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La storia delle prime programmatrici del progetto Eniac ci conduce alle radici del grande stereotipo secondo cui le donne non sarebbero portate per la tecnologia

Che genere d'informatica,
la storia delle "Eniac girls"

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Foto: Flickr/thekirbster

La scarsa presenza femminile nelle carriere tecnoscientifiche è una questione che negli anni recenti ha acquisito un rilievo crescente sia all’interno della ricerca accademica sia in ambito istituzionale con la nascita di iniziative e lo sviluppo di policy volte ad affrontare apertamente il problema non solo in termini di numeri e pari opportunità tra uomini e donne, ma anche riconoscendo la rilevanza del genere come criterio di valutazione dei contenuti stessi della ricerca scientifica. Un esempio significativo in tal senso riguarda l’ultimo programma quadro europeo per la ricerca e l'innovazione, Horizon2020, il quale stabilisce che l’integrazione di una prospettiva di genere nelle pratiche di ricerca migliora la qualità scientifica e la rilevanza sociale della conoscenza e delle innovazioni tecniche prodotte. Tale principio rappresenta un passaggio concettuale e politico cruciale poiché la questione del genere nella scienza non è più intesa solo in termini di accesso delle donne alle carriere, ma chiama in causa gli obiettivi, i metodi e le priorità della ricerca scientifica stessa. 

La filosofa della scienza e femminista Sandra Harding invitava a considerare il genere come categoria di analisi attraverso cui studiare i modi in cui uomini e donne organizzano la propria vita sociale, e a osservare come i significati, i discorsi e le pratiche legati alla relazione tra maschile e femminile contribuiscano a formare le nostre credenze, il funzionamento delle istituzioni e anche i fenomeni apparentemente neutrali dal punto di vista di genere come le discipline scientifiche e gli oggetti tecnici. L’elaborazione di Harding — efficacemente riassunta nel passaggio dalla ‘women question in science’ alla ‘science question in feminism’ — è solo uno dei contributi presenti all’interno dell’eterogenea riflessione femminista sulla scienza e sulla tecnologia. Tali approcci hanno superato l’ovvio, e sempre cruciale, problema della discriminazione delle donne nei campi tecnoscientifici (si parla di "effetto Matilda", "soffitti di cristallo", "scogliere di vetro", "tubi che perdono"), per addentrarsi nell’analisi dei contenuti e delle stesse domande di ricerca che guidano la costruzione della conoscenza scientifica, l’uso delle tecnologie e la formazione di comunità e centri di ricerca.

Un esempio rilevante a tal riguardo è quello dell'informatica, la cosiddetta computer science, a partire dal dualismo hardware/software che caratterizza non solo la ricerca e le applicazioni tecniche informatiche, ma anche uno specifico ordine di genere in base al quale suddividere gerarchicamente l’organizzazione del lavoro e le competenze tra uomini e donne. Tale configurazione tecnica e di genere accompagna lo sviluppo dell’informatica moderna come dimostra l’esperienza delle prime donne programmatrici nell’ambito del progetto Eniac (Electronic numerical integrator and computer), il primo computer elettronico della storia costruito negli Usa per scopi vari durante la seconda guerra mondiale.

In un saggio intitolato When computers were women, la storica e sociologa della scienza e della tecnologia Jennifer Light ha sottolineato l’importanza del lavoro altamente tecnico svolto dalle operatrici dell’Eniac e costantemente ignorato dalla maggior parte delle ricostruzioni storiche, che in questo modo hanno contribuito alla diffusione dell’immagine della programmazione come attività tipicamente maschile. La costruzione genderizzata dell’informatica come cultura tecnica e professionale riposa anche sull’evidenza che l’elevato numero di donne impiegate in lavori di calcolo durante la seconda guerra mondiale negli Usa e in Gran Bretagna non derivava dalla carica emancipativa di una scienza nascente (la computer science), bensì dalle contingenze belliche che avevano impegnato gli uomini al fronte e la forza lavoro femminile chiamata in sostituzione per un periodo di tempo limitato. In questo caso, la definizione del lavoro femminile era chiaramente permeata da pregiudizi di genere dal momento che le attività svolte dalle operatrici rientravano nella categoria “SP-4”, vale a dire lavoro tecnico di assistenza. Nonostante l’elevata complessità dei calcoli balistici, di analisi matematica e logica, e degli interventi sulla struttura fisica della macchina, dunque, il lavoro svolto dalle operatrici era ritenuto “non professionale”, al punto che le sei programmatrici — Kathleen McNulty, Frances Bilas, Betty Jean Jennings, Elizabeth Snyder, Ruth Lichterman, Marlyn Wescoff — attive nel primo team del progetto, tutte con una laurea al college, non sono neppure individuate come soggetti, ma come gruppo: le “Eniac girls”.

