Grazie alle donne che in Kurdistan l'hanno fondata come scienza sociale, la Jineolojî non è solo una teoria del mondo, ma si propone come pratica comunitaria di liberazione e produzione del sapere in forma decoloniale e in continua trasformazione. Un'introduzione

Più che come scienza, la Jineolojî può essere compresa come un modello di critica e messa in discussione del sapere, che apre a una prospettiva e a uno sguardo nuovi. A fondarla come pratica e scienza sociale, nel 2012, è stato il Movimento di Liberazione delle Donne Curde, che ha contribuito alla sua diffusione anche in altre parti del mondo.
La prima formulazione del concetto nel 2008 è attribuita ad Abdullah Öcalan, fondatore del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e teorico del confederalismo democratico. Nel terzo volume del Manifesto della Civiltà Democratica intitolato Sociologia della libertà, viene introdotto questo termine di cui è importante conoscere l’etimologia.
In lingua kurmanji la parola jin, che significa donna, ha la stessa radice di jiyan, che vuol dire vita. Ecco perché non ci si deve limitare a intendere la Jineolojî come una “scienza delle donne”, ma è necessario allargare la prospettiva per comprenderla piuttosto come uno sguardo delle donne sulla vita nei suoi aspetti naturali, sociali e spirituali.
L’obiettivo è riscoprire la storia e la presenza delle donne, che è sempre stata ignorata o negata, così che alle donne venga riconosciuto il ruolo centrale che hanno all’interno della società. Nei sistemi di pensiero patriarcali e maschiocentrici dominanti, il legame tra conoscenza e potere risulta evidente quando ci si sofferma su quanto le scienze abbiano spesso fornito la base teorica per molteplici tipologie di oppressione, non solo quella dell’uomo sulla donna ma anche quella razziale, di classe o sulla natura.
La Jineoljî rappresenta dunque la necessaria contronarrazione del paradigma di liberazione delle donne. Attraverso analisi e riflessioni volte a re-interpretare la storia, l’economia, la filosofia, la sociologia, l’etica e l’estetica così come le abbiamo conosciute finora, questa visione crea un modello di comprensione della realtà differente.
Nei suoi testi, Öcalan poneva l’emancipazione delle donne alla base della lotta di liberazione della società. Per Öcalan la liberazione delle donne diventa infatti uno dei pilastri su cui fondare la rivoluzione, insieme all’ecologia e alla democrazia. Nella Jineolojî questi tre pilastri trovano un collegamento nel solco di una scienza volta più a trasformare la realtà e non solo a studiarla.
La distinzione tra soggetto conoscente e oggetto da conoscere viene infatti messa in discussione insieme alla cornice che le è propria, quella dell’approccio positivista. Il positivismo, che con la sua fede cieca nei confronti del progresso ha posto le basi del capitalismo, va dunque abbandonato per accedere a una visione del mondo che superi il dualismo, ristabilendo l’equilibrio tra donna, natura e società. Una visione del mondo connessa armonicamente all’azione e al cambiamento, in cui prassi e teoria sono strettamente legate tra loro.
Pratiche come l’autodifesa o l’organizzazione di gruppi autonomi, accademie e cooperative di donne sono dunque coerentemente ispirate alla riflessione teorica della Jineolojî. In quest’ottica l’autodifesa, ad esempio, non consiste semplicemente nell’apprendere tecniche e strategie per poter reagire a un’aggressione. Si tratta di un processo che deve avvenire primariamente a livello mentale, cessando di considerarsi potenziali vittime e acquisendo una forza interiore ancor prima che fisica.
Allo stesso modo costituire comitati e gruppi di donne risponde al bisogno di organizzarsi e agire concretamente per la propria liberazione, senza domandare all’oppressione patriarcale di fare loro più spazio, ma creandolo autonomamente. La Jineoljî contribuisce in questo modo a dissipare il divario tra la conoscenza e la società, sradicando la concezione elitaria del sapere e ricollegando la riflessione teorica e intellettuale all’azione sociale. In tale ottica, un ruolo fondamentale nel processo epistemologico portato avanti dalla Jineolojî è quello dell’etica, intesa come la responsabilità legata alla convivenza sociale.
Come ogni processo storico, la rivoluzione del 2012 ha radici molto più lontane. In tutto il Kurdistan le donne hanno portato avanti le loro battaglie per decenni, confrontandosi con un contesto sociale fortemente patriarcale in cui il numero delle violenze domestiche e dei matrimoni forzati era ancora molto alto.
Grazie alla creazione e all’azione delle case delle donne (Mala Jine) questi dati stanno progressivamente migliorando. Così come si stanno modificando la mentalità e le abitudini delle persone. Un reale cambiamento come quello che sta avvenendo nell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord comporta necessariamente uno sforzo congiunto anche da parte degli uomini, che devono educarsi a “uccidere il maschio dominante in loro stessi”.
Il dominio maschile e quello statale sono strettamente collegati: “l’uomo è un sistema: il maschio si è fatto Stato e lo ha reso modello dominante; l’oppressione di classe e di genere vanno di pari passo e la ‘mascolinità’ ha dato vita a un genere, a una classe e a uno Stato dominanti. Quando si analizza l’uomo in quest’ottica, diviene chiaro che la ‘mascolinità’ deve essere soppressa. In effetti, sopprimere il maschio dominante è il principio fondamentale del socialismo”.
Öcalan fa risalire le radici di questo dominio nell’affermarsi della civiltà sumera 5000 anni fa. È qui che si instaura il dominio statale e patriarcale in opposizione alla “società naturale” precedente, in cui non esisteva una gerarchia tra uomo e donna e la realtà era compresa in una prospettiva olistica di armonia tra l’umano, la natura e il divino. Quello su cui si reggevano queste comunità non era una forma di dominio, ma l’esercizio dell’autorità che si sviluppa dando qualcosa alla società.
La Jineolojî si struttura come un movimento di pensiero al tempo stesso antico e innovativo proprio attraverso il suo sforzo di rimettere al centro del discorso una pluralità di idee e di valori dimenticati o sottovalutati. Come scienza, rifiuta la pretesa neutralità del sapere, e rivendica uno sguardo sul mondo che si plasma attraverso l’essere nel mondo: vivere, riflettere, amare, condividere, agire.
Tutto ciò non può essere lasciato fuori dall’analisi sulla realtà come pretende il paradigma razionalista. La sfida radicale che propone la Jineolojî è operare per una riconnessione tra i molteplici aspetti della vita e che comprende dunque anche il nostro vivere insieme come società, uomini e donne, nel rispetto e nella comprensione della natura.
Oggi la rivoluzione delle donne del Rojava viene portata avanti anche grazie al lavoro svolto nelle accademie e negli istituti di ricerca dedicati alla Jineolojî. L’educazione (perwerde in curdo) è infatti uno degli scopi fondamentali della Jineolojî, che mira a proteggere soprattutto i bambini e i giovani dalla lezione del sistema capitalistico dominante proponendo un’alternativa improntata ai valori della libertà e della responsabilità che deriva dal vivere in comunità.
Un percorso che sta proseguendo a livello internazionale, non solo grazie alle donne e agli uomini che da ogni parte del mondo stanno prendendo parte all’esperienza del confederalismo democratico, ma anche grazie a convegni e incontri organizzati in diversi paesi.