Politiche

A due anni dal suo varo, la legge sulle quote di genere nei cda dovrebbe essere già realtà. Ma nelle società pubbliche è in gran ritardo. Adesso si arriva al dunque: trecento nomine femminili nelle società pubbliche controllate dal ministero dell'economia, e altre diecimila in quelle locali sparse in tutt'Italia. Tra resistenze, barricate soft, e trucchi per aggirare la legge. Ecco i primi numeri

Largo alle donne, anzi no. Le quote di genere nelle società pubbliche

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donna d'affari con casco e megafono

Qualche giorno fa la Commissione europea ha dato un raro voto positivo all'Italia, nel rendere noti i dati sulla presenza delle donne nelle posizioni di vertice. Il segno “più” è relativo alla quota femminile nei board delle società quotate in borsa – dove la presenza di donne è salita in due anni e mezzo di 8,4 punti percentuali, raggiungendo quota 12,9: molto al di sotto della parità, e anche della media Eu 28 (che è 16,6%), ma comunque in rapida ascesa rispetto al 2010.  Nel dare i nuovi numeri, la direzione Giustizia della Commissione europea ne attribuisce il merito all'introduzione della legge sulle quote di genere, entrata in vigore per le società quotate nell'agosto 2012. Ma la stessa legge potrebbe avere effetti ben più dirompenti sulla miriade delle società pubbliche sulle cui nomine pure interviene. Basti pensare, per fare un paragone numerico, che mentre le società quotate sono poco più di 300, le società pubbliche oggetto della sfera di applicazione della legge (ossia: tutte le società controllate in via diretta e indiretta da tutte le pubbliche amministrazioni: stato, regioni, province, comuni, ed enti pubblici) sono oltre 10.000; ed è solo una stima, poiché di tali società non esiste un'anagrafe e un controllo centralizzato, com'è invece la Consob per le società quotate in borsa. Di qui l'estrema difficoltà con le quali la legge è partita – non aiutata dal fatto che lentissimo è stato il varo del suo regolamento attuativo, che è rimasto impantanato per mesi nei corridoi ministeriali ed è arrivato alla firma solo lo scorso febbraio. Cos'è successo da allora? E quante nomine al femminile sono in arrivo, come si stanno muovendo le amministrazioni?

I numeri

In teoria la platea delle società a cui la legge deve applicarsi è enorme. Si parla di tutte le società controllate da tutte le pubbliche amministrazioni: dunque, dentro l'ambito di applicazione delle quote di genere sono le grandi società controllate dal ministero dell'Economia (oltre a quelle quotate, come Eni, Enel, Finmeccanica etc., che anche se pubbliche sono sotto il controllo Consob), e le loro controllate; le società controllate da regioni, province e comuni; e anche quelle controllate da enti pubblici (i quali invece non sono tenuti al rispetto delle quote: cosa abbastanza singolare, viene fuori che, per esempio, l'Inps non è tenuto ad avere una donna nel cda ma una sua società deve farlo). Il dipartimento delle Pari Opportunità sta costruendo un'anagrafe di questo mondo, impresa non rapida, alla quale da pochi mesi si dedica un piccolo staff guidato da Monica Parrella, direttore generale dell'ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità. Il primo aggregato, il più facile da rintracciare, riguarda le società controllate direttamente e indirettamente dal Mef: sono 235 in tutto, 25 delle quali sono le controllate dirette non quotate in borsa (come Poste, Rai, Enav, Ferrovie, etc). In queste 25 grandi, ci sono 99 consiglieri di cui 13 donne: dunque a quota 14%, per rispettare la legge bisognerà, man mano che gli organi scadono, nominare 14 donne nei cda e 8 nei collegi sindacali. Più arretrata la situazione nelle 210 società controllate indirettamente dal Mef: di queste, solo la metà è attualmente in linea con la quota minima del 20% di donne. La stima degli uffici delle Pari opportunità è che ai prossimi rinnovi dovranno entrare 127 donne per i cda e 72 per i collegi sindacali: una stima approssimata per difetto, poiché mancano ancora nel conto gli organi delle società controllate da spa pubbliche quotate in borsa. In tutto, si stima che i nuovi ingressi femminili dovranno essere almeno 300, per le società che fanno capo al ministero dell'Economia.  

