L'Ue aveva un dilemma morale: aiutare l'isola in dissesto, dopo che è stata la porta d'ingresso dei capitali illegali in Europa? L'ha risolto nel peggiore dei modi, tradendo la fiducia. Che di un sistema monetario è la risorsa più importante; ma anche la più fragile. E adesso?
1. Lo scenario. Nello scorso autunno lo Spiegel ha pubblicato un rapporto del Bundesnachrichtendienst (Bnd - l’agenzia di intelligence esterna della Repubblica Federale tedesca) sul sistema finanziario cipriota. Con l’1% del mercato globale di servizi finanziari , Cipro è al terzo posto del Financial Secrecy Index, una sorta di classifica dei paradisi fiscali e riciclaggio. Cipro è stato in particolare meta preferita dei capitali russi in fuga dal fisco o dal sistema giudiziario russo. Mentre infatti è relativamente facile aprire conti anonimi e i controlli e la regolamentazione bancaria sono assai laschi, enormi difficoltà e ostacoli vengono invece frapposti agli investigatori stranieri che richiedano l’assistenza delle autorità cipriote. La lista degli investitori russi che hanno aperto compagnie offshore traendo profitto anche dalla tassazione di favore, coincide di fatto con quella degli uomini più ricchi1. Per avere un ordine di grandezza, si stima che i depositanti russi detengano un quarto circa dell’intero ammontare dei depositi delle banche cipriote: 15,4miliardi di euro su un totale di 26,8 miliardi di depositi di non residenti, e un totale complessivo di 64,8 miliardi di depositi2. Il rapporto concludeva che Cipro è a tutti gli effetti la porta di ingresso nell’Ue di tutte le attività di riciclaggio.
Cosa ne hanno fatto le banche cipriote di tutti questi depositi, totalmente sproporzionati rispetto alle dimensioni dell’economia? Una parte rilevante, circa €22 miliardi, è stata prestata a imprese e famiglie greche, ma soprattutto è stata investita in titoli greci, subendo le pesanti perdite conseguenti alla ristrutturazione del debito greco. La crisi greca ha dunque trascinato con sé nel baratro anche il sistema finanziario cipriota, imponendo un piano di salvataggio, stimato in circa 17 miliardi di euro (equivalente al PIL, pari nel 2012 a 17,9 miliardi di euro).
2. Un dilemma morale. E’ abbastanza chiaro da queste premesse che si poneva un problema etico: un piano di aiuto per Cipro avrebbe finito inevitabilmente per salvare anche i capitali illegali degli oligarchi russi depositati nelle banche cipriote. Si capisce allora la rivolta di alcuni ambienti politici, per esempio i socialdemocratici e i verdi in Germania, all’idea che i soldi dei contribuenti tedeschi potessero prendere quella strada. D’altra parte, non c’era nessuna garanzia che, data la sua minuscola dimensione, il fallimento del sistema finanziario di Cipro potesse essere considerato “sistemicamente irrilevante”, come ebbe modo di osservare in tono seccato il presidente della Bce in polemica con il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble:al contrario, la decisione di lasciare fallire Cipro avrebbe potuto scatenare effetti di contagio in tutta l’eurozona (come ha ormai insegnato la Grecia).
Nell’incertezza sul da farsi, si è cercato, come sempre, di prendere tempo, in attesa che le elezioni cipriote, previste per metà febbraio, spazzassero via il vecchio governo comunista a favore del nuovo governo di centro destra del presidente Nicos Anastasiades (per il cui supporto si mobilitò la stessa Angela Merkel, che volò a Cipro durante la campagna elettorale), esercitando nel contempo qualche pressione perché il governo prendesse provvedimenti volti a migliorare la trasparenza del settore finanziario.
