Dati

Nelle pubbliche amministrazioni le donne che ricoprono ruoli strategici sono ancora troppo poche, una tendenza che si rinforza salendo verso le posizioni di massima rappresentanza nelle carriere. Per raggiungere la parità servono politiche mirate e un cambiamento culturale che valorizzi le competenze. Un'analisi a partire dai dati Istat

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Barriere invisibili
Credits Unsplash/Ilyas Bolatov

Il rapporto tra donne e governance nella Pubblica amministrazione (PA) rimane complesso. Il cammino tracciato fino a oggi ha infranto solo parzialmente il soffitto di cristallo che limita la presenza femminile nei luoghi in cui si decide. In questo ambito, come in molti altri, la parità di genere è ancora un obiettivo lontano e, soprattutto, pieno di ostacoli.

I dati del Censimento delle istituzioni pubbliche realizzato dall’Istat consentono di valutare la presenza delle donne nelle posizioni di governance della Pubblica amministrazione, fornendo una panoramica sulle figure decisionali strategiche delle tante e diverse anime che la compongono. Si tratta di amministrazioni centrali, organi costituzionali, enti territoriali e appartenenti al comparto della sanità e dell’istruzione – settori molto diversi tra loro per funzioni, dimensioni e organizzazione istituzionale, e anche per la diversa partecipazione femminile nei livelli decisionali apicali. 

In particolare, i dati del censimento consentono di effettuare un'analisi di genere sugli organi che esercitano funzioni di direzione, programmazione, controllo e coordinamento per il raggiungimento degli obiettivi istituzionali. Questi includono il vertice politico, che rappresenta legalmente l’istituzione, gli altri organi di governo con funzioni di indirizzo politico-amministrativo, gli organi di controllo interno e i vertici amministrativi, che svolgono funzioni di raccordo tra il vertice politico e le strutture amministrativo-gestionali apicali.

Secondo i dati del 2021 relativi al complesso delle Pubbliche amministrazioni, le strutture di vertice amministrativo raggiungono la “gender balance zone”, con almeno il 40% di donne (Figura 1). Negli altri organi, la presenza femminile è più limitata: solo 3 donne su 10 sono nei ruoli di governo, deliberativi o esecutivi. Il numero di donne è ridotto anche negli organi di controllo interno, risultando nel complesso leggermente superiore negli organi di valutazione delle performance (3 donne su 10) rispetto agli organi di revisione contabile (meno di 3 su 10). Il genere femminile è ancora meno rappresentato nelle posizioni di vertice politico, dove troviamo soltanto meno di 2 donne su 10.

Figura 1. Donne negli organi di governance della PA nel suo complesso e degli enti territoriali (valori % sul totale)

 

Figura 1
Fonte: Censimento delle istituzioni pubbliche 2021, Istat

La situazione non migliora se si considerano gli organi di governo degli enti pubblici territoriali (regioni, province, città metropolitane, comuni, comunità montane e unioni di comuni), cioè quelli più vicini alla cittadinanza e tipicamente di origine elettiva. 

La presenza delle donne ai vertici è significativamente inferiore rispetto al complesso della PA (10% contro il 16%), e lo stesso avviene, seppure con differenze meno marcate, nei ruoli di governo, deliberativi o esecutivi, in linea con i dati dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere; negli organi di valutazione e nei vertici amministrativi è superiore rispetto al totale della Pubblica amministrazione, ma le differenze risultano minime. È evidente che le diverse misure normative introdotte per promuovere l’equilibrio di genere nelle assemblee elettive, locali e regionali non hanno ancora dato i risultati sperati.

Le differenze di genere sono marcate in alcune istituzioni: solo 4 donne su 100 sono presidenti di provincia e meno di 2 su 10 partecipano alle assemblee provinciali (Figura 2).

Figura 2 - Donne negli organi di governance della PA. Valori medi per il totale della PA, valori minimi e massimi per specifiche tipologie di istituzioni (valori % sul totale)

Figura 2
Fonte: Censimento delle istituzioni pubbliche 2021, Istat

Nelle città metropolitane, meno di 2 donne su 10 sono nei consigli metropolitani, ma al contempo queste istituzioni hanno il maggior numero di donne negli organi di valutazione delle performance (4 su 10). 

Le università hanno il numero più basso di donne tra i vertici amministrativi (meno di 4 su 10) ma la maggiore presenza femminile negli organi di revisione contabile (quasi 4 su 10). Sempre in questi organi, i comuni con oltre 20.000 abitanti si distinguono per il più basso numero di donne (2 su 10). 

I comuni con popolazione tra 5.000 e 20.000 abitanti invece si distinguono per la presenza più elevata di donne nei consigli e nelle giunte comunali e nei vertici amministrativi (rispettivamente con il 38%, 41% e 51%). Gli enti pubblici non economici si caratterizzano per il più alto numero di donne ai vertici (quasi 2 su 10) mentre le amministrazioni centrali per la minore presenza di donne negli organi di valutazione (meno di 3 su 10). 

I dati ci dicono che l’uguaglianza di genere nei luoghi decisionali della PA, e soprattutto in alcune tipologie di enti, è ancora lontana. Per di più, mano a mano che si sale verso le posizioni di rappresentanza politica, le barriere invisibili diventano sempre più numerose per le donne. Per il raggiungimento di una parità di genere effettiva in questo ambito è necessaria l'adozione di politiche specifiche ma anche un cambiamento culturale che valorizzi le competenze delle donne. 

L’auspicio è che il Piano nazionale di ripresa e resilienza e la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 possano concretamente rappresentare un’occasione per limitare i divari e creare più possibilità di carriera verticale per una maggiore partecipazione femminile alla vita politica e istituzionale del nostro paese.

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