Dati

Con il nuovo sistema di reclutamento e promozione nell'università italiana, la differenza di genere si è accorciata. Ma l'abilitazione non basta per ottenere la nomina. I giochi sono perciò ancora aperti, e resta da capire perché più si sale nella scala gerarchica e meno le donne si candidano a partecipare

Abilitazione scientifica nazionale,
miglioramenti da migliorare

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È un fatto ben noto che nel mondo della ricerca e dell’accademia le posizioni apicali sono di difficile conquista per le donne, in Italia come altrove. Secondo i dati più recenti (2013) forniti dal Miur (Ministero  dell’istruzione, dell’università e della ricerca) i professori  ordinari, che occupano il gradino più alto della scala gerarchica dell’università italiana, sono ancora al 79 per cento uomini. È interessante perciò domandarsi se ci siano segni di miglioramento e se i ben noti successi femminili nel campo dell’istruzione si stiano finalmente traducendo anche in un abbattimento del soffitto di cristallo.

A tale scopo è utile analizzare i risultati di un procedimento che si è da poco concluso, l’Abilitazione scientifica nazionale (Asn) 2013, che ha radicalmente mutato il metodo di reclutamento e promozione nell’università italiana [1]. L’Asn è in sostanza una certificazione di maturità scientifica: chi spera di diventare professore ordinario o professore associato deve sottoporre le proprie pubblicazioni scientifiche  a una commissione di esperti della materia che deciderà se il candidato/a possiede adeguate competenze. Si noti bene che la certificazione è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere al ruolo di professore. Il conseguimento effettivo del posto dipende dai fondi disponibili presso i vari atenei ed è demandato a un ulteriore giudizio che coinvolge anche la struttura universitaria presso cui lavorerà l’abilitato/a.  

I dati disponibili sui risultati della Asn [2] mostrano che la quota di donne tra gli abilitati ad associato è stata del 39,3% e quella tra gli abilitati ad ordinario è stata del 28,9%. Confrontando questo risultato con la quota di donne che nel quinquennio 2008/2012 sono state immesse nel ruolo di associato (in media 38,2%) o di ordinario (26,3%) non sembra che ci sia stato un cambiamento significativo. Il metodo di promozione è cambiato, ma i risultati in termini di genere sono molto simili (tabella 1)

Tabella 1: Risultati dell’Asn e confronto con il sistema di reclutamento/promozione in vigore 2008/2012

 

Abilitati

 2013

Uomini

abilitati

Donne

abilitate

% donne nel totale abilitati 2013

% donne nel totale vincitori di concorso 

2008/12

 

% donne in organico 2013

 

Associato

           15.386

     9.338

     6.048

39,3%

38,2%

35%

 

Ordinario

             7.053

     5.014

     2.039

28,9%

26,3 %

 

21,1%

I risultati sono tuttavia incoraggianti. Se infatti si confronta la quota di donne abilitate ad associato (39,3%) con la quota di donne associate attualmente in organico (35,9%), e se si confronta la quota di donne abilitate ad ordinario (28,9%) con la quota di donne ordinarie in organico (21,1%), non si può non rilevare come l’abilitazione abbia premiato le donne. Se le donne abilitate saranno effettivamente assunte, la quota femminile nell’organico crescerà. Non c’è quindi nulla di cui preoccuparsi, è solo questione di tempo e si arriverà alla parità di genere anche nell’università italiana? Le barriere stanno davvero crollando? Per rispondere a questa domanda, andiamo a confrontare la quota di donne abilitate a professore associato con la quota di donne nel gradino inferiore, quello di ricercatore; ci potremmo aspettare che le due quote siano più o meno uguali. Se le donne sono tot per cento dei potenziali aspiranti alla promozione dovrebbero essere circa lo stesso tot per cento degli abilitati. Invece troviamo che la quota di abilitate ad associato è inferiore del 16% rispetto alla loro quota tra i ricercatori già in ruolo. Risultati ancora più critici si ottengono considerando le abilitazioni a professore ordinario: la quota di donne abilitate ad ordinario è inferiore del 46% alla loro presenza in organico nei ruoli inferiori. 

