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In tempi di crisi avere un lavoro è considerata una fortuna, e si finisce per non prestare attenzione alla qualità. Le analisi più recenti spiegano cosa fa di un lavoro un "buon lavoro"

Cosa fa di un lavoro
un "buon lavoro"

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foto Flickr/Mariela De Marchi Moyano

Le analisi del mondo del lavoro in periodi di crisi tendono a concentrarsi sulle difficoltà di mantenere un lavoro o di trovarlo, relegando in secondo piano gli studi sulle condizioni e sulla qualità.

Ma cosa fa di un lavoro “un buon lavoro”? Un lavoro, per essere di elevata qualità richiede che si svolga un’attività coerente con le proprie abilità e attitudini, che si abbia la possibilità di sviluppare le proprie skills attraverso attività formative, e poi ritmi non discontinui o eccessivi, un buon clima sociale, livelli retributivi adeguati, obiettivi e pratiche organizzative condivisi con l’azienda, ma anche autonomia nella gestione delle proprie mansioni, in modo che ci sia equilibrio fra vita professionale e vita privata, e che il valore del proprio operato venga riconosciuto. La qualità del lavoro ha insomma un carattere multidimensionale e complesso, e anche per questo esistono differenti approcci e molteplici metodologie di misura, come sintetizzato nel riquadro in fondo a questo testo.

Di recente l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse, in inglese Oecd) ha pubblicato un sistema informativo per misurare la qualità del lavoro[1], nonché i risultati di studi condotti tramite questa fonte informativa.

L’Ocse definisce la qualità del lavoro tramite tre dimensioni:

  • l’ambito remunerativo: ossia i guadagni medi in parità di potere d’acquisto e la loro distribuzione;
  • la protezione nel mercato del lavoro: legata al rischio di perdere il lavoro e ai sussidi ricevuti in caso di disoccupazione;
  • l’ambiente di lavoro: con riferimento ad aspetti non economici del lavoro, tra cui la natura e il contenuto del lavoro svolto, gli orari di lavoro e le relazioni sul posto di lavoro.

Rispetto agli altri paesi europei, l’Italia si colloca agli ultimi posti per protezione nel mercato del lavoro (a stare peggio, solo Grecia e Spagna) - riflesso dell’alta probabilità di perdere il lavoro e delle coperture assistenziali più basse - e per la qualità dell’ambiente di lavoro. Il nostro Paese si colloca in una posizione intermedia solo per la qualità delle remunerazioni (seguita dai paesi dell’Est Europa).

Questa, in estrema sintesi, è la tutt’altro che brillante situazione dell’Italia rispetto ai paesi dell’Ocse. Ma se ci focalizziamo solo sul nostro Paese, ci sono differenze di genere sostanziali. Chiediamoci allora come ha inciso la crisi nell’evoluzione della qualità del lavoro.

Dall’analisi della dimensione retributiva, intesa come sintesi tra retribuzione media e disuguaglianza retributiva, si conferma lo svantaggio per le donne italiane rispetto ai colleghi maschi (fig. 1). Svantaggio che sembra essere aumentato dal 2008 al 2012 (ultimo anno disponibile per l’Italia). Delle due componenti dell’indicatore, è l’evidente differenza nelle retribuzioni medie quella che incide maggiormente sul differenziale di genere.

Fig. 1: Indicatore Ocse sulla qualità del lavoro in termini retributivi (indicatore globale e relative componenti), Italia

Fonte: Oecd Job Quality database (2016) - La qualità in termini retributivi è misurata prendendo in considerazione sia il livello che la distribuzione dei redditi da lavoro utilizzando l'approccio proposto da Atkinson (1970). In estrema sintesi una media dei redditi ponderata con il coefficiente di disuguaglianza.

Nel periodo 2006-2013 l’indicatore che misura l’insicurezza del mercato del lavoro è nettatamene aumentato per i due sessi, con l’indice per gli uomini che sale più velocemente (fig. 2). Negli anni della crisi si registra dunque un progressivo livellamento tra uomini e donne, conseguenza, da un lato, dal processo di eguaglianza verso il basso operato dalla crisi e più volte ricordato nella nostra newsletter, e dall’altro da azioni di policy - si pensi alla cassa integrazione in deroga - che hanno interessato una fascia di popolazione più ampia, comprese le donne. Fra il 2006 e il 2013 il rischio di disoccupazione, inizialmente molto più basso per gli uomini, sale più velocemente, assestandosi a un livello di poco inferiore a quello per le donne, mentre l’accesso delle donne ai sussidi di disoccupazione aumenta, pur permanendo un leggero svantaggio rispetto agli uomini.

Fig. 2: Indicatore Ocse sulla qualità del lavoro in termini di insicurezza del mercato del lavoro (indicatore globale e relative componenti), Italia

Fonte: Oecd Job Quality database (2016)

La dimensione relativa alla qualità dell’ambiente di lavoro è identificata dall’Ocse tramite un indice sintetico denominato stress lavorativo (job strain) che cattura gli aspetti non economici della qualità del lavoro ed è ricavato dalla combinazione di informazioni sulla “domanda della prestazione lavorativa” (cioè ciò che il datore chiede al lavoratore in termini di tempo e di rischio per la salute) e sulle “risorse del lavoratore” (cioè autonomia e sostegno sociale sul luogo di lavoro). Mentre il dato aggregato[2], mostra per l’Italia una riduzione dello stress lavorativo fra il 2005 e il 2015, l’analisi per genere evidenzia come tale riduzione sia imputabile principalmente alla componente femminile (fig. 3). Se nel 2005 l’indicatore non mostrava sostanziali differenze tra uomini e donne, nel 2010, ma ancor più nel 2015, si rileva una più elevata incidenza di “job strain” per gli uomini. A influire sulla migliore qualità dell’ambiente di lavoro per le donne è la minor esposizione a fattori di rischio per la salute fisica, mentre si conferma lo svantaggio delle donne in termini di autonomia e opportunità di apprendimento sul lavoro.