Veniamo dunque al secondo aggregato, quello più ampio e sfuggente. La miriade di società locali, che secondo quanto stimano sia la Fondazione Bellisario che le Pari opportunità sono almeno 10.000. Come mettere il sale sulla coda a tutte? Manca una mappa di queste società, impossibile un quadro preciso della situazione di partenza (a che punto era la presenza femminile prima della legge) e difficile seguire man mano cosa succede al rinnovo degli organi. Qualcosa però si può dire, e sarà detto e discusso in occasione della giornata +W (Women mean business and economic growth), che sarà aperta da Maria Cecilia Guerra, viceministro del Lavoro delegata alle pari opportunità. Nel suo dipartimento hanno fatto una stima: ipotizzando che la situazione delle società pubbliche sia paragonabile a quella del Mef, dove su 300 controllate si aspettano 300 nuovi ingressi di donne, proiettando sull'universo delle controllate pubbliche i numeri appena visti, avremmo in vista per i prossimi rinnovi un ingresso di 10.000 donne.

 Tipologia di società Numero di società Donne da inserire nei board 
 Mef – controllate dirette (non quotate)  25 22
 Mef – controllate indirette (da quotate e non quotate) 210 199
 Altre pubbliche amministrazioni1000010000

 * stime del Dipartimento per le Pari opportunità

Primi fuochi

Un piccolo tsunami, in vista del quale si preparano mosse utili – si stanno attrezzando, e ne daranno testimonianza nel convegno delle P. O., le grandi società di cacciatori di teste, così come si è mossa da tempo la Fondazione Belisario con l'iniziativa “Mille curricula eccellenti” – e contromisure – piccoli e grandi trucchi per aggirare la legge. Diecimila nuove nomine sono tante; è un'occasione per le donne, ma non solo: “sull'onda di quel che sta già succedendo nelle società quotate, si tratterà in molti casi anche dello scardinamento di governance ingessate da anni”, è la valutazione di Monica Parrella, direttore generale dell'Ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità. Da quando la legge è operativa, al suo ufficio sono giunte 171 comunicazioni dalle società, e solo 3 segnalazioni da privati (chiunque può denunciare a segreteria.interventipariop@pec.governo.it i casi di nomine avvenute dopo il febbraio 2013 che non rispettano la quota minima del 20%). Sono stati avviati 15 procedimenti, e emanate 10 diffide (dopo la prima diffida, le amministrazioni hanno 60 giorni per adeguarsi, dopodiché parte una seconda diffida, e se dopo altri 60 giorni la società non si è messa in regola i suoi organi decadono). Le violazioni si spalmano uniformemente da Nord a Sud, e in alcuni casi riguardano anche comuni capoluogo. A volte si tratta di cda nominati senza alcuna presenza femminile, dunque in esplicita violazione di legge. Altre volte sono arrivate sul tavolo delle Pari opportinità nomine nelle quali la quota femminile è infilata come “sindaco supplente”: scelta non valida, poiché la percentuale deve essere rispettata sia tra gli effettivi che tra i supplenti. In entrambi questi casi il Dipartimento può intervenire subito (non appena ne viene a conoscenza: di qui l'importanza delle segnalazioni, anche di terzi), per garantire il rispetto della legge. Ma c'è anche un altro fenomeno in atto, ed è quello della sostituzione del cda con un amministratore unico, quasi sempre maschio: scelta a volte meritoria per il risparmio sulla finanza pubblica, ma che in alcuni potrebbe nascondere altre intenzioni, come quella di evitare di dover uscire dal tradizionale giro delle poltrone finora vigente e pescare qualche professionalità femminile. Segnali che rafforzano un timore: che l'attuazione delle quote di genere nell'ambito delle società pubbliche passi sotto silenzio, mentre invece sono accesi i riflettori sulle società quotate in borsa, che sono costrette a una maggiore trasparenza e hanno un controllo centralizzato presso la Consob. Su queste ultime, si può già aprire la discussione sui primi effetti della legge sulle quote: la qualità delle nuove governance, i rischi legati a una presenza puramente testimoniale delle poche donne prescelte, l'effettiva carica innovativa dei nuovi assetti (legata al verificarsi di molte condizioni, da quella numerica, di una presenza non solo simbolica, alla qualità delle donne scelte, alla vigilanza contro operazioni di facciata o peggio di cordata). Tutti temi sui quali c'è una grande discussione teorica, a partire dai paesi dove le quote sono state da più anni introdotte - si veda per esempio su questo sito il contributo di Morten Huse, che ha studiato l'applicazione delle quote in Norvegia -, e che acquisterebbero una rilevanza ancor maggiore nel contesto della governance delle aziende pubbliche, i cui servizi (e i cui disservizi) ci riguardano nella vita quotidiana.