Di chi è la responsabilità? Nel sistema in vigore prima dell’Asn nel periodo 2000-2011, le decisioni di  promozione spettavano a una commissione che sceglieva un vincitore/vincitrice tra quanti avevano fatto domanda per uno specifico posto in un determinato Ateneo. Era il sistema dei “concorsi locali”. È chiaro che la responsabilità di eventuali discriminazioni allora ricadeva sulla commissione. È stato stimato (Frattini e Rossi 2012) che nel passaggio ad associato o ad ordinario la probabilità di essere promosso è stata costantemente circa il 30% maggiore per un uomo che per una donna.

Da questo punto di vista i risultati della Asn sono sorprendenti, perché la probabilità di essere abilitati non cambia in modo sensibile in rapporto al genere. Per gli associati, la quota di abilitazioni sulle domande presentate è del 40,8% per le donne e del 43,4% per gli uomini; per gli ordinari la distanza è ancor minore: per le donne la quota di abilitazioni è del 41,9% contro il 43,6 degli uomini. Non c’è dunque evidenza che le commissioni abbiano in media discriminato i candidati sulla base del genere. Ci sono ovvie ragioni per salutare con soddisfazione questo cambiamento anche se è necessaria una nota di cautela: l’accademia italiana potrebbe aver abbandonato le tradizionali scelte discriminatorie in relazione alle abilitazioni perché l’abilitazione consiste di fatto nella concessione di una “medaglia” senza alcuna conseguenza rilevante in termini di carriera e stipendio. Bisogna vedere se quando si farà sul serio e le strutture di ricerca dovranno scegliere chi assumere tra gli abilitati, la preferenza per gli uomini non riemergerà in modo del tutto simile a quanto avvenuto  negli anni passati .

Ovviamente resta da spiegare perché, malgrado il comportamento mediamente virtuoso delle commissioni, i risultati complessivi  dell’Asn mostrino comunque una quota di donne inferiore a quella degli uomini. La ragione va verosimilmente cercata nelle scelte di partecipazione delle donne alle procedure di abilitazione. Le donne potrebbero aver partecipato meno degli uomini alle abilitazioni, autoselezionandosi, in generale, in modo più severo rispetto agli uomini, ed in modo differenziato per i ruoli di associato ed ordinario. In effetti, la  partecipazione delle donne all’abilitazione ad associato è meno che proporzionale rispetto alla loro quota nel ruolo dei ricercatori. Questo fenomeno si amplifica in modo molto evidente per l’abilitazione ad ordinario dove la quota delle donne tra i partecipanti alla competizione  è minore  del 38% rispetto al loro peso nei ruoli inferiori. Nel caso dell’abilitazione le donne sembrano dunque aver scelto di rinunciare volontariamente al gioco accademico, dando luogo a un flusso di abilitazioni sbilanciato per genere e perpetuando la segregazione verticale.

Tabella 2 Partecipanti all’abilitazione

 

Partecipanti abilitazione

Uomini

Donne

%Donne

Associato

           30.766

  18.147

  12.619

41,0%

Ordinario

           14.292

  10.003

     4.289

30,0%


Una congettura sulla autoselezione e la discriminazione di genere nella Asn.
Ci sono molte spiegazioni per le scelte autoselettive delle donne. Alcune fanno riferimento a caratteristiche psicologiche delle donne, come una minore propensione alla competizione (De Paola, Ponzo e Scoppa), minore autostima e capacità di autopromozione, scoraggiamento per le difficoltà già incontrate; altre ancora al fatto che nel momento in cui uno scienziato è più produttivo la donna deve affrontare eventi impegnativi come la gravidanza e la cura dei figli; altre infine fanno riferimento alla riluttanza delle donne a giocare esclusivamente al gioco accademico, rinunciando agli altri ruoli che svolge nella sua vita personale e sociale. 

