Disoccupazione, gap salariali e bassa alfabetizzazione sono alla base dell'esclusione finanziaria femminile. Lo racconta un'indagine Ocse: in Italia a essere penalizzate sono soprattutto le donne fuori dal mercato del lavoro e quelle che vivono al Sud
Le donne sanno meno di finanza in molti paesi del mondo e questo è vero anche in Italia. Lo conferma un'indagine sull'alfabetizzazione finanziaria delle persone adulte diffusa alla fine del 2023 dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Come nelle versioni precedenti del 2017 e del 2020, l'indagine, che raccoglie statistiche per molti paesi anche fuori dall'area Ocse, misura l'alfabetizzazione guardando a tre componenti.
La prima verte sulle conoscenze, verificate ponendo alle persone intervistate domande sulla comprensione dell'inflazione, sul legame fra rendimento e rischio, sulla differenza fra interesse semplice e composto, sulla diversificazione dei rischi finanziari. La seconda componente dell'alfabetizzazione riguarda i comportamenti: si chiede alle persone se pagano le bollette in tempo, se risparmiano, se si pongono obiettivi finanziari, se confrontano i prodotti offerti da intermediari diversi. La terza componente considera infine gli atteggiamenti nei confronti del denaro, con domande sul risparmio e sulla programmazione finanziaria nel lungo periodo.
Nel 2023 hanno partecipato all'indagine 39 paesi, di cui 19 dell'Unione europea. Purtroppo l'Italia rimane agli ultimi posti nella graduatoria dell'alfabetizzazione finanziaria: l'indicatore complessivo è 10,6, su una scala da 0 a 20. Con un lieve miglioramento rispetto al 2020, guidato dalle componenti dei comportamenti e degli atteggiamenti.[1]
Il divario a sfavore delle donne si registra in 11 paesi europei; in Italia è più contenuto – 0,4 punti a fronte di una media dello 0,7 nei paesi Ue con divario statisticamente significativo – e pressoché costante rispetto al 2020, mentre è più accentuato in Spagna, Portogallo e Grecia, e statisticamente non significativo in Francia e Germania.
Nel nostro paese il divario di genere deriva da quello rilevato nelle conoscenze, un risultato che si ritrova nella maggior parte dei paesi Ocse. Nei comportamenti, invece, il divario è trascurabile, e si inverte a favore delle donne nell'ultima componente analizzata, quella degli atteggiamenti, che guardano alla visione di lungo termine delle persone.
Tra le donne italiane, il divario è più ampio tra chi possiede un basso livello di istruzione, per le studentesse e ancora di più per le casalinghe e le pensionate. A livello territoriale, il divario è maggiore al Sud, dove troviamo gruppi di donne già caratterizzate da fragilità, che potrebbero aggravarsi per via dell'assenza di competenze finanziarie.
Alla bassa alfabetizzazione finanziaria delle donne contribuisce il mercato del lavoro italiano. Nel 2022, il tasso di occupazione femminile nella fascia d'età 15-64 anni in Italia era poco più del 50%, un valore inferiore di 14 punti percentuali rispetto alla media europea e di oltre 18 punti percentuali inferiore a quello maschile.
Alle radici di questo divario c'è una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, la più bassa nell'Unione europea. Al Sud, la differenza è clamorosa: il basso coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro le allontana dall'indipendenza economica e dalla consuetudine ad affrontare questioni finanziarie.
Se si considerano le donne che lavorano (sia dipendenti che autonome), in Italia l'alfabetizzazione finanziaria è in linea con quella degli uomini. Le donne che non lavorano invece, non solo non hanno un reddito proprio, ma sono prive di capacità di controllo sulle finanze familiari; la divisione del lavoro all'interno della famiglia funziona solo per le mansioni più basse e il controllo delle finanze resta in mano agli uomini.
La partecipazione attiva al mercato del lavoro si riflette anche in una maggiore inclusione finanziaria delle donne. Mentre sull'inclusione finanziaria di base, che comprende il possesso del conto corrente e delle carte di pagamento (di debito, di credito, o carte prepagate) non osserviamo un divario di genere tra le persone che lavorano, il divario torna a emergere quando guardiamo alla partecipazione attiva ai mercati finanziari nelle varie forme di investimento: rispetto agli uomini, le donne, anche quando lavoratrici, detengono una percentuale inferiore di strumenti finanziari come obbligazioni, azioni, fondi comuni.
Il divario nella propensione a investire i risparmi in strumenti finanziari può riflettere diversi fattori, come una minore propensione delle donne al rischio e una minore fiducia nelle proprie competenze finanziarie.
Un ruolo chiave è rivestito dalle disparità nei redditi da lavoro, che non consentono alle donne di accumulare risparmi adeguati. Come nelle altre economie europee, le retribuzioni orarie femminili sono in media più basse di quelle maschili: il divario nel settore privato – sebbene si sia ridotto negli ultimi tre decenni – era pari a circa l'11 per cento nel 2021.
La riduzione del divario salariale complessivo è stata guidata soprattutto da quella del percentile più elevato della distribuzione, anche grazie all'aumento del grado di istruzione delle donne osservato nello stesso periodo. Tuttavia, nel 2021 il divario salariale di genere risulta più ampio proprio tra lavoratrici e lavoratori top earners (che guadagnano di più, ndr): la differenza percentuale tra il nono decile della distribuzione e il primo nella distribuzione dei salari maschili è il doppio rispetto a quella delle donne.
Le disparità salariali influiscono poi sull'accumulazione della ricchezza, alimentando differenze di genere nella capacità di resilienza economica – la ricchezza accumulata permette di disporre di risorse alle quali attingere nel caso di shock reddituali o di altra natura. Sebbene sia diminuito nel tempo, il divario tra uomini e donne in termini di ricchezza nel paese è ancora molto elevato: secondo i dati dell'indagine condotta dalla Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie, nel 2020 gli uomini avevano una ricchezza netta superiore a quella delle donne del 32%.
La sempre maggiore digitalizzazione che riguarda l'accesso ai servizi finanziari – dalla gestione del proprio conto corrente, ai pagamenti, all'acquisto di titoli sui mercati finanziari – solleva un ulteriore elemento di riflessione sui nuovi rischi di esclusione finanziaria, derivanti da un basso livello di alfabetizzazione finanziaria digitale.
Nel 2023, l'indagine Ocse ha misurato per la prima volta l'alfabetizzazione digitale della popolazione adulta. I risultati mostrano che anche in questo ambito i punteggi dell'Italia sono più bassi rispetto alla media europea: le persone intervistate nel nostro paese hanno risposto correttamente al 44% delle domande che riguardano l'utilizzo corretto degli strumenti digitali per la gestione delle proprie finanze personali (a fronte di una media del 57% nei paesi Ue che hanno partecipato all’indagine). Le percentuali variano in base ad alcune caratteristiche delle persone: sono maggiori tra chi ha un grado di istruzione più elevato e fra le persone occupate. Ritroviamo anche qui un divario di genere che penalizza le donne che non partecipano al mercato del lavoro.
Le evidenze riassunte suggeriscono che per ridurre i divari di genere e innalzare i livelli di alfabetizzazione finanziaria e di benessere collettivo si può agire su due fronti: da un lato, con le politiche del mercato del lavoro, favorendo la partecipazione femminile e riducendo le disparità salariali; dall'altro, con le politiche di alfabetizzazione finanziaria, strumento di coinvolgimento delle donne e di stimolo alla loro partecipazione economica attiva.
Note
[1] Come indagine italiana, si veda quella effettuata da Banca d'Italia nel 2023.