Fig. 3: Indicatore Ocse sulla qualità dell’ambiente di lavoro in termini di “stress lavorativo” (indicatore globale e relative componenti), Italia

Fonte: Oecd Job Quality database (2016) - 1) Pressione del tempo: comprende tempi di lavoro lunghi, alta intensità di lavoro e ritmi di lavoro intensi; 2) Fattori di rischio per la salute fisica: comprende il lavoro pericoloso (cioè essere esposti a rumore, vibrazioni, alta e bassa temperatura) e il lavoro duro (cioè trasporto e spostamento di carichi pesanti, posizioni scomode, dolorose e stancanti); 3) Autonomia sul lavoro e opportunità di apprendimento: che comprendono la libertà dei lavoratori di scegliere e cambiare le attività e i metodi di lavoro, così come le opportunità di apprendimento formale e informali sul posto di lavoro; 4) Sostegno sociale sul luogo di lavoro: comprende la possibilità di avere buoni rapporti con i colleghi e i superiori.

Per concludere, questa rapida fotografia sulla qualità del lavoro in Italia in una prospettiva di genere, realizzata adottando l’approccio sviluppato dall’Ocse, ha confermato risultati già noti, legati sia ai possibili effetti della crisi economica sull’occupazione e sulla qualità del lavoro, sia alle differenze di genere.

Ciò che è emerso dalle analisi è il legame tra crisi economica e variazione delle differenze di genere in termini di qualità del lavoro. La crisi, che in Italia ha interessato maggiormente la componente maschile dell’occupazione, sembra aver livellato le differenze di genere in diversi ambiti della qualità del lavoro. Tale livellamento, tuttavia, è conseguenza di una riduzione della qualità per gli uomini e non di un aumento per le donne. Le donne inoltre continuano a essere “meno retribuite” – nonostante i loro più alti livelli di istruzione, soprattutto se occupate – e a godere di minore autonomia sul luogo di lavoro, probabilmente perché chiamate a svolgere lavori sotto la stretta subordinazione di altre figure, in prevalenza uomini, e con una ridotta possibilità di apprendimento, sia esso di tipo formale o non formale. Tutte questioni che poco hanno a che fare con fenomeni congiunturali.

Differenti approcci e metodologie per misurare la qualità del lavoro

Un importante riferimento a livello globale è l’approccio dell’Organizzazione Internazionale per il Lavoro (ILO) esplicitato con la campagna condotta per colmare il deficit di decent work (ILO, 1999). Un altro approccio alla qualità del lavoro in ambito globale, è quello promosso dal gruppo di lavoro costituito sin dal 2005 dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE), congiuntamente con ILO e EUROSTAT, con lo scopo di predisporre una batteria di indicatori per la misurazione della qualità dell’occupazione (UNECE, ILO, EUROSTAT, 2010).

Per ciò che attiene all’ambito europeo, gli orientamenti più recenti, riflessi nella strategia Europa 2020, puntano al miglioramento della qualità del lavoro nelle sue diverse articolazioni. Sempre in ambito europeo, va ricordato l’approccio dell’ European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions (Eurofound), impegnata nella definizione e sviluppo di strumenti per l’analisi della qualità e delle condizioni di lavoro in Europa. L’Eurofond contribuisce al monitoraggio della qualità del lavoro realizzando l’European Working Conditions Survey (EWCS) e l’Osservatorio europeo sulle condizioni di lavoro (EWCO) (Gallie et al., 2012). 

In Italia la riflessione teorica sul tema della qualità del lavoro ha origine all’inizio degli anni Ottanta, grazie ai fondamentali contributi di Luciano Gallino e Michele La Rosa. Gli elementi fondanti dell’approccio riconducibile ai due autori attengono principalmente alla definizione della qualità del lavoro declinata in base alla complessità dell’esperienza lavorativa e soprattutto alla molteplicità degli aspetti del lavoro che fanno riferimento ai bisogni dell’individuo. In tal senso, la qualità del lavoro costituisce l’esito del rapporto fra bisogni del lavoratore e profilo dell’organizzazione del lavoro (Gallino, 1983). La qualità del lavoro viene definita come l’insieme di cinque dimensioni, nessuna delle quali prioritaria alle altre, riferite ad altrettanti aspetti del lavoro (la dimensione ergonomica, la dimensione della complessità, la dimensione dell’autonomia, la dimensione del controllo, la dimensione economica).

 

Riferimenti bibliografici

Gallie D., Gosetti G. e M. La Rosa, Qualità del lavoro e qualità della vita lavorativa. Cosa è cambiato e cosa sta cambiando, “Rivista di sociologia del lavoro”, fascicolo 127, IV, F. Angeli, Milano, 2012.

Gallino L., Informatica e qualità del lavoro, Torino, Einaudi, 1983.

Green F., Concetti, teorie e misure della qualità del lavoro, in D. Gallie, G. Gosetti e M. La Rosa, Qualità del lavoro e qualità della vita lavorativa. Cosa è cambiato e cosa sta cambiando, ”Rivista di sociologia del lavoro”, fascicolo 127, IV -2012, F. Angeli, Milano, 2012.

UNECE, ILO, EUROSTAT, Conference of European Staticians, potential indicators to mesure quality of employment, Documento preparatorio, Parigi, 2010.

NOTE

[1] I dati provengono da varie fonti (Oecd Job Quality database 2016) 

[2] I dati sono ricavati dall’ European working condition survey dell’Eurofound.