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Dall'escursionismo al touch rugby, lo sport è un'esperienza liberatoria e formativa a cui tutte le persone dovrebbero avere accesso. Il caso dell'associazione Liberi Nantes che ha vinto un bando europeo per un progetto rivolto a migranti e rifugiate

Se migranti e rifugiate
fanno sport

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Foto: Antonio Marcello

“Lo sport dà il meglio di sé quando ci unisce” diceva lo scrittore americano e commentatore sportivo Frank Deford. Una filosofia che è stata fatta propria da Liberi Nantesun'associazione sportiva dilettantistica riconosciuta dall’UNHCR che ha sede a Roma e che dal 2007 promuove la libertà di acceso allo sport per rifugiati e richiedenti asilo, convinta che l’attività fisica sia uno strumento privilegiato di benessere e socializzazione per tutti, e non solo per i giocatori professionisti di domani. Cuore delle attività di Liberi Nantes è il campo sportivo XXV Aprile di Pietralata a Roma, ex sede della Polisportiva “Albarossa”, che i volontari dell’associazione hanno rimesso a posto e reso agibile. È qui che si svolgono le partite in casa dell’omonima squadra di calcio, formata da ragazzi somali, libici, afghani e senegalesi, che qui si incontrano durante la settimana per allenarsi con il pallone. Con il 2018 Liberi Nantes ha lanciato accanto a questo e ad altri progetti già avviati – come l’escursionismo e la scuola di italiano – un nuovo progetto. Si chiama S(Up)port Refugees Integration, ed è rivolto a donne migranti e richiedenti asilo. Reso possibile grazie all’assegnazione di fondi europei attraverso la vittoria di un bando a tema intitolato “Azioni di inclusione attraverso lo sport”, già nella sua prima fase il progetto ha visto l'adesione di circa 90 donne provenienti da Eritrea, Tanzania, Corea del Sud, Camerun, Costa d'Avorio, Nigeria, Bangladesh, Yemen e Ghana. Queste donne sono attualmente residenti nei centri di accoglienza di Roma e provincia. A loro, Liberi Nantes dà la possibilità di praticare gratuitamente attività sportive come il touch rugby, per riscoprire la voglia di divertirsi, sentirsi libere attraverso il movimento, e stringere nuove amicizie. Ne abbiamo parlato con Alberto Urbinati, presidente dell’associazione. “Aggiudicarsi un progetto europeo per una realtà come la nostra è un traguardo importantissimo dopo ormai quasi undici anni di attività. Se riusciremo a coniugare l'entusiasmo e la competenza anche in futuro allora potremo porci obiettivi sempre più ambiziosi” racconta Urbinati.

Perché un progetto rivolto in particolare alle donne migranti? 

Essenzialmente, il progetto è molto complicato proprio perché si rivolge alle donne migranti. La pratica sportiva è diffusa e consolidata per gli uomini, mentre con le donne vanno affrontate tutta una serie di barriere psicologiche e culturali che rendono la partecipazione di gran lunga più difficile rispetto agli uomini. C'è bisogno di affrontare e abbattere ostacoli e pregiudizi. Con le donne abbiamo lavorato in modo sporadico in passato: avere a disposizione professionalità e competenze grazie ai fondi del progetto europeo ci ha consentito di avvicinarci alla questione con metodo e costanza. Sappiamo che il percorso è pieno di difficoltà ma sappiamo anche che stando in campo il lavoro alla fine pagherà.

Qual è stata la risposta delle donne che hanno aderito all’iniziativa? 

Da sempre partiamo dal lavoro con il corpo per cercare di arrivare in profondità e dare il nostro piccolo contributo affinché le persone riacquistino un maggiore senso di fiducia in se stesse e nel futuro. Far parte di una squadra o, più in generale, di un gruppo, significa essere parte di qualcosa di più grande, significa condividere gioie, sofferenze, speranze e delusioni. Come aneddoto posso citare quello di una ragazza che non vedeva l'ora di iniziare a fare attività fisica per rimettersi in forma, visto che era un po' sovrappeso, e durante le lezioni si è trasformata nella motivatrice di tutto il gruppo. Sprona le altre per spronare se stessa: far parte di un gruppo significa anche avere qualche strumento in più per esprimere emozioni che probabilmente non si ha il coraggio di esprimere da soli. Mi viene in mente anche un'altra ragazza che aveva molte inibizioni riguardo il proprio corpo. Ha iniziato la prima lezione con l'abito tipico del suo paese ma, lezione dopo lezione, si è sciolta sempre di più fino a liberare il proprio corpo dando spazio al proprio istinto e al proprio senso di libertà. Per noi questi sono segnali che attraverso la pratica sportiva e in un contesto protetto, le persone possono sperimentare un altro sé. Non ci interessa giudicare i risultati a lungo termine, sperimentare "fisicamente" un sé alternativo significa depositare un'esperienza diversa nel proprio vissuto. Il resto del percorso – ammesso e non concesso che ce ne sia uno migliore degli altri – ogni persona lo fa da sé”.

