Politiche

Le quote di genere nelle commissioni scientifiche sono utili per superare le discriminazioni ma uno studio dimostra che non bastano. Ecco cosa bisognerebbe fare

Ricercatrici. Le quote di genere
in commissione non bastano

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foto Flickr/Tallis Photography

Un recente rapporto sulle disparità di genere nel mondo accademico italiano [1] evidenzia come la partecipazione delle donne alle posizioni accademiche sia cresciuta nel corso degli anni. La percentuale di donne con una cattedra, in ogni caso, è ancora relativamente bassa, e corrisponde al 37% nel 2015 (Tabella 1).

Tabella 1 – Distribuzione di genere per posizioni accademiche in Italia

Fonte: Archivio Cineca, 2015

Perseguire una carriera nel mondo accademico italiano, in altre parole, è molto più difficile per le donne. Secondo il rapporto appare poco probabile che il numero di donne nell’ambito della ricerca salga a un livello di parità di genere senza un importante intervento politico, come potrebbe essere l’introduzione di quote di genere nelle commissioni scientifiche. Questo tipo di politica è stato recentemente introdotto in alcuni paesi europei (Svezia, Norvegia, Finlandia, Spagna), e rappresenta la linea perseguita dalla Commissione Europea [2]. Tuttavia, tale politica porterebbe con sé alcuni effetti negativi, quali il richiedere alle accademiche italiane di partecipare frequentemente a commissioni scientifiche, ossia ad attività non produttive in termini scientifici, in quanto sotto-rappresentate rispetto ai loro colleghi uomini. Per questo motivo l’introduzione di quote di genere nelle commissioni scientifiche andrebbe valutata attentamente e con metodi rigorosi.

In un nostro recente lavoro[3] abbiamo cercato di capire se le candidate fossero discriminate, a parità di qualifiche e pubblicazioni, nei concorsi per posizioni di ricerca in un ente di ricerca, e se la composizione di genere delle commissioni scientifiche potesse influenzare la probabilità di vincita del concorso da parte dei candidati sulla base del genere. Più precisamente, abbiamo analizzato se la presenza di una ricercatrice in commissione aumentasse o meno la probabilità di una candidata di vincere il concorso.

Nelle analisi abbiamo usufruito di dati su concorsi per posizioni di ricerca avvenuti nel periodo 2009-2011 presso una fondazione pubblica di ricerca che opera nell’ambito delle discipline scientifiche[4]. L'ente in questione è caratterizzato da un’ottima reputazione scientifica e attrae numerosi ricercatori e dottorandi sia dall’Italia che dall’estero (complessivamente sono circa 350, distribuiti in otto unità di ricerca). Gli stipendi offerti presso il centro di ricerca sono competitivi a livello europeo, e pertanto superiori a quelli accademici italiani per posizioni equivalenti. In questo senso tale fondazione si affianca al sistema accademico italiano, offrendo una possibile alternativa occupazionale ad aspiranti ricercatori e ricercatrici, sostenuta da finanziamenti e stipendi in linea con gli standard europei. Trattandosi di una fondazione a carattere pubblico, le procedure di reclutamento devono garantire standard minimi di trasparenza e pubblicità, con caratteristiche di somiglianza con l’università Italiana.

I concorsi, svolti con procedura pubblica, riguardavano posizioni di ricerca sia a tempo determinato (post-doc/contratti a termine) che tenured (indeterminato). Il data set originario costruito a partire dalle domande di partecipazione è stato arricchito con dati bibliometrici, al fine di tener conto della produttività scientifica dei singoli candidati, nonché dei commissari. Abbiamo inoltre considerato il ruolo di connessioni tra candidati e centro di ricerca (o anche singoli commissari) che fossero precedenti al processo di reclutamento, nonché la loro rilevanza per la disparità di genere. Sono stati considerati i casi in cui la commissione comprendesse il relatore al dottorato/master del candidato, oppure un co-autore del candidato, nonché i casi in cui il candidato stesse lavorando o avesse lavorato in precedenza presso la fondazione stessa. Abbiamo inoltre incluso nell’analisi connessioni indirette, che comprendono co-autori del relatore del dottorato/master nella commissione, oppure co-autori dei co-autori del candidato.

Le ricercatrici sono discriminate nell’accedere alle posizioni di ricerca scientifica? Questo è uno dei primi studi sul tema che si focalizza sull’ingresso nel mondo della ricerca, poiché in tutti i lavori precedenti sono stati esaminati specialmente concorsi per diventare professore associato e ordinario[5]. Indagare su come avvengono le selezioni all'interno della ricerca, invece, assume particolare rilevanza, dato che l’effetto forbice nelle carriere scientifiche di uomini e donne si aggrava dopo la conclusione del dottorato.

