Il primo agosto è scomparsa Leila Maiocco, femminista, ambientalista, instancabile attivista da quando era ancora una ragazza nella Genova degli anni '80. Molte hanno avuto la fortuna di conoscerla e di condividere con lei un pezzo di strada. Un ricordo politico
Genova, estate 1985. Leila Maiocco, allora giovane funzionaria del partito comunista, va ad aprire l’appena nato Centro Civico di Cornigliano, quello dell’Italsider e della sua colonna di fumo nero.
Incontra un corteo di donne. Da qualche giorno questi cortei attraversano le strade di Ponente. Partono spontaneamente, dai mercati e altri luoghi di incontro, per scelta di donne che non ne possono più, hanno paura dei veleni, di aspettare l’ora e il vento giusto per stendere i panni, di vivere e far crescere i figli lì.
Leila capisce subito che sta succedendo qualcosa di importante (“di politico”, le sue parole), e il passo è immediato, il Centro civico diventa la casa del comitato Donne Lavoro e Ambiente di Cornigliano.
Nella Genova delle tre crisi – della grande industria, dell’industria pubblica e dell’ambiente – quelle donne fanno una cosa radicale, si mettono esattamente nel mezzo del conflitto tra lavoro e ambiente (e ci sono, anche fisicamente: molte lavorano, o hanno il reddito familiare, grazie all’Italsider); aprono o fanno aprire le indagini epidemiologiche, per capire qual è la fonte dell’inquinamento, il problema maggiore per la salute; chiamano il consiglio di fabbrica, dialogano; cercano soluzioni, insieme; anche al tavolo della regione, dove aprono il primo incontro spargendo un sacchetto di polveri, quelle che la gente di Ponente era costretta a respirare.
Quella di Leila Maiocco, tra le protagoniste e animatrici della lotta delle donne di Cornigliano, è una delle voci che racconta questa storia nel documentario “Franco Sartori. La città possibile”; Franco Sartori è il sindacalista della Cgil protagonista della stessa storia “dal lato fabbrica” – diventato poi compagno e amore di Leila; la città possibile è una Genova operaia e pulita.
Sono andata a cercare quel documentario, su consiglio di un’altra donna che ha intrecciato percorsi sindacali, politici e amicali con Leila, Fiorella Farinelli; spinta dai tanti ricordi che sui social e sui media si sono affacciati dopo che Leila Maiocco è morta, il primo agosto, a Genova, dai quali emergeva, tra le sciarpe colorate e gli impegni politici, un tratto comune: un tessere e connettere, mondi, città, culture, situazioni, persone.
Femminismo, lavoro, ambiente, salute, cultura. Noi romane abbiamo conosciuto meglio Leila quando da Genova si è trasferita nella capitale per lavorare nell’amministrazione comunale, nell’istituzione Biblioteca di Roma e anche nel privato, sempre con un ruolo da animatrice culturale e nella comunicazione.
E siamo già agli anni Duemila, con l’altoforno di Cornigliano chiuso per ordine della magistratura – perché gli accordi per la riorganizzazione industriale, tenacemente voluti e raggiunti da quei movimenti per il lavoro e l’ambiente, si sono scontrati con l’inadempienza della proprietà.
A Roma Leila Maiocco ha lavorato per l’amministrazione nelle giunte di Rutelli e Veltroni, per poi passare a dirigere un negozio della catena “Città del sole” (di fatto, continuando da altra sede a fare l’animatrice culturale), e tornando a occuparsi delle biblioteche periferiche con la collaborazione con Luca Bergamo, vicesindaco di Virginia Raggi, e con il giornalista Paolo Fallai.
La scommessa di Leila Maiocco e Paolo Fallai per le Biblioteche di Roma è stata quella di rafforzare il loro luogo di presidio culturale e di cittadinanza, soprattutto in periferia. Anche nel suo lavoro con Biblioteche, Leila ha portato il suo femminismo: costituendo il fondo in memoria di Bia Sarasini ora nella Biblioteca Mameli al Pigneto, sostenendo la nascita del Festival di scrittrici a Roma, inQuiete.
Chiusa – dopo vent’anni – quell’esperienza, torna a Genova dove partecipa alla nascita del nuovo Museo dell’Emigrazione.
Colpiscono, biografie fatte così, e così tanto calate nella vita collettiva. Per la pienezza e la generosità, che fanno rimpiangere a chi è rimasto di non averne saputo e conosciuto di più. Ma anche per la lontananza con l’ambiente inquinato in cui siamo, quello dell’individualismo e leaderismo ipertrofici, in cui pochi provano a tessere e a connettere.