Politiche

Che ruolo hanno le donne nelle istituzioni finanziarie, come risparmiano e qual è il loro profilo di rischio come creditrici, ma soprattutto quanto le donne capiscono dei soldi e dei loro spostamenti? Se ne è discusso all'interno del convegno Women in finance alla Columbia University

Donne e finanza, a
lezione di leadership

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Foto: Flickr/ J J

"Gli ambienti in cui prevale un genere sull'altro non sono sani [...] soprattutto in un settore come quello finanziario dove le donne sono troppo poche. In questi ambienti, gli uomini tendono [...] a fare a gara di virilità. Sinceramente non credo che ci siano posti capaci di contenere un simile livello di testosterone in una sola stanza". Con queste parole incisive e suggestivamente provocatorie, Christine Lagarde ha sintetizzato l’essenza del dibattitto sulla finanza inclusiva Women in finance: towards equality, che ha avuto luogo lo scorso 9 marzo, presso la Columbia University di New York.  

L’evento, organizzato congiuntamente dalla Scuola di Affari Pubblici ed Internazionali della Columbia University (SIPA) ed il CFA Institute, ha avuto luogo un paio di giorni dopo che State Street, il terzo asset manager al mondo, ha istallato davanti all’iconico Toro di Wall Street la statua di bronzo di una ragazzina (The fearless girl, nella foto ndr) che gli si staglia di fronte con aria di sfida. Contestualmente l’asset manager ha annunciato che voterà contro quei Consigli di Amministrazione che non avessero intrapreso iniziative per aumentare la presenza femminile al loro interno (a questo proposito State Street ha inviato una lettera a 3.500 società chiedendo formalmente loro di “agire” in tal senso). 

Un tema molto sentito quindi quello che ha attirato alla Columbia la partecipazione di numerosi relatori di grande rilievo internazionale, tra cui Yasmine Ergas, direttrice del programma “Gender & Public Policy” dell’Università, Merit Janow, Dean di SIPA, l’ex Sottosegretario di Stato del Tesoro Americano con la delega alla finanza interna, Mary J. Miller, Nadine Baudot-Trajtenberg, vice-governatrice della Banca di Israele, e ancora illustri accademici, policy makers e senior executives.

Il workshop, strutturato in keynote speeches, panels di discussione e conversazioni con professionisti ed esperti, ha declinato la tematica dell’uguaglianza di genere nel settore finanziario nei suoi aspetti più rilevanti. 

Innanzitutto, si è discusso della presenza femminile e delle pari opportunità nelle istituzioni finanziarie, con particolare attenzione alle politiche di accesso e all’effettiva presenza femminile in questi luoghi di lavoro, soprattutto per quanto riguarda i vertici e i consigli di amministrazione. A questo proposito si è molto dibattuto sulle politiche interne alle aziende e sulle politiche sociali e di genere che congiuntamente possano ridurre la discriminazione e creare un ambiente più inclusivo. Si è anche discusso approfonditamente delle condizioni che permettono alla leadership femminile di emergere e di affermarsi  e della qualità e dell'impatto che questa leadership ha sulle organizzazioni. 

Secondo, si è trattato il tema delle donne come clienti o comunque come utenti della finanza, con particolare attenzione da un lato al loro profilo di rischio come creditrici - secondo le statistiche minore di quello degli uomini -, ma anche alla discriminazione che queste subiscono quando vanno a chiedere un prestito - nonostante le donne siano in media migliori pagatrici degli uomini, si trovano a pagare tassi mediamente più alti - o quando vanno alla ricerca di venture capital funding - le start-up fondate da donne riscontrano un equity gap rispetto a quelle fondate da uomini. Si è anche approfondita l’importanza di prodotti di risparmio dedicati, per far fronte alle peculiari esigenze del ciclo di vita femminile - diverso da quello della classica teoria economica, in quanto le donne spesso sospendono la propria attività professionale per dedicarsi alla famiglia e in media hanno un’aspettativa di vita più lunga - e della necessità di una prospettiva e di un approccio diversi di fronte alle clienti donne, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. 

Terzo, si è affrontata l’importanza della financial literacy e di come le donne siano, nella maggior parte dei paesi analizzati, meno istruite o comunque meno consapevoli della propria istruzione finanziaria rispetto agli uomini. 

Oltre che per la discussione di altissimo livello, la giornata è stata particolarmente interessante anche per la capacità di mettere a confronto e dare voce ad una solida ed influente leadership femminile in grado di porsi come agente di cambiamento nella società e come modello per le nuove generazioni.    

“Trattare di politiche di genere, senza disegnarle congiuntamente a quelle di inclusione, significa lavorare per produrre statistiche. In questo modo si perde l’opportunità di creare un ambiente in cui le donne possano dare il loro effettivo contributo e migliorare le organizzazioni in cui operano”. Cosí ha commentato Elisabeth Onge, Partner di Oliver Wyman, nella sua presentazione Women in Financial Services, 2016.  

E proprio questo dimostrano le esperienze delle varie relatrici, spesso lontane dalle statistiche tradizionali, ma testimoni del valore che le donne portano quando sono messe nelle condizioni di esprimere la propria leadership. 

E se, in media, nell’industria finanziaria, consapevolezza, prudenza, indipendenza e resilienza femminili sembrano contrapporsi a eccessiva sicurezza, maggiore propensione al rischio, accondiscendenza nei confronti del proprio network e discontinuità maschili, le conclusioni del convegno sorgono spontaneamente: ci sarebbe stata una crisi del 2008 se Lehman Brothers si fosse chiamata Lehman Sisters?

Forse anche State Street, responsabile per 2,5 trilioni di dollari di assets nei confronti dei propri clienti, si è posta lo stesso problema. 

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