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Gli obiettivi di benessere prendono il posto dei numeri della sola crescita. Ma vanno messi alla prova della differenza sessuale. Una ricerca indaga i fattori che incidono sul benessere di uomini e donne. Si scopre, ad esempio, che le donne più infelici sono le lavoratrici con figli piccoli, i maschi più infelici i pensionati

Le diverse misure
della felicità

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Da diversi anni ormai le indagini sulle famiglie contengono domande mirate a stabilire il livello di soddisfazione personale rispetto alla propria vita. Ma poiché uomini e donne hanno finora espresso livelli comparabili di soddisfazione complessiva, non si è si è avvertita l’opportunità di differenziare l’analisi secondo il genere.

A livello internazionale il trend sta però cambiando. Uno studio recente di Stevenson e Wolfers suggerisce che, nei paesi industrializzati, a partire dagli anni '70, le donne sono diventate progressivamente meno soddisfatte, sia in assoluto che relativamente agli uomini. In merito vengono avanzate varie spiegazioni: il fatto che abbiano aggiunto responsabilità professionali a quelle di cura (mentre gli uomini non hanno fatto altrettanto), il fatto che siano aumentate le loro aspirazioni e i gruppi di rifermento, che sia diventato più difficile gestire ruoli complessi - lavoro, famiglia etc. - e che alcuni cambiamenti intervenuti nella società, quali ad esempio il calo del capitale sociale o l’aumento dell’ansia, abbiano avuto un impatto negativo maggiore sulla componente femminile.

 Lo studio condotto recentemente in Gran Bretagna da Della Giusta, Kambhampati e Jewell si propone di capire come il concetto di soddisfazione venga costruito in modo diverso da uomini e donne, come fattori diversi influiscano sul benessere soggettivo maschile e femminile - particolarmente quelli legati al lavoro di cura e ai conflitti di ruolo - e quali implicazioni di politica economica si possano trarre.

 Diverse sono infatti le attività cui si dedicano uomini e donne, così come diverso è l’effetto di questi fattori anche quando età, religione, istruzione, impiego, reddito, circostanze economiche, presenza di partner e di figli sono gli stessi. Se si guarda al lavoro, ad esempio, si osservano alcune discrepanze interessanti: le donne pensionate sono più felici delle donne occupate mentre per gli uomini è vero il contrario; il lavoro di cura di anziani e malati (non retribuito) ha invece un impatto negativo sulla felicità per le donne ma non per gli uomini, che non se ne occupano; a parità di reddito familiare, il fatto che la partner non abbia un lavoro retribuito non ha effetto sulla felicità degli uomini ma ha un effetto negativo su quella delle donne.

 Uomini e donne hanno anche un diverso concetto di benessere. Innanzitutto, il livello di soddisfazione che si registra negli ambiti di vita considerati generalmente importanti - il lavoro retribuito, la salute, il reddito, il partner, l’abitazione e la vita sociale - spiega la soddisfazione complessiva maschile più di quanto non faccia per quella femminile. E ciò suggerisce che le donne definiscono la soddifazione personale in modo più ampio. Inoltre, per gli uomini la soddisfazione professionale conta di più, magari perché le donne hanno meno accesso a posizioni piu’ interessanti. Si osservano anche numerose differenze tra gruppi di donne: la soddisfazione delle casalinghe con un partner che guadagna molto è più focalizzata sulla casa, mentre per le donne che hanno figli minori di dodici anni, ma non hanno partner, la salute diventa il fattore più importante (dato che determina la capacità di provvedere ai figli sia economicamente che nella cura). Con o senza partner, le donne che lavorano e hanno figli minori di dodici anni sono quelle meno felici.

 Oltre a far luce sulle categorie il cui benessere è inferiore, e cui andrebbe quindi data precedenza nell’erogazione di servizi di supporto, la ricerca individua priorità di spesa pubblica differenziate chiaramente per i diversi gruppi. Gli studi che pongono il benessere come obiettivo finale delle politiche pubbliche – e non il mero aumento del reddito - sottolineano l'importanza di favorire la salute mentale, scoraggiare l’eccessiva competizione (che rende perennemente insoddisfatti) e incoraggiare i contatti sociali. Questa ricerca conclude invece che, per aumentare il benessere, occorre differenziare le politiche, poiché le priorità rispetto alla regolamentazione del mercato del lavoro o alla spesa pubblica per la cura dei figli sono diverse per uomini e donne e diversi sono gli interventi necessari a renderli più soddisfatti.

