Politiche

Negli ultimi anni il diritto internazionale sta adottando interpretazioni sempre più sensibili al genere. È il caso della Corte penale internazionale che in Uganda ha aperto la strada alla criminalizzazione dei matrimoni forzati

I matrimoni forzati
diventano un reato

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Foto: Flickr/ Rod Waddington

Sono umane le donne? Se lo chiedeva qualche anno fa la nota femminista americana Catherine Mackinnon[1]. Questa domanda è ancora oggi attuale. La tutela dei diritti umani delle donne è ormai una delle priorità del diritto internazionale, soprattutto con riferimento al problema della violenza di genere. A tal riguardo, le fonti internazionali in materia possono orientare le politiche di genere dei singoli paesi. Ad esempio, se si guarda con attenzione alla recente Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul l’11 maggio del 2011 ed entrata in vigore nel 2014, e che impegna gli stati membri ad adottare misure idonee a prevenire e reprimere il fenomeno.

Tuttavia, la tutela dei diritti umani delle donne diventa effettiva grazie al ruolo delle Corti Internazionali che in questi ultimi anni stanno adottando interpretazioni sensibili al genere. In questo articolo vorrei circoscrivere l’ambito di indagine ad alcuni casi recenti della Corte penale internazionale, in tema di sexual and gender based crimes (SGBC).

L’art.7 dello Statuto di Roma considera, tra i crimini contro l’umanità, alcuni reati che ledono la sessualità delle donne, vale a dire “lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la gravidanza forzata, la sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità”. Questi crimini efferatissimi spesso si associano ai crimini di guerra e rappresentano nei conflitti armati uno strumento molto diffuso per distruggere il "nemico".  Il sociologo Dworkin, infatti, osservava che “per distruggere un popolo si devono distruggere le donne” perché queste ultime generano la specie umana[2]. Si pensi a come questi crimini di genere sono stati utilizzati come reati-mezzo per il crimine di genocidio, ad esempio nello sterminio degli ebrei, durante la II guerra mondiale, o più di recente, per il genocidio avvenuto durante il conflitto in Bosnia Erzegovina dal 1991 al 1994 o ancora, nel caso delle numerose violenze sessuali perpetrate contro i tutsi da parte degli hutu in Ruanda nel 1994.  

Ciò premesso, tra i numerosi casi in tema di stupro sottoposti alla Corte penale internazionale valga menzionare il caso Prosecutor v. Jean Pierre Bemba Gombo. In questa fattispecie la Corte penale internazionale, con sentenza del 21 marzo 2016, ha ritenuto Jean Pierr Bemba Gombo, comandante dell’Armèe de Libèration du Congo, responsabile dei crimini contro l’umanità di omicidio e stupro (rifacendosi all'art.7 dello Statuto di Roma) e dei crimini di guerra (art.8 dello Statuto di Roma) di omicidio, stupro e saccheggio. La particolarità del caso è che Bemba era stato condannato anche per fatti commessi dalle sue truppe. Si trattava, quindi, di una responsabilità omissiva e apicale.

Tuttavia, a parere di chi scrive, risulta ancora più rilevante un recentissimo caso sottoposto alla Corte, che attualmente ancora non risulta definito. Parliamo del caso Situation in Uganda in the case of the Prosecutor v.DominicOngwen, con cui è stato rinviato a giudizio il comandante delle milizie in Uganda, Dominic Ongwen, accusato di numerosi crimini contro l’umanità tra i quali sono stati inclusi anche i matrimoni forzati.

Brevemente, i fatti. Dominic Ongwen, un tempo bambino soldato, era stato accusato di crimini commessi dalla brigata “Sinia” della milizia irregolare ugandese, nota come Lord’s Resistance Army (LRA), come presunto comandante, in particolare, per gli attacchi contro quattro campi sfollati all’interno dello Stato dell’Uganda a cui seguirono numerose uccisioni, stupri, schiavitù sessuali, torture, distruzioni di proprietà, saccheggi e reclutamenti di bambini soldato. Non solo. Ongwen era coinvolto nel rapimento di otto giovani donne che erano state prima obbligate a  seguire i dettami della brigata e, una volta mature, erano state violentate dal comandante al fine di renderle sue mogli.

