A sessant'anni dai trattati di Roma ricordiamo Miriam Camp, l’americana che pose le basi per le relazioni tra gli Stati Uniti e le istituzioni europee

Il 25 marzo ricorre il sessantesimo anniversario della firma dei trattati di Roma, un’opportunità per recuperare dalla storia una delle pochissime figure femminili che parteciparono ai primi passi istituzionali dell’integrazione europea, nel mondo allora ancora quasi completamente maschile della diplomazia e delle relazioni economiche internazionali.
Miriam Camp (1916-1994) è stata un’osservatrice acuta delle origini del regionalismo europeo, che lei stessa aveva contribuito a costruire come esperta economica assegnata alle strutture dell’amministrazione americana in Europa fin dal tempo di guerra.
Dopo il college a Mount Holyhoke e una laurea in economia e scienze politiche a Bryn Mawr, due tra i luoghi privilegiati di formazione delle nuove élites femminili negli anni del New Deal, aveva cominciato la sua carriera presso la Economic Warfare Division dell’ambasciata americana a Londra dove si era occupata di approvvigionamenti bellici. Subito dopo la fine della guerra era stata assegnata alla Economic Commission for Europe, creata in sede di Nazioni Unite per gestire le immediate emergenze postbelliche nei territori liberati. Era poi stata chiamata a far parte del nuovo Bureau of European Affairs del Dipartimento di Stato, dove avrebbe lavorato a fianco, tra gli altri, di Raymond Vernon e Charles Kindleberger. A partire da questo momento Camp sarà associata a tutte le iniziative americane riguardanti la ricostruzione europea, specializzandosi nel compito assai delicato - e molto “politico” - di redazione degli strumenti tecnico-giuridici costitutivi dei nuovi organismi europei. Fece tra l’altro parte del comitato di redazione dello statuto dell’Oece (la Organizzazione europea di cooperazione economica, creata nel 1948, che raccoglieva i paesi beneficiari del Piano Marshall) e formulò la posizione americana riguardo il trattato Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) del 1951.
Tale ruolo ha contribuito a costruire la fama, presso il Dipartimento di Stato, che sia stata Miriam ad avere ufficialmente inventato l'espressione "integrazione europea". Era stata lei infatti a inserire tale espressione nel famoso discorso che Paul Hoffman, l’amministratore capo dell’ECA (Economic Cooperation Administration, l’agenzia del governo americano responsabile dei fondi del Piano Marshall), tenne il 31 ottobre 1949 davanti all’Assemblea dell’Oece. In tale occasione, Hoffman espresse il sostegno del governo americano alla creazione di un grande mercato continentale, al fine di integrare le economie europee e rafforzarle politicamente nel quadro internazionale di avvio della Guerra fredda.
Nella prima bozza del discorso prodotta dall’ECA veniva usato più volte il termine unificazione dell’Europa, ma, come ricorderà più tardi la stessa Camp, quando la bozza arriva al Dipartimento di Stato per essere approvata, "mi sono detta: usiamo piuttosto il termine integrazione, perché unificazione per il congresso vuole dire Stati uniti d’Europa, e gli europei non li faranno mai e questo potrebbe creare malumori al congresso. Invece integrazione, nessuno sa cosa significhi esattamente. È un termine molto meno impegnativo". È possibile che tali passaggi diplomatici siano stati più complessi, ma, di certo, da allora in avanti nel gergo del Dipartimento di Stato integrazione diventerà appunto la "parola di Miriam".
Altra eredità dell’esperienza di guerra fu la consapevolezza della specificità della "questione inglese" nella storia dell’integrazione europea, questione che Camp studierà a fondo e svilupperà nei suoi primi libri usciti agli inizi degli anni '60, dopo avere lasciato il Dipartimento di Stato in seguito al matrimonio con l’inglese William Anthony (Tony) Camps, professore di lettere classiche a Cambridge.
"Il mio nome avrebbe guadagnato una 's' – ricorderà Miriam – ma io avrei perso il lavoro". All’epoca era infatti impossibile per una donna sposata, per di più sposata con un cittadino straniero, restare in servizio al Dipartimento di Stato. Miriam, che da allora si firmerà Camps, si trasferisce dunque a Cambridge continuando a fare avanti e indietro attraverso l’Atlantico come affiliata a una serie di think tanks transatlantici. Gli studi pubblicati in questo periodo offrono uno sguardo originale sulle dinamiche interne alle nuove istituzioni comunitarie – la Cee e l’Euratom - nate in seguito ai Trattati di Roma, e approfondiscono in particolare le prime richieste di adesione britannica al Mercato comune, i veti di de Gaulle all’ingresso inglese, la prima crisi istituzionale della "sedia vuota".
Prima donna senior fellow e membro del Council on Foreign Relations, dal 1970 al 1981, dove dirige il Working Group on International Organization and International Institutions, Camp partecipa all’attività dei nuovi think tanks degli anni ‘70 (Brookings, Bilderberg, Trilateral Commission, Bellagio, che restano mondi prevalentemente maschili, anche se alcune donne cominciano in quegli anni a comparire), per essere poi nominata - anche qui, prima donna - vice-presidente del Policy Planning Council. Si tratta di una nuova e difficile fase dei rapporti transatlantici, specie se confrontata agli anni del piano Marshall.
Tuttavia, con la consueta curiosità nel comprendere il cambiamento internazionale, in una serie di scritti di quegli anni, Camp continuerà a interrogarsi sulla natura profonda delle relazioni tra gli Stati Uniti e le comunità europee, non condividendo né le posizioni nostalgiche di alcuni suoi colleghi, né l’emergente europessimismo sulle sorti dell’integrazione. “A talented equal in a then largely masculine world”, come l’avrebbe ricordata Robert Schaetzel, primo ambasciatore americano presso le Comunità europee; “un modello e un incentivo per altre donne votate al servizio pubblico”, secondo la motivazione della laurea honoris causa in legge attribuitale da Mount Holyhoke, Camp avrebbe continuato piuttosto a credere nell’interesse comune di Europa e Stati Uniti a interpretare e gestire insieme la nuova fase della globalizzazione che si apriva in quegli anni.
Questo articolo è tratto dall'intervento tenuto da Barbara Curli al VII Congresso della Società italiana delle Storiche.
Riferimenti bibliografici
Camps M., Britain and the European Community, 1955-63, Princeton University Press, 1964
Camps M., European Unification in the Sixties: from Veto to the Crisis, New York, Council on Foreign Relations, 1966
Curli B., "Une américaine à Paris et Bruxelles. Miriam Camp et les origines de l’intégration européenne, in: Eliane Gubin et Françoise Thébaud" (dir.), L’Europe, une chance pour les femmes? Le genre de l’intégration européenne, Paris, Nouveau Monde éditions, 2017
Lundestad G., “Empire” by Integration. The United States and European Integration, 1945-1997, Oxford University Press, 1998
Weisbrode K., The Atlantic century. Four generations of extraordinary diplomats who forged America's vital alliance with Europe. Cambridge, MA., Da Capo Press, 2009
Photo credits: Archivio Miriam Camp, Mount Holyhoke College