C'è anche chi vuole lavorare più a lungo, e non può: le ballerine devono ritirarsi per forza a 47 anni, dice il governo. I ballerini, invece, a 52. Perché? A cosa si deve questa differenza? Un'analisi giuridica di un paradosso della scena italiana
Per i lavoratori dello spettacolo appartenenti alle categorie dei tersicorei e ballerini l’età pensionabile è fissata, per uomini e donne, al compimento del quarantacinquesimo anno di età.
Per quei lavoratori che abbiano raggiunto o superato l’età pensionabile, assunti a tempo indeterminato, è però prevista una particolare deroga che consente loro, di poter restare in servizio. Tale opzione può essere esercitata sino al primo maggio 2012, ed è rinnovabile annualmente. Ma c'è un limite massimo di età, che non può essere oltrepassato, e nel fissare tale limite è stata introdotta una differenza di genere: 47 anni per le donne, 52 per gli uomini.
Questa la risposta che il ministero del lavoro ha dato qualche settimana fa ad un quesito avanzato dall’Associazione nazionale delle fondazioni liriche e sinfoniche in merito alla possibilità, per le ballerine che abbiano raggiunto i requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia, di poter proseguire il rapporto di lavoro fino ai limiti di età previsti per gli uomini (1)
Eppure, il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna prevede che «Le lavoratrici in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia hanno diritto di proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali». Dunque, a leggere la normativa applicabile, se ne ricava che se da un lato il legislatore è intervenuto per consentire alla donna di poter andare in pensione prima dell’uomo, dall’altro le lavoratrici che vogliano proseguire il lavoro oltre l’età pensionabile possono farlo, ma fino al raggiungimento dei limiti di età pensionabile previsto per gli uomini. Tali principi di uguaglianza sostanziale tra uomo e donna trovano un puntuale riscontro non solo nella Costituzione italiana e nelle sentenze della Corte costituzionale, ma, più in generale, nei Trattati dell’Unione europea, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nelle direttive comunitarie e nelle sentenze della Corte di giustizia (vedi documentazione in calce all'articolo). Ciò non toglie che l’ordinamento possa prevedere delle discriminazioni, ma solo in quei casi in cui siano supportate da giustificate motivazioni.
La curiosa risposta del Ministero del lavoro al quesito proposto, qualora applicata, consentirebbe di allontanare la donna dal posto di lavoro prima di quanto previsto per l’uomo, sul presupposto che, supponiamo, l’attività di ballerino sia più usurante per le donne, che per gli uomini. Obbligare le donne all’abbandono di un posto di lavoro prima di quanto previsto per l’uomo comporta, tra l’altro, rilevanti conseguenze economiche per la lavoratrice, costretta a percepire rate di pensione inferiori alle retribuzioni spettanti ai lavoratori maschi che proseguono la propria attività.
Si tratta dunque di una normativa discriminatoria – ancorché transitoria - per la quale non sussiste alcuna motivazione o giustificazione possibile: il vantaggio concesso alle lavoratrici nel poter accedere alla pensione di vecchiaia ad un’età inferiore a quella stabilita per i lavoratori di sesso maschile non può giustificare una disciplina differente nella possibilità di prosecuzione volontaria del rapporto di lavoro, dal momento che, come stabilito dalla Corte di giustizia, «gli uomini e le donne si trovano in situazioni identiche per quanto riguarda le condizioni di cessazione del rapporto di lavoro».
1) Interpello n. 22 del 17 giugno 2011.
Principio di parità Uomo-Donna nei Trattati UE e nella Costituzione italiana
Trattato sull’Unione europea
| Art. 2: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e nel rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini» Art. 3: «3. L’Unione […] promuove […] la parità tra donne e uomini» |
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
| Art. 157: «1. Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. 2. Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo. La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica: a) che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura; b) che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro. 3. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano misure che assicurino l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. 4. Allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali» |
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea | Art. 21: «1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali» Art. 23: «La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato» |
Costituzione italiana | Art. 3: « Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» Art. 37: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione» Art. 51: « Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini» |