Il 16 gennaio 2015 Ongwen veniva consegnato in custodia alla Corte penale internazionale e trasferito in un centro di detenzione per essere sottoposto al procedimento penale internazionale. L’innovatività della tesi accusatoria, in questo caso, consiste nell’aver rinviato a giudizio Ongwen anche per il crimine di matrimonio forzato, che, contrariamente a quanto avviene nella Convenzione di Istanbul - che espressamente lo menziona - non è incluso espressamente tra i crimini contro l’umanità nell’art.7 (1) a (K) dello Statuto della Corte penale internazionale. In questo caso, il Procuratore della Corte penale internazionale, richiamando l’unico caso in materia del Tribunale Speciale per il Sierra Leone del 2009[3], ha ugualmente ritenuto sussumibile la fattispecie nell’art.7 dello Statuto di Roma ben potendo rientrare nella formula residuale “tra gli altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale”.

Secondo l'accusa, quindi, anche i matrimoni forzati contratti con donne-bambine prima rapite e stuprate, rientravano, infatti, in un unico disegno criminoso dell’accusato. Il rapporto descrive nel dettaglio il trattamento delle vittime dopo la cattura specificando che esse "erano trattate come bottini di guerra, assegnate come premi senza nessuna voce in capitolo su quanto stava accadendo, come fossero animali o oggetti inanimati". Queste donne, fin da bambine, erano state lese nella propria dignità umana nonché private dei loro diritti di infanzia.

Come evidenziano numerosi rapporti, quello delle spose bambine è un fenomeno molto diffuso in Africa e rappresenta una negazione dei diritti dell'infanzia. I matrimoni forzati sono forme di violenza sia fisica - in quanto le bambine vengono costrette al rapporto sessuale - che psicologica, determinata dallo svantaggio conseguente alla perdita dell’esperienza adolescenziale e alla negazione della libertà che consente il loro sviluppo. L‘abuso sessuale può portare anche a gravidanze forzate che in taluni casi determinano la morte delle partorienti a seguito di complicazioni durante il parto. Secondo la tesi dell'accusa le vittime di matrimonio forzato vivono e soffrono un dolore più intenso di quello delle vittime di schiavitù sessuale per la contestuale violazione del diritto di sposarsi e di avere una famiglia. Si è dunque sostenuta la tesi secondo cui chi forza una o più persone in una relazione matrimoniale tramite violenza, minaccia o coercizione fisica o traendo vantaggio da circostanze coercitive, è colpevole del reato di matrimonio forzato in quanto atto inumano diretto a provocare intenzionalmente gravi sofferenze. 

In conclusione, la giurisprudenza della Corte penale internazionale sta dimostrando una forte sensibilità sulle questioni di genere fino a prospettare tesi interpretative estensive che superano lo stesso dettato letterale delle norme statutarie. Sul caso Ongwen bisogna ora attendere l’esito finale, ma si può, in via prognostica, immaginare che sarà accolta la tesi del Procuratore[4]. 

Certo, c'è da sottolineare che dopo questo caso forse l’Uganda non sarà più sottoposta in futuro ad altri trials della Corte penale internazionale. Infatti, come altri stati africani, anche l’Uganda intende recedere dallo Statuto della Corte penale internazionale, essendo uno degli stati africani maggiormente sottoposti a giudizio.

Note

[1] Mackinnon C., Reflections on the universal Declaration of Human Rights. a fifthieth Anniversary anthology (a cura di Barend van der Heijden e Bahia Tahzib-Lie), the Hague-Boston-Cambridge, 1999, pp.171 e ss.

[2] Dworkin A., The unremembered:searching for women at the holocaust memorial museum in "Ms.Magazine", V(1994)3, p.5

[3] Corte spec. SL Prosecutor v. Issa hassan Sesay, Morris kallon and Augustine Gbao, sentenza del 2 marzo 2009, Camera d’appello, sentenza del 26 ottobre 2009. Questo caso può essere considerato il primo caso di giurisprudenza internazionale di condanna per il crimine contro l’umanità di schiavitù sessuale e matrimonio forzato. 

[4] Per  i dettagli sugli sviluppi del caso si rinvia al sito della Corte penale internazionale all’indirizzo https://www.icc-cpi.int/uganda/ongwen