La risposta - a prima vista - sembra essere negativa. Nel complesso non risulta che le commissioni, prevalentemente maschili, discriminino le donne nei concorsi. Analisi più approfondite dimostrano però che le candidate sono discriminate dalle commissioni per le posizioni più precarie (post-doc e contratti a termine) rispetto a quelle tenured, a parità di pubblicazioni e titoli di studio. In generale le posizioni più precarie sono caratterizzate da maggiore apertura, dato che migliori indici bibliometrici dei candidati influenzano positivamente la probabilità di essere assunti, mentre per i concorsi tenured il sistema di selezione appare più chiuso, privilegiando fortemente candidati con connessioni.

Troviamo evidenza del ruolo positivo della presenza di un commissario donna in tutte le commissioni sulla probabilità di una candidata di vincere un concorso e compensare in questo modo lo svantaggio iniziale: in tutti i casi in cui vince un candidato uomo non sono presenti donne in commissione, mentre in presenza di almeno un commissario donna il concorso viene vinto da un candidato donna una volta su tre. Questi risultati mostrano un ruolo positivo delle quote di genere nelle commissioni di selezione per promuovere le ricercatrici nell'ambiente della ricerca, nonostante vadano valutate le conseguenze negative di una politica di questo tipo in casi specifici.

Il secondo risultato rilevante del nostro studio riguarda l'importanza del networking per l’ingresso alla ricerca. Le connessioni dei candidati con la commissione (o con il centro di ricerca) accrescono in modo significativo la probabilità di vincita del concorso. Tuttavia, le donne tendono ad avere un minor numero di connessioni, e sono meno collegate con i membri della commissione. Il nostro rappresenta un risultato in qualche modo sorprendente: le reti femminili sembrano essere un importante meccanismo di ingresso delle donne nel mondo della ricerca, in quanto spiegano una grande parte dell'influenza positiva della presenza femminile nelle commissioni. In modo simile, la maggioranza dei vincitori uomini sembrerebbe avere legami esclusivamente con i componenti maschili delle commissioni. Questo ha delle implicazioni per il futuro sviluppo delle carriere individuali, che rimane legato al diverso carattere dei collegamenti nelle reti, influenzando in modo sproporzionato la produttività scientifica dei candidati uomini e donne, a vantaggio degli uomini. Il nostro studio quindi suggerisce che le reti miste, in contrasto con reti femminili o maschili, potrebbero influenzare il processo di selezione nel mondo accademico apportando maggiore parità tra uomini e donne nella ricerca.

Quanto è innovativo questo risultato? Ricerche precedenti in altri paesi europei hanno riscontrato come le reti maschili penalizzino le donne nella loro carriera[6]. La nostra ricerca mostra che anche le reti femminili possono rappresentare un potere di ingresso, ma essendo più deboli non possono competere con le reti maschili.  Il problema che permane è che le reti poco equilibrate, e basate sui principi di genere, sono un segno di società ancora lontane dall’uguaglianza tra i sessi. Ciò rappresenta una sfida per la maggior parte dei paesi europei che dovrebbero considerare sia le quote di genere, che altri meccanismi di entrata nel campo di ricerca per combattere diseguaglianze di ogni tipo: sia quelle legate al merito o nepotismo, sia quelle di genere.

Recentemente, alcune associazioni accademiche quali la Royal Economic Society (RES) o la Economic Science Association (ESA) hanno promosso programmi di mentoring per giovani ricercatrici, volti ad accrescere l’entrata e l’avanzamento di donne economiste in accademia. Tuttavia, in entrambi i casi, i membri dei comitati che offrono mentoring sono rappresentati unicamente da donne. Il nostro studio suggerisce che tali programmi dovrebbero essere supportati anche da senior uomini, in modo da equilibrare la composizione di genere nel networking della ricerca, in quanto le reti professionali hanno un ruolo principale nel reclutamento dei ricercatori. 

NOTE

[1] Frattini, R., e Rossi, P. (2012). Report sulle donne nell’Università Italiana. "Meno di zero", 3, 8-9.

[2] Meulders, D. e O’Dorchai, S. P. (2013). She Figures 2012: Women and science: Statistics and Indicators. "ULB Institutional Repository" 2013/135739, ULB – Université Libre de Bruxelles, p. 7

[3] Checchi, D., Cicognani, S., Kulic, N. (2015). Gender quotas or girls’ networks? Towards an understanding of recruitment in the research profession in Italy. "Quaderni - Working Paper DSE" No. 1047, December 2015.

[4] Ricerca eseguita nell'ambito della European Commission under Grant numero 287526.

[5] De Paola, M., & Scoppa, V. (2015). Gender Discrimination and Evaluators’ Gender: Evidence from Italian Academia. "Economica", 82(325), 162-188.

[6] Van den Brink, M. and Benschop, Y. (2014). Gender in academic networking: The role of gatekeepers in professorial recruitment. "Journal of Management Studies", 51(3), 460-492.