Politiche

Parlare di risorse umane e introdurre la figura del diversity manager anche nel volontariato, la proposta nata da due allieve del Master in gender equality organizzato dalla Fondazione Brodolini

Introdurre il diversity
management nel volontariato

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Foto: Unsplash/ rawpixel.com

Better inclusion for talent development è un’idea nata all'interno della quinta edizione del Master in Diversity Management e Gender Equality organizzato dalla Fondazione Brodolini. La proposta è di introdurre il diversity management all'interno del mondo associativo e del volontariato, partendo dal promuovere percorsi di inclusione delle diversità nei centri di servizio del volontariato e a cascata nei consigli direttivi, tra i collaboratori e nella ricerca dei volontari delle organizzazioni di volontariato. In una prima fase, l'idea è quella di lavorare in collaborazione con il Coordinamento nazionale dei centri di Servizio per il volontariato (CSVnet).

Cosa sono i centri di servizio per il volontariato

I centri di servizio per il volontariato sono strutture operative nate in attuazione della Legge quadro sul Volontariato (la 266 del 1991) con lo scopo di sostenere e qualificare le attività delle organizzazioni di volontariato mediante la costruzione di azioni progettuali in rete, la promozione della cultura del volontariato, la raccolta dei bisogni del territorio e dei servizi di sportello e di formazione, cercando così di rispondere a quelle che sono le necessità del volontariato in un contesto di autonomia, sussidiarietà e solidarietà. Nel contesto italiano, dove il mondo del lavoro è ancora immerso in una profonda crisi, ad apparire in netta controtendenza a livello occupazionale è proprio il settore del no profit. In questo scenario, va oltretutto considerato che il terzo settore è da qualche mese attraversato da innovazioni determinate dalla recente applicazione della legge 90 del 2014, convertita nella legge 114 del 2014 che ha istituito un fondo sperimentale finalizzato a valorizzare le esperienze di volontariato di alcune categorie di soggetti svantaggiati momentaneamente non attivi sul mercato del lavoro. Dal nono censimento dell’industria e dei servizi e delle istituzioni no profit del 2011, ultima indagine in ordine di tempo dell'Istat a riguardo, si evince la dinamicità del mondo del volontariato e del no profit italiano, tuttavia ancora persistono problemi rilevanti relativi alla segregazione settoriale – si pensi alle mansioni di cura affidate in prevalenza alle donne, alla scarsa presenza di donne e giovani nei ruoli di responsabilità e alla quasi totale assenza dei cittadini extra-comunitari nel sistema del no profit.

Primo punto debole, la parità di genere

La prima criticità riguarda la parità di genere: oggi in Italia le donne impegnate nelle diverse organizzazioni di volontariato sono il 44,8%, seppur il volontariato informale ne veda attive il 53,7%; percentuali che osserviamo capovolgersi se prendiamo in considerazione la componente maschile, attiva per un 55,2% nelle organizzazioni di volontariato, ma solo per il 46,3% per quanto riguarda il volontariato informale. Inoltre, analizzando gli organigrammi di alcune tra le più importanti associazioni di volontariato italiane, come Avis Nazionale, Anpas, Cives Onlus, Croce Rossa Italiana, emerge un’assoluta prevalenza maschile nel campo dirigenziale con i 2/3 di presidenti uomini. Le donne rappresentano il 34% del totale in tutte le divisioni territoriali, e non emergono differenze significative neanche a livello regionale. Si può notare una controtendenza solamente se si prende in considerazione il dato per specifici settori di attività: sono donne le principali rappresentanti legali delle organizzazioni di volontariato che si occupano di tutela dei diritti delle donne, di violenza, di ragazze madri, di assistenza ai familiari di soggetti disabili e di assistenza sociale. 

Altri punti deboli: giovani, anziani, stranieri

Dai risultati della prima rilevazione sul lavoro volontario, frutto della convenzione stipulata tra Istat, CSVnet e Fondazione Volontariato e Partecipazione emerge una seconda debolezza del volontariato italiano: l’esistenza di una crisi generazionale. I volontari appartengono prevalentemente alla classe di età 55-64 anni, con i lavoratori che ne costituiscono il 49,8%, i pensionati il 23,1% e i laureati il 21,5%; vediamo, dunque, che il contributo di giovani e anziani in termini di presenza attiva si mantiene inferiore alla media nazionale. La partecipazione è, inoltre, massima tra i componenti di famiglie agiate (23,4%) e minima tra i componenti di famiglie con risorse assolutamente insufficienti (9,7%). Tuttavia, nonostante la presenza dei giovani nelle organizzazioni di volontariato sia oggi scarsa, c’è da sottolineare il persistente saldo positivo dei turnover nelle associazioni di volontariato: il 77% di nuovi volontari contro il 48% degli uscenti. Infine, da considerare è anche il coinvolgimento episodico ad eccezionale di cittadini extra-comunitari nelle organizzazioni di volontariato, che arrivano a contare una presenza straniera del solo 3, 54%.

Verso una migliore inclusione nel volontariato

Alla luce di questo quadro generale, viene spontaneo chiedersi come il mondo del volontariato possa essere portatore di valori quali equità, pari opportunità e solidarietà, se non si preoccupa prima di tutto di promuoverli al proprio interno. Per l’importanza che il volontariato riveste nel nostro paese, ci si aspetterebbe che le associazioni di volontariato rappresentassero un modello, dei possibili laboratori di democrazia e di promozione delle diversità. In una situazione in cui le organizzazioni di volontariato sono poco abituate a riflettere su se stesse, per cercare di invertire questa tendenza discriminatoria, si rende necessario prima di tutto individuarne i motivi e cercare, quindi, di intervenire utilizzando politiche e strumenti di diversity management.

Better inclusion for talent development vuole colmare questa lacuna, promuovendo un cambiamento culturale all’interno del mondo delle associazioni. In primo luogo, pensiamo sia necessario parlare di "risorse umane" anche nelle piccole organizzazioni di volontariato, e che la diversità sia un valore aggiunto anche nella ricerca dei volontari. Il progetto vuole sensibilizzare le associazioni al tema della diversity, creare ambienti lavorativi inclusivi, in cui sviluppare appieno il proprio potenziale, soprattutto in chiave di diversità ed introdurre la figura del diversity manager nei centri di servizi per il volontariato. Queste azioni sono facilmente replicabili a livelli diversi, solo dopo un lavoro nei centri di servizi, sarà possibile un lavoro mirato all’interno delle associazioni.