A queste spiegazioni, note in letteratura da molti anni [3], nel caso delle abilitazioni è da affiancare una possibile spiegazione complementare relativa al disegno istituzionale delle abilitazioni le cui regole contengono un meccanismo che verosimilmente dà luogo a una discriminazione di genere che si realizza attraverso l’autoesclusione delle donne dalla partecipazione. Per partecipare all’Asn bisognava soddisfare un requisito: superare la “mediana”, cioè appartenere al 50 per cento della popolazione universitaria che aveva pubblicato di più in generale e/o di più su riviste scientifiche particolarmente. Se è vero – come risulta da dati empirici riferiti anche al caso italiano [4] - che le donne sono meno produttive degli uomini, aver individuato una mediana per la popolazione indipendentemente dal genere significa di fatto aver fissato una soglia che per le donne è mediamente più elevata che per gli uomini. Il peso attribuito alla quantità della produzione scientifica potrebbe aver giocato un ruolo rilevante nello spingere molte donne a rinunciare in partenza alla competizione. In generale, l’enfasi sulla quantità di produzione e sul numero di citazioni ricevute che si sta affermando nell’università italiana, non solo per le promozioni, ma anche per l’assegnazione di fondi e di risorse, può andare a svantaggio delle donne e dei dipartimenti con una maggiore presenza femminile.  Si noti che non sempre “più è meglio”: può essere anche positivo essere critici verso la propria produzione e evitare comportamenti opportunistici che portano alla  moltiplicazione di pubblicazioni tanto per aumentarne il numero. 

Una breve riflessione di policy.  Il gap di genere nella decisione di partecipazione all’Asn è un argomento in favore dell’eliminazione delle mediane quale pre-requisito per la partecipazione alle procedure di abilitazione. Esse dovrebbero essere sostituite con soglie fisse di ammissibilità definite ex-ante dalle comunità scientifiche di riferimento e  riferite esclusivamente ad un livello minimo di produzione scientifica, da considerare come soglia al di sotto della quale i candidati non sono pronti per la partecipazione. La produzione scientifica dovrebbe essere quantificata esclusivamente in termini di quantità di produzione e di tipologie di lavori scientifici (libri, articoli, etc.), senza alcun riferimento all’impatto citazionale e alle sedi di pubblicazione (classifiche di riviste). Tali soglie dovrebbero essere definite in modo autonomo dalle comunità scientifiche, con processi partecipativi dove è auspicabile che la voce delle donne venga ascoltata con particolare attenzione. L’introduzione di questa tipologia di soglie non solo eviterebbe i problemi più volte segnalati (per esempio qui), ma contribuirebbe anche alla parità di genere.

 

Note

[1] Chi conosce bene i meccanismi dell’università italiana può leggere un’analisi più ampia e dettagliata dei risultati dell’Asn in un’ottica di genere sul sito www.roars.it

[2] Quelli ufficiali MIUR ancora non ci sono, come ha sottolineato Daniele Gallo su Roars http://www.roars.it/online/asn-2012-ecco-le-statistiche-finali-diverse-da-quelle-anvur/. Usiamo quindi il database costruito da Daniele Gallo riferito alle 59.881 domande di partecipazione e 25.518 abilitazioni conseguite,  che sono state classificate a mano per  sesso del candidato.

[3] La prima analisi di genere delle universitarie italiane per il settore delle scienze economiche risale a venti anni fa. Cfr. A. Carabelli, D. Parisi e A. Rosselli (a cura di)  Che Genere di economista? Il Mulino, Bologna, 1999

[4] Si  veda Baccini et al. (2014) Crossing the hurdle: the determinants of individual scientific performance, Scientometrics, DOI 10.1007/s11192-014-1395-3.