Il mercato dei servizi di cura agli anziani in Europa varia da paese a paese. In questa intervista Barbara Da Roit ne traccia una cartografia ripercorrendone le evoluzioni degli ultimi trent'anni
Trent'anni di mercato, la cura
degli anziani in Europa
L’espansione del mercato dei servizi di cura per la non autosufficienza è un fenomeno consolidato in tutti i paesi europei, tuttavia, le differenze permangono a livello di estensione e modalità. Osservare in un'ottica comparata come le politiche per la non autosufficienza hanno accompagnato questo processo ne restituisce un quadro complesso e a più velocità. Nel corso del simposio accademico Sguardi globali sul lavoro domestico del progetto DomEqual, abbiamo chiesto a un’esperta della trasformazione dei sistemi di welfare europei come Barbara Da Roit, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, di descriverci lo stato dell’arte e le tendenze delle politiche per la non autosufficienza, le differenze tra i mercati di cura e la diffusione del modello dell’assistente familiare migrante in Europa.
Politiche per la non autosufficienza, a che punto siamo in Europa?
Secondo me per capire a che punto siamo in Europa bisogna fare un passo indietro, al contesto creatosi in Europa tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90. In un momento generale di restrizione delle politiche sociali, il Regno Unito è stato il primo paese a inaugurare, già alla fine degli anni ’80, il trasferimento dei servizi di cura al mercato. A partire da qui, questo passaggio si è manifestato anche in altri paesi europei. A partire dagli anni ’90, in Olanda e nei paesi nordici che avevano politiche pubbliche di assistenza agli anziani molto sviluppate, l’invecchiamento ha iniziato a imporsi nel dibattito pubblico in relazione al tema generale della sostenibilità della spesa pubblica per le politiche sociali rivolte agli anziani. Nella stessa direzione hanno spinto, oltre alla la pressione dei costi crescenti, altre due trasformazioni molto importanti. Una è stata la crescita della forza delle organizzazioni di rappresentanza dei disabili e in parte degli anziani che chiedevano forme nuove di tutela e sostegno, maggiore autonomia e libertà di scelta e la possibilità di impiegare i propri aiutanti. L’altra forza è stata uno spostamento complessivo del quadro politico da ideali più social democratici a liberisti da un lato e comunitaristi dall’altro. Quindi un forte accento sul mercato come strumento regolatore per eccellenza, l’idea che il pubblico non debba fare tutto, anzi meno fa meglio è. A metà degli anni ’90, nei paesi dell’Europa continentale - Germania, Francia, Austria - tradizionalmente poco impegnati nelle politiche di cura, sotto la pressione crescente della domanda sociale sono state introdotte misure per la tutela delle persone anziane e di quelle non autosufficienti attraverso sistemi nazionali di tipo assicurativo o fiscale. Tuttavia il clima era cambiato, si doveva spendere poco e bisognava incrementare la libertà di scelta. Quindi l’espansione delle politiche nell’Europa continentale si è fatta non a partire dai servizi pubblici ma dall’estensione delle erogazioni monetarie destinate all’acquisto di servizi di cura privati, ovvero il cash-for-care. Con l’eccezione della Francia, dove l’introduzione del cash-for-care è avvenuta in concomitanza con l’obiettivo di ampliare l’occupazione femminile, l’assenza di vincoli di destinazione tra il trasferimento e l’uso che se ne fa e risorse trasferite non sufficienti a coprire per intero i costi dei servizi di cura hanno reso difficile tenere sotto controllo il mercato della cura e regolarlo.
E nell'Europa del Sud?
Nei paesi dell’Europa del Sud, invece, non ci sono state le politiche innovative, mentre lo sono state le pratiche scaturite dall’esplosione del lavoro di cura immigrato. L’unica eccezione è la Spagna che ha fatto un tentativo nel 2007 con la Ley de Dependencia, ma che in realtà non ci è riuscita. Questo parché in parte è intervenuta la crisi fiscale, ma anche perché era un progetto formalmente ambizioso e il sistema si era già modificato nelle pratiche, cioè erano arrivate le lavoratrici migranti di cura. Quindi se al Nord, già a partire dagli anni ’90 nel caso della Svezia, e più recentemente in Olanda, la spinta è stata quella di riattivare le reti familiari informali e di espandere il mercato, la tendenza nell’Europa del Sud è stata l’inerzia delle politiche e la trasformazione delle pratiche, e il conseguente il boom delle assistenti familiari straniere. Infine, nei paesi dell’Europa continentale che hanno scelto di sviluppare politiche basate su strumenti monetari, c’è stato un aumento dei servizi ma anche un’espansione del mercato privato delle assistenti familiari migranti. Quindi la traiettoria di ogni modello va vista nel quadro dei processi di questi ultimi venti anni. I tagli non sono partiti con la crisi fiscale, ma erano già in programma. La crisi li ha ulteriormente legittimati. Già nel 1995 si parlava della necessità di tagliare e più di dieci anni dopo ci è stato detto che non solo era opportuno, ma assolutamente indispensabile. Quindi la crisi ha aiutato politiche restrittive già in corso o ha contenuto l’espansione nei contesti dove le politiche per la non autosufficienza sono emerse in modo tardivo.
I mercati privati di cura in Europa sono tutti uguali? Che cosa li differenzia?
