Politiche

Favorire la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Cosa hanno fatto le regioni negli ultimi sei anni

Conciliazione. Meno fondi
più sperimentazione

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Foto: Flickr/GSCSNJ

Lo scorso 14 dicembre il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato a Roma il rapporto relativo all'attività di monitoraggio dei risultati delle due intese - 2010 e 2012 - tra stato e regioni sulla ripartizione delle risorse del sistema di interventi volti a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Al centro delle intese gli obiettivi generali erano quelli di rafforzare la disponibilità dei servizi e degli interventi di cura alla persona e di potenziare i supporti finalizzati a consentire alle donne la permanenza, o il rientro, nel mercato del lavoro.

Alla presenza della coordinatrice dell'ufficio per gli interventi in materia di parità e di pari opportunità, la dirigente generale Monica Parella, il team che ha condotto l'analisi ha messo in luce come nel corso degli ultimi sei anni le aree di intervento che tradizionalmente erano state oggetto delle azioni di conciliazione, ovvero quella dei servizi e quella del supporto alla maternità, hanno ceduto spazio e attenzione alle aree della flessibilità organizzativa e degli interventi sperimentali. Tale cambiamento, che ha riguardato l'intero territorio, è stato incentrato sul passaggio da un piano di interventi connotati da un maggiore peso economico e focalizzati sulla realizzazione di progetti di conciliazione più classici - quali percorsi formativi per le lavoratrici al rientro dal congedo di maternità, aumento del numero dei nidi per l'infanzia, buoni acquisto e altri incentivi - a un reindirizzamento degli interventi attraverso la promozione di una cultura della flessibilità in azienda e con azioni di welfare aziendale. In questa seconda fase, i servizi già in uso sono stati modificati al fine di essere adattati maggiormente alle esigenze individuali, per esempio in termini di orari e distribuzione.

Dietro a tale cambiamento sono state individuate due cause principali. Una prima di natura economica. Infatti, mentre la prima intesa, stipulata nel 2010, poteva contare su un budget complessivo di circa 40 milioni di euro, redistribuiti tra le regioni, la seconda, quella del 2012, ha visto una drastica riduzione del budget, che è sceso a circa 15 milioni di euro. Ma la motivazione economica, il cui peso sulle decisioni prese a livello locale non è sicuramente trascurabile, è stata affiancata da un altrettanto importante cambiamento di prospettiva riguardante il welfare. Si punta, quindi, su un welfare secondario, con il quale l’attenzione si sposta verso i luoghi di lavoro, non visti soltanto come luoghi della responsabilità sociale ma anche come luoghi che, se meglio organizzati e gestiti con maggiore razionalità, efficacia ed efficienza, possano intercettare i bisogni delle persone, fornire risposte efficaci, produrre benessere e al contempo migliorare in produttività e competitività.

Se, da un lato, le imprese, non solo quelle grandi, ma anche quelle medio-piccole, vengono a giocare un nuovo ruolo e si riesce finalmente a ottenere una visione complessiva dei processi, d'altra parte, il rischio è quello di perdere di vista il soggetto destinatario finale, cioè le donne e, in generale, le lavoratrici e i lavoratori. Inoltre, nella gran parte dei casi, il welfare gestito dalle aziende può sfociare in un approccio parziale, che si rivolge esclusivamente alle madri, trascurando il ruolo dei padri e, quindi, mancando il fondamentale obiettivo del raggiungimento delle pari opportunità. 

Anche la gestione delle risorse a livello di governance regionale può avere implicazioni importanti sul conseguimento dei risultati. È stato infatti evidenziato dalla ricerca, che in alcune regioni gli interventi e i fondi ad essi destinati sono stati amministrati dalla direzione sociale, mentre in altre da quella economica. Da tale decisione di governance possono scaturire considerazioni il cui impatto non è trascurabile. La conciliazione vita-lavoro è una questione sociale o un'opportunità economica? E quanto incide sull’efficacia e sull’impatto della conciliazione l’area decisionale coinvolta?

Infine, gli strumenti di promozione sono stati fondamentali per la diffusione e la sensibilizzazione sui territori regionali delle tematiche connesse alla conciliazione. Solo laddove c'è stato un serio lavoro di promozione degli interventi, i progetti hanno riscosso il successo che ci si aspettava anche in termini di cofinanziamento. La promozione e la comunicazione degli interventi è stata, infatti, molto diversa a livello regionale. Solo le regioni che hanno informato e formato le imprese, le organizzazioni sindacali e i cittadini stessi sono riuscite a farsi promotrici di un sistema socio-economico basato sulla co-responsabilizzazione di tutti gli attori. 

In sostanza, i risultati più importanti sono sono stati raggiunti nelle Regioni che hanno ricevuto più risorse, ma anche che avevano già alle spalle una rilevante esperienza nell'ambito della realizzazione e promozione dei progetti di conciliazione. In tema di buone pratiche sono stati presentati gli interventi realizzati in Piemonte e in Lombardia. In Piemonte il tema della conciliazione non era nuovo. Già dal 2000 la regione aveva avviato, attraverso l'utilizzo di fondi europei, diversi progetti volti al supporto della conciliazione vita-lavoro e alla diffusione di una cultura di parità. Quindi, se con i fondi provenienti dalla prima intesa il governo regionale ha deciso di portare avanti ed estendere i progetti già in corso, la seconda intesa ha dato la possibilità di adeguare tali progetti alle nuove esigenze dei cittadini. È di particolare interesse il caso dei posti negli asili nido, che nella prima fase sono stati incrementati, mentre nella seconda, essendo addirittura in esubero rispetto al numero delle richieste, hanno subito una riorganizzazione volta all'adeguamento ai bisogni territoriali. Si è quindi cercato di venire maggiormente incontro ai flussi di natalità, alla propensione alla spesa delle famiglie e a quella delle aziende, in modo da realizzare un aggancio con il tessuto aziendale e territoriale.

La Lombardia si è invece distinta per la sua capacità di realizzare partnership tra pubblicoe privato al fine di moltiplicare i fondi stanziati a livello statale. A tale fine sono state promosse le "alleanze territoriali di conciliazione", che sviluppano e attuano i progetti al fine di un più stretto rapporto con tutti gli strumenti della programmazione locale. La molteplicità degli attori, portatori di interessi di mondi diversi, ha permesso non solo l’attivazione di misure e servizi in grado di rispondere ai bisogni di conciliazione a 360° gradi, ma ha anche avuto un importante effetto leva sulle risorse (con il 40% di cofinanziamento attivato).

Insomma, grazie alle intese le regioni hanno portato avanti notevoli interventi nell'ambito della conciliazione vita-lavoro. Il problema che permane, e che resta valido per tutta Italia, è che se questi interventi sperimentali si basano su fondi elargiti una tantum il risultato è che i progetti portati avanti saranno destinati a fermarsi al livello di sperimentazioni, e non riusciranno pertanto a cambiare la cultura della conciliazione, come invece è necessario.