possibile mettere in relazione la manifestazione femminista con la partecipazione delle donne alla politica federale statunitense? Fisher descrive nel suo libro proprio come le stesse donne che sono scese in piazza il 21 gennaio 2017 siano successivamente diventate politicamente attive sul proprio territorio, impegnandosi in attività locali di vario genere. Di particolare rilevanza appare l’impegno di queste donne nel fare campagna elettorale per il Partito Democratico (PD). Un esempio vivente della complementarità tra il movimento della marcia delle donne e la campagna elettorale del PD è costituito da Amanda Lewis, la quale ha ricoperto il ruolo di assistente esecutiva sia del movimento che della campagna elettorale di Bernie Sanders per le primarie presidenziali del 2020.

È inoltre possibile osservare “l’ondata blu” che ha travolto le primarie del PD dopo il 2017 (ne ritroviamo una descrizione in Fisher, 2019) guardando l’andamento delle candidature delle donne all’interno delle elezioni primarie (Figure 2 e 3).

Tuttavia, rimane da capire se esiste un nesso causale tra marcia delle donne e ingresso delle donne in politica. Tale nesso causale può essere isolato applicando le tecniche di analisi econometrica, solitamente usate per valutare l’impatto delle politiche pubbliche, al caso della marcia delle donne. In particolare, lo studio su cui si basa questo articolo isola il nesso causale tramite un’analisi che si struttura in due fasi: la prima sviluppa una misura di esposizione alla protesta – la distanza geografica rispetto alla Marcia più vicina pesata per la popolazione. La seconda utilizza la variabile di esposizione per valutare l’impatto della manifestazione sulle candidature delle donne nelle primarie dei partiti Democratico e Repubblicano, e sulla probabilità che esse vengano elette nelle elezioni generali di metà mandato del 2018.

Figura2. Andamento storico della frazione di distretti elettorali del Congresso statunitense in cui almeno una donna si è candidata nelle primarie partitiche

Fonte: Elaborazione su dati Harvard Dataverse

Lo studio trova che raddoppiare la distanza dalla protesta più vicina causa una diminuzione delle candidature femminili all’interno delle primarie del Partito Repubblicano: porta a un calo del 29% nella probabilità che ci sia almeno una candidata donna e a un calo del 60% nella frazione di candidate donne. Non vengono rilevati effetti causali sulle candidature femminili nelle primarie del PD. Inoltre, raddoppiare la distanza causa un calo del 33% nella probabilità di eleggere una donna nel Congresso statunitense.

In altre parole: nei distretti elettorali più esposti alle manifestazioni – e cioè geograficamente più vicini alle città dove si è tenuta la marcia – ci sono state più donne candidate nelle primarie del Partito Repubblicano, e questo ha avuto un impatto anche sulle elezioni generali.

Perché la marcia ha avuto un effetto causale sulle candidature delle donne conservatrici in politica, e non sulle democratiche? La spiegazione in parte risiede nella complementarità tra la campagna elettorale del PD e la marcia: è stata così preponderante da impedire di isolare il nesso causale.

Figura3. Andamento storico della frazione di donne candidate nelle primarie partitiche del Congresso statunitense

Fonte: Elaborazione su dati Harvard Dataverse

 

Per capire come mai le donne conservatrici si sono candidate nei distretti più esposti alle manifestazioni femministe e anti-Trump, è utile pensare al ruolo che l’attivismo femminista svolge nel facilitare l’accettazione delle donne come leader politici, diminuendo il costo sociale di essere una leader politica donna. Le conservatrici si trovano a dover fronteggiare costi più alti delle progressiste quando decidono di candidarsi; quindi, è naturale che la manifestazione abbia effetti maggiori su queste donne.

Una limitazione di questo studio è che è impossibile isolare la scelta di una donna di candidarsi in uno specifico distretto elettorale dalla scelta del partito di sponsorizzare strategicamente candidate donne. Infatti, il processo decisionale che porta alla candidatura non è riflesso dai risultati delle elezioni primarie. Nel contesto della marcia delle donne del 2017, il Partito Repubblicano potrebbe aver sponsorizzato le candidate donne perché voleva guadagnarsi un premio elettorale tramite “rappresentazione descrittiva strategica”, una tattica propria dei partiti populisti della destra radicale europea.

Chi sono queste nuove candidate repubblicane? Quali sono le implicazioni legislative del loro ingresso in politica? La loro presenza porta a una progressione della condizione femminile negli Stati Uniti o segna un punto di inversione? Le prossime fasi dello studio propongono di rispondere a queste domande: appare ormai chiaro che le conseguenze politiche della marcia potrebbero essere inaspettate.

Riferimenti

Moresi, Alessandra. 2022. The impact of the 2017 Women's March on female political representation. Università di Torino

CAWP. 2020. Congressional Women Candidates Database. Center for American Women and Politics, Eagleton Institute of Politics, Rutgers University

Beaman, Lori, Raghabendra Chattopadhyay, Esther Duflo, Rohini Pande, and Petia Topalova. 2009. Powerful women: does exposure reduce bias? The Quarterly journal of economics, 124(4): 1497–1540

Chenoweth, Erica, Jeremy Pressman. 2017. This is what we learned by counting the women’s marches. The Washington Post

Fisher, Dana R. 2019. American resistance: from the Women’s March to the Blue Wave. Columbia University Press

Miller, Michael G., Nikki Camberg. 2020. US house primary election results (2012-2018). Harvard Dataverse

Weeks, Ana, Hilde Coffe, Bonnie Meguid, and Miki Kittilson. 2022. When do mannerparteien elect women? Radical right populist parties and strategic descriptive representation. American Political Science Review, 49 

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