In questo caso, l’uso del genere come categoria di analisi permette di svelare come il dualismo hardware/software, lungi dal definire una suddivisione meramente tecnica, regolava anche un’organizzazione genderizzata del lavoro in base alla quale gli uomini svolgevano attività di analisi e progettazione dell’hardware, mentre alle donne spettava il lavoro meccanico di calcolo. Il dualismo hardware/software rivela come la presunta separazione tecnica tra le componenti fisiche e di calcolo era resa possibile, e contemporaneamente rafforzava, la subordinazione del lavoro femminile a quello maschile. La sociologa Wendy Faulkner ha efficacemente restituito tale mutua implicazione tra ruoli di genere e organizzazione tecnica, affermando: “così come non si può capire la tecnologia senza riferimento al genere, allo stesso modo non si può capire il genere senza riferimento alla tecnologia”.

A ben vedere, la divisione tecnica e di genere del lavoro era completamente decostruita e ridefinita nell’esperienza pratica come dimostra il passaggio di un’intervista a Betty Jean Jennings:

la sera prima della dimostrazione, il programma della traiettoria funzionava perfettamente, tranne che per il fatto che non interrompeva l’elaborazione quando si calcolava che la traiettoria dovesse colpire il suolo. Il programma continuava a elaborare. Io e Betty [Holberton] controllammo e ricontrollammo tutto fino alle 2 di notte. Durante la notte, Betty realizzò cosa non funzionasse. La mattina seguente arrivò e capovolse un interruttore sul programmatore master, e il problema fu risolto.

Questo stralcio di intervista mostra da una parte come la separazione tra elaborazione di calcolo e componenti hardware fosse inverosimile nella pratica del lavoro quotidiano, dall’altra rivela come le operatrici fossero competenti e capaci di intervenire anche sulla struttura fisica della macchina. Le operatrici, dunque, agivano come produttrici di conoscenza rispetto al funzionamento della macchina nonostante lo status di subalternità assegnato al loro lavoro. Allo stesso modo, la divisione tecnica e di genere del lavoro informatico, con la rigida separazione tra progettazione ed esecuzione, non rifletteva la logica con la quale il computer era stato progettato, con particolare riferimento alla divisione hardware/software. Malgrado l’elevato livello di preparazione tecnica mostrato dalle prime operatrici dell’Eniac, alcune di loro smisero di lavorare dopo la presentazione pubblica del computer nel 1946, mentre coloro che decisero di mantenere il lavoro continuarono a occupare ruoli “non professionali”. 

L’esperienza delle “Eniac girls” permette di considerare il genere non come semplice variabile statistica impiegata per misurare le asimmetrie tra uomini e donne, ma come un potente costrutto ideologico che ha caratterizzato lo sviluppo storico dell’informatica come campo tecnico e professionale. Tentare di avvicinare le donne ai percorsi di studio e lavoro tecnoscientifici è solo uno dei passi da compiere per abbattere lo stereotipo pervasivo secondo il quale le donne non sarebbero "portate" per la scienza e la tecnologia. Addentrarsi nell’analisi di genere di campi disciplinari e organizzativi come l’informatica, la biologia, la fisica, la matematica, l’ingegneria è un compito non facile, ma necessario per evitare di rafforzare un altro stereotipo: quello per cui il problema sarebbe solo delle donne. 

Riferimenti bibliografici

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