A richiedere prestazioni "super" ai genitori, e in particolare alle madri, ci si mettono anche le neuroscienze. Manuali e best seller per neo-genitori sono pieni di studi sulla possibilità di programmare al meglio la mente del bambino nei primissimi anni di vita. Una moda molto onerosa per le donne, e anche pericolosa

Dal seno al cervello. La corsa alla mamma eccellente

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Appena pochi mesi fa una ricerca della Brown University ha usato una tecnica di brain-imaging - cioè tecniche che permettono di studiare il tessuto cerebrale in vivo, mentre è in funzione - per mostrare l'esistenza di un rapporto molto stretto tra allattamento al seno e sviluppo del cervello (cfr. Deoni et. al. 2013). Allattare al seno stimolerebbe la crescita della sostanza bianca nelle aree del cervello deputate al controllo del linguaggio, delle emozioni, delle facoltà cognitive: tra i bambini allattati la crescita della sostanza bianca risulterebbe del 20-30% superiore rispetto ai bambini che non hanno ricevuto il latte materno. Il latte materno sembrerebbe, dunque, almeno in parte responsabile delle probabilità che il bambino avrà di diventare un adulto pienamente funzionante, sano e felice.

In un'inedita alleanza con la teoria dell'attaccamento, ampiamente criticata già dalle femministe della seconda ondata per lo stigma che essa gettava sulle madri lavoratrici, sono oggi le neuroscienze a mettere sotto pressione molte neo-mamme. Secondo la loro volgarizzazione - per Bruer (2002) in realtà sarebbe più corretto parlare di una distorsione all'origine del “mito” dei primi tre anni -, è nei primissimi anni di vita che si decide, nel bene e nel male, il futuro sviluppo mentale di un individuo.

In una popolare guida pratica per neo-genitori, Margot Sunderland scrive: «Per secoli i genitori hanno cresciuto i propri figli senza alcuna consapevolezza riguardo ai possibili effetti a lungo termine delle tecniche educative adottate, perché non era possibile verificare le conseguenze delle proprie azioni sul cervello in via di sviluppo di un bambino. Oggi, di fronte ai progressi della neuroscienza, alle scansioni cerebrali e ad anni di ricerche compiuti sui cervelli dei primati e altri mammiferi non ci si può far scudo dell'ignoranza» (Sunderland 2007, p. 8).

Il messaggio trasmesso dalla divulgazione delle neuroscienze è che il cervello umano può essere programmato per eccellere e i genitori, basando il loro agire sulle scoperte scientifiche, possono contribuire non solo alla felicità del loro bambino, ma alla creazione di società «più benevole e compassionevoli, capaci di riflettere e rispettare le differenze» (Sunderland 2007, p. 6). Non si hanno più scuse, insomma: prima si interviene con le giuste tecniche di programmazione migliori saranno le probabilità di crescere un soggetto che ha le capacità cognitive, la flessibilità, la creatività, l'intelligenza emotiva che sono oggi considerate essenziali per affrontare le sfide  della moderna società della conoscenza. L'estrema plasticità del cervello umano nei bambini piccoli ha potenzialità enormi che possono però andare perdute se non si conoscono i segreti della sua corretta “attivazione” e di un suo precoce “cablaggio”. Dopo il terzo anno di vita, infatti, tutto diventerà più difficile.  Il cervello del bambino è una sorta di capitale con grandi possibilità di rendimento futuro, purché chi lo gestisce conosca le giuste tecniche di investimento. Un'errata attivazione può comportare conseguenze nefaste per il futuro del minore, quali l'insorgere della sindrome da deficit di attenzione e iperattività, di disturbi d'ansia e disturbi della condotta, ecc., sintomi che possono trasformarsi nell'adulto in comportamenti devianti.

Dai dati forniti dalle neuroscienze vengono ricavate indicazioni di condotta molto vincolanti. Il tempo che i genitori, e la madre in particolare, scelgono di dedicare a parlare, giocare e raccontare storie al proprio bambino nei primissimi anni di vita, il tipo di giocattoli e di cibi che si acquistano per lui, la scelta di allattarlo o non allattarlo al seno, il fatto che si decida di affidarlo ad una baby sitter, di mandarlo al nido o ad una determinata scuola materna, ognuna di queste opzioni può avere effetti deterministici. Non sono consentiti margini d'errore.

Nella letteratura divulgativa sul tema, traspaiono  spesso giudizi di valore assai poco velati su cosa significhi essere un bravo genitore e, più in particolare, una “buona madre” nella prospettiva delle neuroscienze. Così in un articolo uscito sul “Daily Telegraph”, l'11 dicembre 2008, si legge: «Dal momento che sempre più madri lavorano, questa è la prima generazione che trascorre una larga parte della propria infanzia al di fuori della sfera domestica; ciò mentre i neuroscienziati ci avvertono che la mancanza di amore e stabilità ha un effetto devastante sui bambini»  (cit. in O'Connor e Joffe,  2012, tr. mia).

