Politiche

Tutti paghiamo le tasse quando compriamo qualcosa, perché i traders no? Cresce negli Usa il dibattito su una tassa sulle transazioni finanziarie, contro la speculazione e a favore delle attività produttive. Lo slogan: "curare l'America, tassare Wall street"

Tassare la finanza
per curare l'economia

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Tutti noi paghiamo tasse statali e locali sulla maggior parte dei nostri acquisti, e molti giochi d’azzardo sono tassati dallo stato, con aliquote che vanno dal 6,75 % del Nevada fino al 55% delle slot machines in Pennsylvania. Invece le vendite speculative di azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari non sono soggette a tassazione negli Stati Uniti, se non per un minimo contributo (meno di mezzo centesimo) sugli scambi di azioni,  che va a finanziare la Sec (Securieties and Exchange Commission).

In Gran Bretagna, al contrario, una tassa dello 0,5% sulle transazioni azionarie porta nelle casse dello Stato circa 40 miliardi di dollari l’anno. Il presidente francese Nicolas Sarkozy e il cancelliere tedesco Angela Merkel hanno recentemente reso noto il progetto di introdurre una tassa analoga nei 27 paesi dell’Unione Europea.

La tassa è nota con diversi nomi fra cui "tassa sulle transazioni”, “tassa sulle transazioni finanziarie”, “accisa sulle transazioni di titoli ” o “Tobin tax” (dal nome dell’economista premio Nobel James Tobin, famoso per averne proposto l’applicazione agli scambi valutari con l’estero alla fine degli anni ’70).

Qualunque sia il suo nome, Wall Street la detesta, perché comporterebbe una riduzione dei profitti. Ma i proponenti come Dean Baker, co-direttore del Center for Economic and Policy Research, affermano che essa colpirebbe soprattutto gli "investitori irrazionali" a breve termine, e scoraggerebbe le speculazioni più che gli investimenti produttivi.

Meno speculazione significherebbe minore volatilità dei prezzi, favorendo così gli investitori a lungo termine.

Inoltre, una tassa dello 0,5% su Wall Street porterebbe nelle casse dello Stato fino a 175 miliardi di dollari l’anno, anche nel caso in cui, scoraggiando le operazioni più ravvicinate e frequenti, il numero di transazioni totali risultasse dimezzato.

Una piccola tassa sulle transazioni finanziarie, proposta dal rappresentante democratico dell’Oregon Peter DiFazio e sostenuta dal senatore democratico dell’Iowa Tom Harkin, chiamata "Let Wall Street Pay for the Restoration of Main Street Act" (i cui specifici dettagli sul co-finanziamento sono ancora oggetto di trattativa), porterebbe probabilmente un gettito inferiore.

Molti stimati economisti appoggiano il concetto che vi è alla base, e molti altri no. In una recente rassegna della letteratura in merito, Neil McCulloch e Grazia Pacillo dell’Institute of Development Studies  in Gran Bretagna hanno stabilito che è improbabile che la tassa contrasti efficacemente la speculazione, ma nondimeno essa rappresenta una fonte di gettito fiscale relativamente apprezzabile. Un recente rapporto di Thornton Matheson, pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale, esprime invece un parere negativo in proposito.

Un affascinante elenco di pro e contro si trova nel filmato del dibattito dell’8 luglio, sponsorizzato dal Center for the Study of Responsive Law, nell’ambito della serie “Dibattito sui tabù”.

Il mio collega presso l’Università del Massachussetts Robert Pollin si è espresso favorevolmente, mentre James Angel della Georgetown è contrario.

Il professor Angel evidenzia che gli operatori a breve termine non sono tutti speculatori, e li descrive come una componente sana dell’ecosistema finanziario che rischierebbe di essere spazzata via da questa legge. L’opinione del Professor Pollin, con il quale mi trovo d’accordo, è che le transazioni a breve termine siano aumentate esponenzialmente negli ultimi anni, senza alcuna ricaduta positiva sull’efficienza dell’economia. In ogni caso, non credo che una tassa dello 0,5% sulle transazioni possa creare gravi problemi.

Angel fa inoltre notare che una tassa sulle transazioni finanziarie si trasferirà, almeno in parte, a tutti gli investitori, con conseguenze negative sui risparmi pensionistici. Ma tutte le tasse, almeno in parte, si trasferiscono ai consumatori. Concordo con il professor Pollin quando afferma che la tassa sulle transazioni avrà sulla maggior parte delle persone effetti minori rispetto ad altre imposte sulle compravendite.

Gli economisti mostrano che le imposte sulle vendite disincentivano il consumo, il che è meglio rispetto a scoraggiare gli investimenti che possono dare remunerazione in futuro. Ma le scelte della popolazione sui consumi hanno importanti conseguenze sulla produttività futura.

Come sottolinea Pollin, le attuali imposte sui consumi danneggiano coloro che scelgono per le proprie abitazioni materiali tecnologicamente avanzati per la conservazione del calore, oppure comprano un’automobile più efficiente dal punto di vista del consumo di carburante.

Il mio lavoro di ricerca evidenzia che gli investimenti dei genitori per i figli, così come la spesa pubblica per la sanità e l’istruzione, rappresentano una forma di investimento sul capitale umano.

La maggior parte delle imposte sui consumi, a livello statale e locale, sono a carattere regressivo, cioè le famiglie meno abbienti pagano una somma più elevata in percentuale rispetto al reddito. L'imposta nazionale sui consumi, o tassa sul valore aggiunto, avrebbe un impatto ancora più negativo sulle famiglie meno abbienti.

Le nostre attuali strategie di tassazione favoriscono gli investimenti speculativi nelle attività finanziarie  rispetto agli investimenti produttivi sull’abilità umana. Questo squilibrio aiuta a spiegare perché i sindacati delle infermiere negli Stati Uniti si siano schierati nettamente a favore della tassa sulle transazioni finanziarie.

Come recita il loro slogan: “Curare l’America. Tassare Wall Street.”

* dal blog di Nancy Folbre sul NYT, post pubblicato il 23 agosto 2011. Tradotto con il consenso dell'autrice