Quanto è praticato lo sport fra le donne migranti? 

Non c'è una risposta univoca per tutte le partecipanti e anche i contesti di provenienza sono molto diversi fra loro. Per alcune donne non è nemmeno presa in considerazione la possibilità di usare il proprio corpo per fare attività sportiva, per altre è più normale ma in alcuni casi ci sono barriere di tipo economico che impediscono comunque l'accesso alla pratica sportiva. Noi naturalmente, essendo un'associazione che prevalentemente si occupa di sport, crediamo fortemente che l'attività fisica sia un mezzo fondamentale per liberare le proprie energie. È molto bello vedere le ragazze che a fine allenamento a volte sentono l'esigenza di riunirsi in cerchio e sciogliere tensioni e fatica con delle urla liberatorie. I sorrisi dopo l'urlo mi fanno sospettare che effettivamente stiamo andando nella direzione giusta.

Come avete scelto le attività sportive del progetto?

Il calcio fa parte da sempre delle attività di Liberi Nantes, siamo partiti da lì undici anni fa e nonostante i tanti difetti di questo sport, soprattutto di quello praticato a livello professionistico, continuiamo a credere che ci siano valori importanti al suo interno. Il touch rugby è un'altra disciplina che abbiamo praticato in passato e ci è sembrata particolarmente calzante perché è in grado di esaltare lo spirito di squadra del rugby ma in una versione molto più soft rispetto a quella classica. Si gioca con le regole del rugby ma senza il contatto violento e questo lo trasforma in un gioco molto divertente in cui prevale maggiormente la destrezza e la velocità rispetto alla potenza fisica. La ginnastica posturale è invece una disciplina che ci consente di coinvolgere le donne che non hanno voglia di fare uno sport di squadra ma intendono comunque svolgere un'attività fisica per tenersi in forma in un contesto non competitivo e più intimo. L'escursionismo infine è un'altra delle attività che svolgiamo da tantissimo tempo e sappiamo che attraverso le passeggiate possiamo coinvolgere ragazze e i ragazzi in un contesto molto tranquillo e salutare. Le passeggiate favoriscono anche la conoscenza reciproca e le relazioni interpersonali, oltre a regalare panorami e bellezza.

Siete soddisfatti di come sta andando avanti l’iniziativa?

Ci aspettavamo notevoli difficoltà e la realtà non ci ha dato torto. Le vite delle donne che scelgono un percorso migratorio così difficile sono piene di incertezze e di barriere psicologiche e culturali che non sempre si riescono ad abbattere in poco tempo. Il progetto ha subito e probabilmente continuerà a subire un andamento altalenante le cui dinamiche sono influenzate dagli impegni personali che ciascuna ragazza si trova ad affrontare. Ci riteniamo comunque soddisfatti della risposta generale e dei risultati raggiunti finora.

Il progetto Su(up)port refugees integration va ad arricchire le tante attività di Liberi Nantes. Come è cresciuta negli anni l’associazione?

L'associazione cambia ed evolve ormai a ritmo quotidiano. Si avvicinano nuove persone che spesso portano nuove competenze e la cosa più bella è vedere come al nostro interno ci sia capacità di ascolto reciproco e voglia di mettersi a disposizione per raggiungere obiettivi comuni. Credo che essere riusciti a costruire questo spirito di squadra tra tutti i volontari sia il vero patrimonio umano di Liberi Nantes. Mi piace sottolineare che quando parlo di volontari mi riferisco sia ai volontari italiani che ai migranti il cui contributo sta diventando sempre più importante e qualitativamente di livello. Senza questo apporto Liberi Nantes semplicemente oggi non esisterebbe.

Riproporrete lo sport per le donne migranti anche in futuro?

Certamente sì, stiamo già lavorando sulla continuazione di questa esperienza attraverso nuovi progetti sia a livello europeo che nazionale. Non finirà qui.