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Risparmi, guadagni, investimenti. Il modo in cui le donne si relazionano ai soldi e alla loro gestione resta un nervo scoperto su cui pesa una predestinazione culturale. Ma qualcosa si muove, parlano i dati

Donne e denaro,
relazione complicata

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Foto: Flickr/Fairfax County

Quello delle donne con il denaro è un rapporto problematico. Lo è sempre stato. A differenza di quel che si potrebbe pensare, un patrimonio a disposizione non affrancava, in passato, la donna che lo detenesse dalla disparità di genere. Anzi, verrebbe da dire… Nel nostro paese non sono passati secoli da quando le donne hanno potuto acquisire la reale piena disponibilità dei loro beni: fino a quel momento non potevano amministrare il proprio patrimonio senza il consenso del padre o del marito, tantomeno procedere a vendite, donazioni o acquisizioni.

Una inferiorità giuridica “giustificata” dalla presunta incapacità delle donne di occuparsi di altro rispetto alle faccende domestiche. E pensare che il termine economia proprio dalla gestione della casa - oikos, in greco antico - trae la sua origine…

Certo, oggi lo scenario in cui le donne vivono e operano – con un'analisi concentrata sui paesi occidentali-avanzati – è cambiato radicalmente. In meglio, quanto ai diritti, alle pari opportunità e alla consapevolezza che le donne – almeno sul piano teorico – hanno di se stesse.

Ma il denaro rimane un aspetto ostico, un punto dolente, un terreno dove l'uguaglianza delle opportunità è lungi dall’essere stata ottenuta.

Vediamo alcune tappe miliari nella esistenza finanziaria di una fanciulla. Si comincia con la paghetta che, quando c’è, è inferiore a quella dei maschi coetanei e/o dei fratelli; ai maschi la paghetta viene erogata con cadenza costante mentre alle femmine verrebbe concessa una tantum. I ragazzi – secondo un'indagine pubblicata dalla Fondazione per l'educazione finanziaria e per il risparmio – sono molto meno controllati nella gestione delle somme a loro disposizione e più liberi – quando non incoraggiati – a migliorare la propria posizione finanziaria attraverso, ad esempio, lavoretti retribuiti.

Si segna così una divaricazione nel rapporto con il denaro destinata ad essere sempre più marcata.

Le ragazze vengono incoraggiate al risparmio, al mettere da parte laddove i maschi vengono instradati al “far fruttare” i mezzi di cui dispongono. Antropologicamente infatti ai due generi, maschile e femminile, sono assegnati compiti e missioni diverse.

Al maschio, sinteticamente, quello dell’evoluzione e selezione della specie; alla femmina quello della continuazione e protezione della vita.

A questi due diversi obiettivi corrispondono attitudini profondamente diverse:

  • il maschio: osa, rischia, sfida, compete, conquista;
  • la femmina: custodisce, protegge, conserva, mette al sicuro.

L’atteggiamento di fondo delle donne nei confronti del denaro è influenzato da questo imprinting antropologico

Una predestinazione che si ripercuote anche sulle indicazioni di carattere scolastico-professionale: ai maschi viene sottolineato il bello di svolgere professioni altamente remunerative come "notaio" e "dentista". In fondo anche nella famiglia, o formazione sociale, di oggi, il profilo del breadwinner è ancora associato al maschio lavoratore.

E qui ci imbattiamo in un gap, oggi più evidente, a partire dalla denuncia al mondo da parte di Patricia Arquette alla cerimonia degli Oscar del 2015 sul “divario salariale di genere”.

Il grafico presenta i risultati di una ricerca condotta da Episteme per AXA (nel 2012) e fa riferimento all’Italia.

Il Gender gap report 2016 di Job Pricing evidenzia che la differenza retributiva tra uomini e donne nel nostro paese è strutturale: i maschi – a parità di professione e inquadramento – guadagnano in media il 10,9% in più delle donne (con minimi del 5% tra i quadri; il 12% circa tra i dirigenti e il 12,4% tra gli impiegati). Non che nel resto d’Europa le cose vadano meglio: su 31 paesi analizzati da Eurostat, l’Italia è all’ottavo posto mentre la media Ue del gender gap è del 16,3%.

Insomma le donne guadagnano meno, conseguentemente risparmiano meno e, spesso, con più fatica. Inoltre è un dato di fatto che le donne siano più longeve e abbiano una probabilità elevatissima di dover gestire da sole le finanze nell’ultima parte della vita, quella caratterizzata, osservando la teoria del ciclo vitale del risparmio di Modigliani, dal mettere mano ai risparmi (dissaving) per poter mantenere sostanzialmente invariati i loro consumi. Una fase dell’esistenza in cui le donne, inoltre, possono contare in media su pensioni più basse di quelle degli uomini perché spesso il loro percorso professionale è stato più frammentato a causa degli altri impegni che si sono trovate ad affrontare (maternità in primis; luoghi comuni sulla minore importanza del lavoro femminile; maggiore precarietà occupazionale, ecc).

