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Attivismo digitale per il gender mainstreaming nelle professioni: il progetto Architette, raccontato dalla sua ideatrice, Francesca Perani

L'attivismo digitale
delle architette

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Foto: Unsplash/ Dmitri Popov

È possibile coniugare eccellenza professionale e impegno per una causa? Una risposta positiva arriva dall’architetta Francesca Perani, ideatrice del progetto Architette, l'ultima iniziativa di un percorso lungo più di dieci anni e dedicato a conciliare dedizione professionale e attivismo sulle questioni di genere. L'abbiamo intervistata.

Tutto comincia quando Perani viene eletta consigliera all’Ordine degli architetti di Bergamo (OAB), nel 2010, e riscontra un problema di visibilità delle donne nella professione. Nasce da qui l’iniziativa Archidonne, un gruppo di lavoro fondato dalla stessa Perani insieme ad altre due architette iscritte all'Ordine – Sandra Marchesi e Arianna Foresti – e animato dalla volontà di promuovere la parità di genere nella professione ispirandosi ai principi del gender mainstreaming. "I tempi non erano maturi perché la scelta ricadesse sul termine architette, che io stessa non avevo mai sentito utilizzare" commenta Perani, e aggiunge "anche se io avrei voluto essere chiamata così già dal 2000".

Archidonne inizia a lavorare sulla visibilità, ragionando sui perché della sostanziale assenza del lavoro delle architette sui media, nei premi, nelle giurie, nella docenza. "Statistiche alla mano, abbiamo dato vita a un’indagine per individuare i motivi per cui un cospicuo numero di laureate non si iscrivesse all’Ordine. Nonostante le donne rappresentino più del 50% delle iscritte e si laureino in tempi minori, la maggior parte degli iscritti all’Ordine sono uomini”. Ne è seguito un videoreportage che è stato anche proiettato durante la notte OAB nel 2011, una serata dedicata alle professioniste dell’architettura e presenziata da Donata Paruccini, Cecilia Puga e Teresa Sapey.

È nelle difficoltà di concilare famiglia e lavoro che l'indagine ha individuato una delle risposte più significiative. 

La prima soluzione proposta, è stata quella di sostituire la 'quota mamma' (già adottata dal Gruppo donne libere professioniste dell’Ordine degli Architetti di Rimini) con la 'quota genitori', definendo la misura non come premio per le mamme ma come sostegno alla condivisione del ménage familiare tra madri e padri. Questa idea è stata proposta soprattutto da quelle professioniste di Archidonne che lavorando in Italia e all'estero hanno facilitato l’introduzione di modelli già consolidati in altri paesi – in questo caso Alessandra Morri, che con Mariacristina Brembilla è referente dell’iniziativa.

Un’altra azione promossa da Archidonne è stata quella di invitare i sindaci neoeletti a incoraggiare la parità all’interno dei consigli comunali[1]: "la parità nei gruppi è un obiettivo da perseguire anche per contrastare il gap di nomine: se queste fossero equamente distribuite tra uomini e donne, automaticamente la questione del merito – spesso usata come palliativo in merito alle quote rosa – sarebbe superata. Un piccolo esempio è portato proprio dall’Ordine degli architetti che ha visto la nomina a presidente di due donne a seguito dell’opera di sensibilizzazione alla parità sollecitata dal gruppo di lavoro", prosegue Perani.

Nel frattempo, racconta Francesca Perani, Chiara Raffaini, vicepresidente dell’Ordine, ha istituito una commissione per le pari opportunità in linea con le raccomandazioni della Carta etica dell’Associazione donne architetto (Ada), che sollecita la costituzione di tale organo in tutti gli Ordini di riferimento. E a marzo del 2017 l’Ordine degli architetti di Bergamo ha accolto la richiesta – presentata da Silvia Vitali, Cristina Brambilla e Francesca Perani – dell’adozione del timbro femminile, a fianco a quello maschile, che include la dicitura architetta. Una vicenda che ha fatto scalpore sui media ma che ha trovato il supporto scientifico di esperte in materia, come la linguista Cecilia Robustelli, cui Francesca Perani si è rivolta per fugare ogni dubbio di legittimità sull'utilizzo del termine. 

Le parole che usiamo hanno a che fare con le identità e con le identificazioni, e influenzano il perseguimento delle ambizioni professionali. "Una delle materie più importanti ad architettura è progettazione" spiega Perani "di docenti donne ce ne sono pochissime, io non ne ho mai avuta una. Se esco dal mio percorso di studi identificandomi in un genere che non è il mio, senza potermi identificare per genere nella mia professione; se gli studi diretti da donne sono pochissimi, questo non mi aiuta nel mio percorso di realizzazione professionale. Però le cose già stanno cambiando”[2]. 

È così che è nato il progetto collettivo Architette, una piattaforma che riunisce quattordici creative attorno a un attivismo digitale volto alla ridefinizione, in un’ottica di genere, di modelli e ruoli di eccellenza della professione. La piattaforma predilige la divulgazione online e sui social network al fine di intercettare più agevolmente una fascia giovane di utenza e quindi di cittadinanza.  È soprattutto per le più giovani, infatti, che opera il team RebelArchitette nato all'interno di Architette e che a gennaio ha diffuso la sua prima pubblicazione editoriale. 

Architette si sta ora allineando con altri progetti già esistenti, come MoMoWo o Parlour. Tra le iniziative volte a dare visibilità al lavoro delle professioniste c'è la costruzione di una galleria di profili di architette in collaborazione con il portale Divisare, una delle riviste di riferimento per l’architettura. Nello specifico, Architette verifica il profilo biografico della professionista presente su Divisare e riscrive una scheda biografica con nuovi parametri che tengano conto anche delle attività di promozione o autopromozione. Non solo: la griglia valutativa è ripensata mettendo in discussione gli indicatori di successo tradizionali che appaiono sensibilmente male-orienteted.

Tra i progetti da varare nel 2018, c’è poi quello pensato per la prossima edizione della Biennale di Venezia, la cui call (aperta fino al 18 aprile) vuole richiamare il maggior numero possibile di professioniste del settore, proponendosi come azione collettiva.

"L’architettura è una professione creativa e inclusiva, e noi vogliamo progettare secondo il principio di inclusività a 360°" conclude Perani.

La risposta, almeno sui social, è stata positiva: i post del progetto Architette sono molto condivisi. Anche questo è un modo per fare rete, trovare alleanze e supporto e così concorrere alla diffusione della visibilità del lavoro delle donne nel mondo, e a livelli d’eccellenza.

Note

[1] Si segnala a tale proposito la legge provinciale 8 marzo 2010, n. 5 di Bolzano.

[2] Se ci si vuol fare un’idea dello squilibrio di genere, in termini di presenze, basta leggere i nomi dei partecipanti al convegno Identità dell’architettura italiana 2017.