Le neo-mamme, chiamate a confrontarsi con standard sempre più esigenti, si affannano nel tentativo di seguire un modello ideale per lo più al di sopra delle concrete possibilità umane. Insieme alla fatica fisica e mentale, derivante da una perenne ansia da prestazione, crescono le spese  che i genitori devono sostenere per la cura e l'educazione del minore prescolare, a cominciare da quella destinata all'acquisto di giochi intelligenti (come i Baby Einstein Toys, i Baby Mozart o i Brainy Babies), accuratamente pensati per  genitori cui servono istruzioni precise e possibilmente veloci e sicure su cosa fare al fine offrire le corrette stimolazioni sul piano emozionale e cognitivo al proprio bambino. Quando entrambi i genitori lavorano, la ricerca del migliore nido e della migliore scuola materna (i curricula formativi in età prescolare sono oggetto di sempre più numerose sperimentazioni) comporta spesso una grosso impegno economico. Sia quello dei giocatoli intelligenti e creativi, adatti alla stimolazione precoce, sia quello dei servizi all'infanzia sono tra i mercati più in crescita nei paesi ricchi dell'Occidente. «Oggi, in effetti, - scrive Majia Holmers Nadesan – i bambini della classe media e i loro genitori ansiosi e pieni di aspettative sono stati trasformati in un nuovo segmento di mercato” (Nadesan 2002, p. 414). Le neuroscienze producono, dunque, una verità che attraverso un'azione indiretta e a distanza induce a rivedere abitudini e comportamenti, imponendo con la sola pressione delle norme sociali modelli prescrittivi fortemente condizionanti per genitori e bambini.

Grande è l'appeal a livello di cultura di massa (e sul piano delle politiche sociali: si veda la versione estesa di questo saggio) del discorso che vede nel fanciullo una sorta di agente capace di redimere l'umanità  purché si applichino su di lui le corrette tecnologie. Le voci critiche di psicologi, psicoanalisti, sociologi, filosofi dell'educazione e scienziati politici, nonché degli stessi neuroscienziati, che di recente si sono alzate per denunciare i molti pericoli che possono nascere dall'uso strumentale e banalizzante delle neuroscienze sembrano non riuscire a farsi ascoltare e a scalfire l'ottimismo, le speranze e la fiducia. Secondo Bruer (2002), l'attuale divulgazione scientifica è responsabile della diffusione di numerosi errori, quali le tendenze: 1) a sopravvalutare sia le conoscenze al momento possedute sul funzionamento e lo sviluppo del cervello sia la possibilità di trasferirle concretamente sul piano educativo; 2) a trarre deduzioni ingiustificate sul funzionamento del cervello a partire da dati strutturali come la grandezza e il peso del cervello, o il numero delle sinapsi (i collegamenti tra neuroni); 3) a dare un'eccessiva importanza ai primi tre anni di età, rispetto alla complessità del percorso di vita di un individuo e alla capacità del cervello umano di trasformarsi, evolversi ed apprendere durante tutte le fasi dell'esistenza; e, infine, 4) a sovrastimare il ruolo degli stimoli ricevuti dai genitori rispetto ad altri fattori e ad altre influenze, che non è possibile controllare e prevedere neppure da parte della migliore delle mamme e del migliore dei papà. 


Nell'immagine: l'opera di Barbara Kruger, Untitled (It's a small world but not if you have to clean it), 1990. Attualmente a Chicago, Museum of Contemporary Art, nell'ambito della mostra Homebodies

 

Bibliografia
Bruer J., 2002, The Myth of the first three years: A new understanding of early brain development and lifelong learning,  The Free Press, New York.
Deoni S. C., Dean D. C., Piryatinsky I., O'Muircheartaigh J., Waskiewicz N., Lehman K., Han M., Dirks H., 
2013, Breastfeeding and early white matter development: A cross-sectional study, «Neuroimage», May 28, pp. 77-86. 
Nadesan Holmer M., 2002, Engeneering the entrepreneurial infant: Brain science, infant development toys, and governmentality, «Cultural Studies», 16, 3, pp. 401-432.
O'Connor C. e Joffe H., 2012, Media Representations of early human development: Protecting, feeding and knowing the developing brain, «Social Science and Medicine», XXX, pp. 1-10.
Sunderland M., 2007, Il tuo bambino come educarlo e capirlo, Tecniche nuove, Milano.
 
Questo articolo è un estratto di un saggio della stessa autrice, dal titolo Cittadini fatti a macchina: neuroscienza, mito e politica, in Bollettino telematico di filosofia politica