Le differenze di genere non risparmiano le donne neanche nel ruolo di investitrici. E toccano anche le fasce più giovani della popolazione, quelle nelle quali le giovani coorti non sembrano soffrire di istruzione finanziaria più bassa rispetto ai loro coetanei maschi. Un’indagine di Gfk Eurisko ha messo in luce come le donne giovani cerchino spazi di autonomia e si allontanino dal ruolo tradizionalmente “casalingo”. Ma, nonostante la maggior preparazione teorica, il mondo femminile percepisce la finanza come ostile, un universo fumoso e altezzoso che tende a sbeffeggiare/sottovalutare le donne, causandone un senso di inadeguatezza.

Eppure, indagini più oggettive e analisi più attente sottolineano come le donne stiano mostrando maggiori capacità e migliori risultati sul piano degli investimenti. In presenza di soldi, tanti o pochi, le donne sono più attente, meno propense a buttarsi in avventure pericolose, molto esigenti e molto fedeli. Sarà la minor presenza di testosterone, come avevano evidenziato nel 2010 fa due studiosi di Cambridge, John M. Coates, un ex trader di Wall Street convertito alla ricerca, e John Herbert, secondo cui esiste un nesso tra il livello di questo ormone e il successo o il tracollo delle scelte d’investimento in borsa attuate dai trader.

Una affermazione confermata di recente da un docente dell’università di Leicester, Daniel Ladley, secondo cui, abbassando il livello di testosterone, in borsa ci sarebbero meno fluttuazioni: insomma i broker di sesso femminile fanno guadagnare più soldi alla propria azienda, in virtù di scelte più attente e oculate, dando così corpo alla provocazione di Christine Lagarde secondo cui “se invece che Lehman Brothers quella banca di investimenti fosse stata la Lehman Sisters, forse la crisi finanziaria del 2008 sarebbe stata meno catastrofica”.

Conferme accademico-scientifiche che però ancora non trovano applicazione concreta nelle pratiche di tutti i giorni di consulenti finanziari, gestori di patrimoni, ecc. Ritrae questo fenomeno un'analisi del Boston Consulting Group (BCG), Women want moresecondo cui le signore lamentano poca attenzione da parte dei pianificatori finanziari rispetto alle circostanze che possono cambiare radicalmente la vita di una donna: il divorzio, l’arrivo di un bambino, la vedovanza. Le donne sembrano molto più disposte a ragionare in termini di lungo periodo, di presa di coscienza del rischio, rischio a cui non si abbandonano mai senza riserve.

Dall’indagine di BCG – che ha coinvolto 12 mila donne di 21 paesi – emerge una netta insoddisfazione, non solo e non tanto, per soluzioni e prodotti finanziari che vengono loro offerti ma soprattutto per le modalità con cui questi professionisti si rapportano con loro: non comprendendo i loro bisogni e le loro inclinazioni nelle diverse fasi della loro esistenza e, spesso, la sufficienza con cui vengono trattate come se fossero incapaci di comprendere di che cosa stanno parlando. Un importante bacino di business, attuale e prospettico - vista la previsione di una sempre maggiore presenza di donne nel mondo del lavoro qualificato e, quindi, meglio retribuito-, per le istituzioni finanziarie che volessero cimentarsi con questa sfida: soddisfare i bisogni finanziari delle donne che sono orientate non tanto alla semplicistica “manipolazione del danaro” quanto a identificare, per i loro risparmi, soluzioni semplici sul breve termine che assicurino stabilità sul lungo termine.

Non prevale il puro gusto di accumulare bensì quello di assicurare benessere e tutela a se stesse ma soprattutto agli “aventi causa”, prolungando anche sul fronte della finanza l'attitudine, già espressa in altri momenti, alla somministrazione di cure.

L’universo femminile, sotto il profilo del risparmio, è tutt’altro che omogeneo, sottolinea sempre lo studio di BCG. E muta non soltanto in relazione allo stock del patrimonio ma anche all’età. Le più giovani in genere si limitano al conto corrente; la fascia d’età sotto i 50 anni tende a fare sempre più ricorso all’utilizzo della banca on line così da rendersi indipendente dai consulenti finanziari a loro avviso non esaurienti né proattivi nel fornire le informazioni desiderate.

C’è poi un ulteriore “universo”, quello delle donne più abbienti, con una ricchezza stimata almeno fra 500 mila e un milione di dollari: in genere il 20 per cento dei loro risparmi è confinato in conti bancari. Non per “libera scelta”: con i loro soldi vorrebbero fare di più grazie ai consigli di consulenti che sarebbero ben liete di pagare per questa prestazione in cambio di un rapporto davvero interattivo con i gestori patrimoniali, auspicabilmente di uno spessore professionale tale cui delegare decisioni, anche importanti, di investimento.

Se si pensa che il gran totale dei consumi gestiti dalle donne a livello mondiale, oggi di 20 trillioni di dollari, ammonterà a 28 trillioni fra 5 anni e che i redditi femminili nello stesso periodo passeranno da 12 a 18 trillioni di dollari, è del tutto immediato ed evidente che i risparmi "in rosa" aumenteranno sensibilmente, creando un'opportunità unica per il business dei servizi finanziari. Da non perdere…O con le donne sapranno trovare più feeling, prima, i roboadvisor