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Il primo agosto è scomparsa Leila Maiocco, femminista, ambientalista, instancabile attivista da quando era ancora una ragazza nella Genova degli anni '80. Molte hanno avuto la fortuna di conoscerla e di condividere con lei un pezzo di strada. Un ricordo politico

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Leila Maiocco
Credits Unsplash/José Ignacio González Pansiera

Genova, estate 1985. Leila Maiocco, allora giovane funzionaria del partito comunista, va ad aprire l’appena nato Centro Civico di Cornigliano, quello dell’Italsider e della sua colonna di fumo nero. 

Incontra un corteo di donne. Da qualche giorno questi cortei attraversano le strade di Ponente. Partono spontaneamente, dai mercati e altri luoghi di incontro, per scelta di donne che non ne possono più, hanno paura dei veleni, di aspettare l’ora e il vento giusto per stendere i panni, di vivere e far crescere i figli lì. 

Leila capisce subito che sta succedendo qualcosa di importante (“di politico”, le sue parole), e il passo è immediato, il Centro civico diventa la casa del comitato Donne Lavoro e Ambiente di Cornigliano. 

Nella Genova delle tre crisi – della grande industria, dell’industria pubblica e dell’ambiente – quelle donne fanno una cosa radicale, si mettono esattamente nel mezzo del conflitto tra lavoro e ambiente (e ci sono, anche fisicamente: molte lavorano, o hanno il reddito familiare, grazie all’Italsider); aprono o fanno aprire le indagini epidemiologiche, per capire qual è la fonte dell’inquinamento, il problema maggiore per la salute; chiamano il consiglio di fabbrica, dialogano; cercano soluzioni, insieme; anche al tavolo della regione, dove aprono il primo incontro spargendo un sacchetto di polveri, quelle che la gente di Ponente era costretta a respirare. 

Quella di Leila Maiocco, tra le protagoniste e animatrici della lotta delle donne di Cornigliano, è una delle voci che racconta questa storia nel documentario “Franco Sartori. La città possibile”; Franco Sartori è il sindacalista della Cgil protagonista della stessa storia “dal lato fabbrica” – diventato poi compagno e amore di Leila; la città possibile è una Genova operaia e pulita. 

Leila Maiocco
Leila Maiocco nel documentario La città possibile di Franco Sartori

Sono andata a cercare quel documentario, su consiglio di un’altra donna che ha intrecciato percorsi sindacali, politici e amicali con Leila, Fiorella Farinelli; spinta dai tanti ricordi che sui social e sui media si sono affacciati dopo che Leila Maiocco è morta, il primo agosto, a Genova, dai quali emergeva, tra le sciarpe colorate e gli impegni politici, un tratto comune: un tessere e connettere,  mondi, città, culture, situazioni, persone. 

Femminismo, lavoro, ambiente, salute, cultura. Noi romane abbiamo conosciuto meglio Leila quando da Genova si è trasferita nella capitale per lavorare nell’amministrazione comunale, nell’istituzione Biblioteca di Roma e anche nel privato, sempre con un ruolo da animatrice culturale e nella comunicazione. 

E siamo già agli anni Duemila, con l’altoforno di Cornigliano chiuso per ordine della magistratura – perché gli accordi per la riorganizzazione industriale, tenacemente voluti e raggiunti da quei movimenti per il lavoro e l’ambiente, si sono scontrati con l’inadempienza della proprietà. 

A Roma Leila Maiocco ha lavorato per l’amministrazione nelle giunte di Rutelli e Veltroni, per poi passare a dirigere un negozio della catena “Città del sole” (di fatto, continuando da altra sede a fare l’animatrice culturale), e tornando a occuparsi delle biblioteche periferiche con la collaborazione con Luca Bergamo, vicesindaco di Virginia Raggi, e con il giornalista Paolo Fallai. 

La scommessa di Leila Maiocco e Paolo Fallai per le Biblioteche di Roma è stata quella di rafforzare il loro luogo di presidio culturale e di cittadinanza, soprattutto in periferia. Anche nel suo lavoro con Biblioteche, Leila ha portato il suo femminismo: costituendo il fondo in memoria di Bia Sarasini ora nella Biblioteca Mameli al Pigneto, sostenendo la nascita del Festival di scrittrici a Roma, inQuiete.

Chiusa – dopo vent’anni – quell’esperienza, torna a Genova dove partecipa alla nascita del nuovo Museo dell’Emigrazione. 

Colpiscono, biografie fatte così, e così tanto calate nella vita collettiva. Per la pienezza e la generosità, che fanno rimpiangere a chi è rimasto di non averne saputo e conosciuto di più. Ma anche per la lontananza con l’ambiente inquinato in cui siamo, quello dell’individualismo e leaderismo ipertrofici, in cui pochi provano a tessere e a connettere.