Nei sistemi europei di cura e di assistenza agli anziani, una delle maggiori novità a partire dall’inizio degli anni 2000 è stato lo sviluppo del mercato di cura. In alcuni paesi l’espansione del mercato è seguita all’esternalizzazione dei servizi pubblici a soggetti privati profit e no profit, in altri al ricorso da parte delle famiglie a servizi di cura a pagamento, soprattutto attraverso l’impiego di lavoratrici domestiche e soltanto in parte attraverso servizi resi da organizzazioni. I mercati di cura in Europa hanno dimensioni diverse. La dimensione del mercato è decisamente più importante nel Regno Unito, dove prevalgono le organizzazioni private di cura, e in Italia, dove prevale il modello della ‘badante’. C’è stata un’espansione del mercato anche in alcuni paesi scandinavi ma il rapporto tra mercato privato e settore pubblico rimane comunque sbilanciato a favore di quest’ultimo. I mercati privati della cura non sono tutti uguali perché si inseriscono nel regime di cura migratorio e occupazionale di un paese. Le politiche sono determinanti perché definiscono il livello di investimento pubblico, la modalità di finanziamento e il livello di regolamentazione del lavoro di cura. Più il mercato della cura è flessibile e deregolato meno costa, favorendo l’acquisto da parte delle famiglie ma a scapito del salario e della qualità dei servizi di assistenza. Il mercato dei servizi di cura in Svezia, ad esempio, è più regolato e tutelante per i lavoratori e per gli utenti dei servizi rispetto a quello inglese. Ma comporta una spesa pubblica elevatissima. In paesi come l’Italia un servizio così poco costoso non può che essere deregolato e sommerso. Questo non vuol dire che anche nei paesi del Nord Europa non ci siano delle situazioni di irregolarità, ma le possibilità sono ridotte. Ho condotto con altri recentemente una ricerca in Olanda, spinta dal crescente dibattito circolato su tv e giornali sull’emergere delle assistenti familiari migranti. Abbiamo scoperto che questo tipo di mercato c’è ed è minuscolo - fino al 2016 contava al massimo 300 lavoratrici. È un mercato gestito da agenzie private in contatto con delle organizzazioni basate nell’Europa dell’Est, che offrono servizi di placement e di mediazione. Visto che la cura per gli anziani in Olanda è tradizionalmente considerata un lavoro relativamente professionalizzato e che deve garantire un certo livello di qualità, le agenzie private sono costrette a rassicurare le autorità pubbliche, le grandi organizzazioni no profit che forniscono cura e i potenziali clienti, sul fatto che sono serie, che offrono formazione e buone condizioni di lavoro.
Quanto è diffuso il modello dell’assistente familiare migrante in Europa?
La presenza di migranti nei servizi di cura è strettamente associata allo sviluppo dei servizi. Se il settore dei servizi alla persona è molto vasto, è probabile che ci siano carenze di personale, perché le retribuzioni non sono elevate e perché non è una professione così attraente. Questi vuoti vengono generalmente coperti dalle lavoratrici migranti soprattutto nel settore privato dove l’accesso è relativamente più semplice rispetto ad altre occupazioni. Tuttavia le modalità con cui gli immigrati si inseriscono in questo mercato varia tra paesi. Il primo modello vede le migranti assunte da organizzazioni che forniscono servizi di assistenza in istituto o al domicilio, nel secondo le migranti sono impiegate direttamente dalle famiglie, e nel terzo sono presenti in maniera ridotta. Al primo gruppo appartengono i paesi dell’Europa del Nord e il Regno Unito, al secondo i paesi dell’Europa meridionale e continentale. La Francia è un esempio del terzo modello. In un articolo scritto con Bernhard Weicht, abbiamo provato a spiegare queste diverse configurazioni a partire da variabili che hanno a che fare con il sistema di cura, il regime occupazionale e migratorio. Nei paesi del Nord Europa, la presenza di migranti nei servizi di cura è strettamente legata all’ampiezza del settore e in Gran Bretagna alla forte privatizzazione dei servizi. In Europa continentale e meridionale la presenza di lavoro di cura immigrato impiegato direttamente dalle famiglie è la conseguenza soprattutto di due configurazioni: pochi servizi e cash-for-care non controllato (Germania, Austria e Italia) o pochi servizi e un’economia fortemente sommersa (Italia e Spagna). La Francia ha pochi di lavoratori migranti sia nel settore domestico privato sia nelle organizzazioni, nonostante vi sia un problema di rilevazione statistica dei migranti. In effetti, la Francia è l’unico paese che ha attivato delle politiche esplicitamente dirette a incrementare l’occupazione nel settore dei servizi alla famiglia e alla persona, avendo in mente come target donne francesi di una certa età, che non hanno necessariamente un background migratorio o etnico.
A cosa sta lavorando in questo momento?
Una parte del mio lavoro attuale si collega a un ragionamento che facevamo prima. Soprattutto nei paesi con politiche di cura molto forti come quelli del Nord Europa, ci sono stati tentativi anche riusciti di tagliare i servizi e di ri-familiarizzare la cura. Quello che mi chiedo è se sia vero che se si tagliano i servizi poi la famiglia torna a curare informalmente i propri anziani. La mia ipotesi, in realtà, è che la cura informale, si stia indebolendo. E questo richiamerebbe in campo il mercato in maniera molto forte, con possibili conseguenze in termini di disuguaglianze sociali e di condizioni di lavoro nel settore. L’altro tema su cui sto iniziando a lavorare è un’analisi comparata sulla cura tra la fine del ‘800 e gli inizi del ‘900. Le politiche e le ricerche portano a pensare che - almeno in parte - i servizi di cura sostituiscano cure informali e familiari, e viceversa. Vorrei mettere in dubbio che la cura sia una ‘cosa’ immutabile che si distribuisce tra famiglia, stato e mercato. Per questo serve una prospettiva storica e allo stesso tempo comparata. Poi mi piacerebbe anche occuparmi d’altro, per esempio dei servizi educativi per la prima infanzia.
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