 Studi di questo tipo si inseriscono nel dibattito più ampio su se e come indirizzare le politiche pubbliche ad obiettivi di benessere invece che di mera crescita economica, e la discussione in merito riguarda spesso quali indicatori usare. La lista degli indicatori utilizzati per descrivere il benessere (o la sua assenza) e valutare l'effetto della politica pubblica è lunga e articolata, così come è articolato il dibattito fra scienziati sociali e addetti ai lavori. Da un lato c'è chi studia lo sviluppo economico, la povertà e l'esclusione sociale e propone misure complesse, magari riassunte in un unico indicatore come l'indice di sviluppo umano (Human Development Index) o l'indice di sviluppo di genere (Gender Development Index) utilizzati dalle Nazioni Unite. Dall'altro lato c'è invece la maggioranza degli economisti che preferisce usare come indicatore il reddito individuale (o più spesso famigliare). Tradizionalmente sono i primi ad essere interessati anche a valutazioni soggettive delle circostanze individuali da affiancare a misure oggettive come l'accesso a acqua potabile, a cibo che consenta un sufficiente apporto calorico, o a servizi sanitari ed istruzione.

 Le cose stanno però cambiando anche tra gli economisti e l'interesse per le misure di benessere soggettivo, ottenute solitamente dalle risposte a domande come “Tutto considerato, quanto vi sentite soddisfatti da 1 a 10?” si va diffondendo anche tra i policy makers, complice la dedizione di alcuni ‘nomi eccellenti’ come Lord Richard Lyard (London School of Economics, membro della House of Lords e architetto d'eccellenza dei programmi sociali del New Labour).

 Non mancano però critiche all'uso di queste misure, dato che gran parte della variabilità riscontrata tra i soggetti intervistati sembra riconducibile a diverse disposizioni di carattere (più o meno ottimista). Inoltre, le variazioni che si registrano in risposta a cambiamenti di circostanze personali quali sposarsi o trovare lavoro, o collettive , quali un cambio di governo, si affievoliscono nel tempo man mano che ci si abitua alle nuove circonstanze. Anche le aspirazioni individuali giocano un ruolo significativo nel determinare cosa ci rende soddisfatti e quanto. Per questo motivo, tra coloro che studiano il benessere, e in particolare tra gli studiosi e le studiose dell'economia femminista, è finora prevalsa una certa diffidenza ad usare misure soggettive di benessere e si è preferito concentrarsi su misure oggettive di accesso alle risorse, o di capacità di realizzare il proprio potenziale secondo i suggerimenti di Amartya Sen e di Martha Nussbaum – economista, filosofo e premio Nobel per l’economia il primo, filosofa la seconda.

 

Recentemente si è molto discusso in merito alla necessità di incorporare le emozioni e le voci delle donne nella misurazione del loro benessere, affiancandole a misure di oggettive. Ciò consente di identificare meglio sia le differenze tra uomini e donne che tra donne in diverse circostanze. Le ricerche di cui abbiamo riferito confermano che andare in questa direzione serve a migliorare la politica economica.

 

 

Riferimenti bibliografici

Della Giusta, M., S. Jewell and U.S. Kambhampati (2008), His&Hers: Exploring Gender Puzzles and the Meaning of Life Satisfaction, forthcoming Feminist Economics Layard, Richard 2006.

 “Happiness and public policy: a challenge to the profession.“ Economic Journal 116: C24-C33. Frey, Bruno S. and Alois Stutzer. 2002. Happiness and Economics. Princeton: Princeton University Press. Gasper, Des. 2007.

 “Adding Links, Adding Persons, and Adding Structures: Using Sen’s frameworks.” Feminist Economics 13 (1): 67-85. Stevenson, Betsey and Justin Wolfers.2009.

 “The Paradox of Declining Female Happiness” American Economic Journal: Economic Policy 1(2): 190–225.