Soraya Post e la solitudine dei numeri primi

Politiche
3 min lettura

“Se riuscite a radunare almeno venticinque persone, potenzialmente interessate a quanto proponiamo, saremo noi a venire a casa vostra a parlare con voi”. Nasce dalla fusione delle due più antiche forma di propaganda politica, il passaparola e la campagna porta a porta, uno dei più sorprendenti successi di queste elezioni europee. Soraya Post, svedese, 57 anni, è la prima donna, appartenente a un partito femminista, di nome e di fatto,  “Feminist Initiative ” a entrare nel Parlamento europeo.

 Feminist Initiative nasce nel 2005 dall’idea di Gudrun Schyman, leader storica della sinistra svedese. Non è mai riuscito a entrare nel parlamento svedese e, fino alle elezioni del 25 maggio, il miglior risultato era stato ottenuto proprio alle precedenti elezioni europee dove aveva raccolto il 2,2 per cento. La svolta arriva nel novembre 2013 con la candidatura, appunto, di Soraya Post. Candidatura forte per via delle mille battaglie condotte - su tutte quella in difesa della popolazione Rom - Soraya racconta di un’infanzia vissuta “in seconda classe” proprio a causa della sua appartenenza etnica. Sua madre, ha raccontato in una recente intervista al New York Times, subì a 21 anni e al settimo mese di gravidanza, un aborto forzato e in seguito venne sterilizzata contro la sua volontà. Altri tempi e soprattutto altra Svezia, che attualmente è il paese più avanzato al mondo per quel che concerne le politiche sociali. Le esperienze drammatiche hanno forgiato un carattere battagliero. Lei, scherzando, si è definita “una supereroina antifascista” perché sostiene che il peggior nemico del femminismo è il fascismo che vuole relegare le donne dietro ai fornelli.

Così, senza fondi pubblici, ma con colazioni, pranzi, cene organizzate dalle attiviste e dagli attivisti (sì, anche uomini) e un programma politico chiaro (diritto all’aborto, parità di retribuzione a prescindere da età, genere ed etnia, lotta contro ogni forma di discriminazione), Feminist Initiative avrà un seggio a Strasburgo. “Sedere nelle stanze che contano per lottare in quanto si crede” era il suo obiettivo prima del voto. Sembrava una chimera e invece, ai tempi della presunta democrazia digitale e di scostamento della classe politica dai cittadini, Soraya con le formule della vecchia politica, ce l’ha fatta e con un risultato ben al di sopra delle aspettative. Non avrà però compagne in questa avventura. Né le feministes pour une europe solidaire che in Francia hanno racimolato circa 30mila voti, né le Feministische Partei Die Frauen che in Germania hanno ottenuto pochissime preferenze. Ma la forza di carattere della Post è tale che non sorprenderebbe (ri)vedere presto il “gender pay gap” all’ordine del giorno in Parlamento  e molte liste, dichiaratamente femministe, presentarsi alle prossime elezioni nei rispettivi paesi.

Una Rom svedese che lotta contro i fascismi che riemergono nel vecchio continente. Esiste qualcosa che rappresenta meglio il sogno europeo?