Politiche

Il nuovo Trattato di Lisbona enuncia buoni e ovvi princìpi: divieto di discriminazioni per sesso, lotta contro la tratta, diritto al congedo di maternità. Però poi non scende nella pratica politica, e subordina ogni decisione al voto unanime

Un Trattato insipido
per le donne europee

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Solo pochi mesi fa, il primo dicembre 2009, ha concluso il suo percorso di ratifica ed è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, che modifica e consolida in un unico documento il Trattato sull’Unione europea (Tue) – meglio noto come Trattato di Maastricht – e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) – meglio noto come Trattato di Roma – apportando cambiamenti più o meno sostanziali alla struttura delle istituzioni europee e agli obiettivi politici perseguiti dall’Unione. Tra le altre, le modifiche più rilevanti riguardano gli aspetti relativi alla rappresentanza democratica, ampliata grazie al rafforzamento dei poteri di intervento del parlamento europeo, unica istituzione europea direttamente eletta dai cittadini; la modifica dei meccanismi decisionali in materia di politica estera attraverso l’introduzione di una nuova figura, l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune; il consolidamento del percorso di liberalizzazione economica europea; il rafforzamento di propositi di difesa dei diritti umani e di lotta contro ogni tipo di discriminazione.

Nonostante l’ampia portata della riforma, l’effettiva misura in cui sono perseguiti gli obiettivi di maggiore rappresentanza democratica, di tutela dei diritti umani e civili e, per quello che qui interessa, di lotta contro ogni forma di discriminazione di genere, è discutibile (1).

Sicuramente bisogna riconoscere che, per quanto riguarda i principi generali, il nuovo documento rimarca con forza il concetto di parità tra uomini e donne, che viene ad acquistare una visibilità maggiore rispetto a quella delle precedenti versioni. Infatti, il testo del Trattato di Lisbona si apre con una dichiarazione esplicita dei principali obiettivi che l’Unione europea intende promuovere e tutelare, tra cui è direttamente menzionato il principio “della parità tra donne e uomini” (Art.2 Tue), ribadito anche in altri numerosi passaggi (si veda tabella 1). Il divieto di “qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso” e, quindi, il diritto alla parità di genere, è anche sancito nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Art.21,1), che con la riforma viene ad acquistare lo stesso valore giuridico dei Trattati (con l’eccezione di Regno Unito, Repubblica Ceca e Polonia che hanno ottenuto una clausola di esclusione dall’applicazione della Carta).

Tuttavia, mentre relativamente agli intenti generali si riconosce una certa forza nel confermare il valore della uguaglianza tra uomini e donne, affermata più volte nel testo, più limitata sembra la capacità di individuare concretamente ed in modo esauriente gli ambiti maggiormente sensibili alle politiche di genere e in cui queste sono più necessarie. Inoltre, quando presenti, le disposizioni relative ad aspetti specificamente rilevanti ai fini delle pari opportunità sembrano piuttosto deboli o incomplete.

Al riguardo, vale la pena osservare che le politiche di genere devono considerare due diversi aspetti: in primo luogo, la tutela la donna nella sua persona e nella sua fisicità e, in secondo luogo, la promozione della posizione della donna nella società e, in particolare, nel mondo del lavoro. Nonostante i numerosi richiami contenuti nel testo, è lecito sollevare alcuni dubbi in merito all’effettiva e concreta portata degli obiettivi fissati, dal momento che questi ambiti non sono sempre trattati in modo esaustivo.

Per quanto riguarda il primo aspetto, ossia quello della tutela della donna nella sua persona fisica, è certamente importante che il documento faccia riferimento al problema della violenza domestica sulle donne (Dichiarazione relativa all’articolo 8 del Tfue) e al tema della tratta degli esseri umani (Art. 79,2,d Tfue). Si prevede, infatti, che il Parlamento europeo e il Consiglio possano deliberare con procedura ordinaria (ossia attraverso il meccanismo di co-decisione a maggioranza) in merito alla lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori e contro reati quali lo sfruttamento sessuale delle donne (Art. 83,1 Tfue). Tali reati vengono quindi riconosciuti lesivi della dignità umana e specialmente della dignità della donna, soggetto debole degno di particolare attenzione, ed acquistano un carattere di trans-nazionalità. Ma stupisce il fatto che né nel Trattato, né tantomeno nella Carta dei diritti fondamentali, per quanto contenenti prescrizioni di carattere generale, si faccia riferimento ad aspetti assolutamente essenziali per la salvaguardia dell’ identità femminile, primo tra tutti, la tutela della sessualità. Il rispetto e la protezione della sessualità delle donne e la diffusione degli strumenti per gestirla liberamente e consapevolmente, obiettivi principali delle lotte femministe sin dalle loro origini, sembrano totalmente dimenticati. Non trovano infatti assolutamente menzione principi quali il diritto al libero uso delle misure contraccettive, la lotta contro gli aborti clandestini e il diritto all’interruzione di gravidanza legalmente riconosciuto (quest’ultimo, tuttavia, sottoposto a legislazioni molto diverse nei vari paesi europei). Non trovano spazio nemmeno il tema della violenza sessuale sulle donne - a prescindere da quella domestica o dallo sfruttamento vero e proprio - o delle diverse forme di violenza psicologica esercitata a danno delle donne in vari contesti (si pensi al mobbing sul lavoro o allo stalking).