3. Una decisione sconcertante. E finalmente nel fine settimana scorso l’eurogruppo ha varato un piano di salvataggio a sorpresa: 10 miliardi di aiuti, e una tassa straordinaria sui depositi bancari - differenziata per importo: 9,9% sui depositi superiori a 100mila euro, e 6,75% su tutti gli altri – che si stima avrebbe potuto contribuire altri 5,8 miliardi, di cui circa 3,1 dai russi. L’idea di usare lo strumento della tassazione sui depositi per perseguire il duplice obiettivo di salvare e ripulire (o punire) il sistema finanziario cipriota, facendo partecipare ai costi i capitali illegali si è rivelato un boomerang. Non solo ha scatenato una corsa agli sportelli delle banche cipriote, ma ha seminato il panico nell’intero mondo finanziario. Infatti la decisione presa dalle autorità europee rischia di costituire un precedente pericoloso capace di minare la fiducia verso le banche e i paesi in difficoltà, innescando una fuga di capitali che precipita la crisi, accelerando il processo di disgregazione dell'euro.
La fiducia è un sentimento fragile. Una volta violato il patto di “sicurezza dei depositi”, sia pure con ottime giustificazioni, chi garantisce che non ci saranno altrettanto buone ragioni per romperlo ancora, per colmare buchi di bilanci statali, o per salvare banche e banchieri? Contagio, panico e corse agli sportelli potrebbero scatenarsi alle prime avvisaglie di crisi in qualsiasi paese, nessuno escluso. Nel 2008, all’indomani dello scoppio della crisi finanziaria internazionale che ha visto le banche tedesche gravemente coinvolte, Angela Merkel dovette intervenire pubblicamente alla televisione con la promessa della garanzia statale sui depositi per fermare la corsa agli sportelli innescata dalla crisi di fiducia nelle banche tedesche3 .
Ancora nell’autunno scorso è stato il turno del presidente della Bce Draghi di impedire lo svogersi di una crisi rovinosa calmando i timori con la promessa (o minaccia) di “unlimited bond purchases”.
4. E adesso?. La motivazione, moralmente comprensibile, di voler far pagare la crisi anche ai capitali “illegali” ha condotto a una decisione grave e sbagliata. La moneta, nei nostri sistemi finanziari, è moneta bancaria, cioè depositi e per creare moneta le banche si fondano sulla fiducia di clienti e investitori: la fiducia è il fondamento di ogni sistema monetario. Nessun sistema bancario può sopravvivere a una crisi di fiducia. I depositi dunque, prima ancora che ricchezza, sono “moneta”. Questo ci fa capire anche come la misura di tassare i depositi possa essere iniqua, se per esempio la creazione del deposito è il risultato della concessione di un credito. Se si vuole agire contro i paradisi fiscali e i centri di riciclaggio, le misure ci sono, se solo le si vuole usare, ma sono altre e non vanno applicate in emergenza: supervisione bancaria seria e maggiore armonizzazione fiscale, iniziando dal capitale. In un contesto di libera mobilità dei capitali, questi principi sono altrettanto se non più necessari delle misure incluse nel trattato di Maastricht4.
La questione vera è dunque perché mai esperti della finanza, che ben conoscono l’importanza e la fragilità della fiducia e l’assoluta necessità di tranquillizzare investitori e risparmiatori sulla sicurezza dei loro risparmi, hanno potuto varare una misura così pericolosa per la stabilità del sistema finanziario. O dichiarazioni come quella del capo economista di Commerzbank, Jörg Krämer, secondo cui, poichè la ricchezza delle famiglie italiane equivale al 173% del Pil nazionale (contro solo il 124% dei tedeschi), basterebbe un prelievo forzoso del 15% dai nostri depositi bancari per risolvere la crisi del debito.
Forse la risposta va ricercata in una mancanza di fiducia fra Nord e Sud dell’Europa, dove una crescente insofferenza del nord verso le debolezze e i vizi del sud sollecitano e giustificano prese di posizione, rigidità e politiche che, minando la fiducia nella costruzione complessiva, finiscono per ritorcersi su tutti.
1Si veda l’articolo citato per un elenco delle persone e delle imprese coinvolte.
2La fonte è la Regional Banking Association of Russia. Secondo Moody’s l’ammontare dei depositi russi sarebbe assai più alto, 31 miliardi di $.
3Nell’ottobre del 2008 la cancelliera Angela Merkel fece un intervento alla televisione per assicurare i depositanti che i loro depositi erano sicuri e che il governo federale avrebbe dato la sua piena garanzia, ristabilendo così la fiducia.
4Si veda il bell’articolo di Agenor, Cipro, Il paradiso fiscale perduto, 19-12-2012, Sbilanciamoci.info.