Relativamente al secondo aspetto, ossia la tutela della parità di genere all’interno della società civile e del mondo del lavoro, il Trattato afferma che l’Unione persegue l’obiettivo di parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro (Art. 153,1,i Tfue). In tal senso è stabilito che il Parlamento europeo e il Consiglio, attraverso la procedura legislativa ordinaria, possano adottare misure opportune per l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne. Si prevede che tali misure siano indirizzate a difendere il principio della parità delle retribuzioni tra uomini e donne “per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore” (Art.157,1 Tfue). Tale principio è un diritto fondamentale, avente rilevanza giuridica e sancito dalla Carta dei diritti (Art. 23).

Inoltre, per assicurare la completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il Trattato prevede la possibilità degli Stati membri di adottare delle opportune misure volte ad “avvantaggiare le attività professionali del sesso sottorappresentato e a stabilire compensi per gli svantaggi nelle carriere professionali” (Art.157,4 Tfue). Il problema spinoso dell’equilibrio tra impegni familiari e lavoro è risolto attraverso il fondamentale riconoscimento giuridico del diritto al congedo di maternità stabilito nella Carta dei diritti, prevedendo che ogni individuo abbia il diritto di essere tutelato contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e abbia il diritto a un congedo di maternità retribuito (Art. 33).

A tale proposito, va tuttavia ricordato che gli impegni familiari e la maternità influiscono sulle possibilità lavorative delle donne non solo nel momento della gravidanza, ma lungo un intervallo di tempo decisamente più ampio. I governi potrebbero efficacemente agevolare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro attraverso adeguati interventi di sostegno all’offerta di servizi, mentre le politiche del lavoro dovrebbero essere attentamente esaminate in un’ottica di genere per valutarne gli effetti sul lavoro femminile (si pensi alle politiche sugli orari di lavoro, alla detassazione e, quindi, all’incentivo degli straordinari). Ma di ciò non si fa assolutamente menzione nel Trattato.

Ancora, le disposizioni in tema di parità di genere non appaiono sempre coerenti con le altre previsioni contenute nel testo: ad esempio, il principio delle pari opportunità rischia di essere smorzato dal fatto che, nel porre in essere le politiche sociali di sostegno all’occupazione e di lotta all’emarginazione, “l'Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell'economia dell'Unione” (art.151 Tue).

Infine, le modalità di implementazione delle politiche di genere non appaiono sempre efficienti e la loro reale fattibilità sembra limitata: infatti, i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso devono essere assunti dal Consiglio, deliberando all'unanimità (2) “secondo una procedura legislativa speciale” (Art. 19 Tfue) e previa approvazione del Parlamento europeo. Tale sistema rischia di rallentare se non addirittura di ostacolare la possibilità di intervento dell’Unione sul campo dei diritti delle donne. Solamente i principi di base delle misure di incentivazione dell'Unione possono essere adottati a maggioranza secondo la modalità della procedura legislativa ordinaria.

Malgrado i progressi raggiunti, quindi, sembra che ancora si debba fare molto per costruire un’Europa in cui si possa realizzare una concreta tutela dei diritti delle donne e della parità di genere.

 

Tabella 1.

Trattato di Lisbona – Disposizioni generali in merito alla parità uomo donna


- L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini. (Art.2 TUE).

- L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.
L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. (Art. 3,3 TUE).

- Nelle sue azioni l'Unione mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra uomini e donne. (Art.8 TFUE)

- Nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. (Art. 10 TFUE).

Note:

(1) Si veda anche Bisio L. e Cataldi A. (2008) The Treaty of Lisbon from a Gender Perspective: Changes and Challenges, WIDE, Bruxelles.

(2) Le aree soggette all'unanimità sono: sistema tributario, sicurezza sociale e le linee principali delle politiche comuni di difesa, sicurezza e di politica estera.
Per approfondimenti: http://www.robert-schuman.eu/doc/divers/lisbonne/en/annexe3.pdf