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In molte progettano di avere due figli. Eppure averne altri dopo il primo è diventato un passaggio sempre meno frequente. L'Istat spiega perché

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foto Flickr/Kristian Niemi

In Italia da quarant'anni persiste un regime di fecondità bassa e tardiva. La lieve ripresa del livello di fecondità osservata nel periodo 1995-2010 non trova riscontro nei dati per generazione. La discendenza finale delle successive generazioni di donne che hanno concluso la loro storia riproduttiva decresce infatti senza soluzione di continuità: dai 2,5 figli delle nate nei primissimi anni ’20, ai 2 figli per donna delle generazioni dell’immediato secondo dopoguerra (anni 1945-49), fino a raggiungere il livello di 1,56 figli per le donne della generazione del 1965 (Istat, 2014a).

La diminuzione della fecondità nel nostro Paese è stata, in buona parte, il risultato della rarefazione dei figli di ordine successivo al secondo, almeno fino alle nate nella seconda metà degli anni ’60: circa 4 donne su 5 non hanno rinunciato ad avere almeno un figlio. Nonostante la crescita della quota di donne che non ha figli, dunque, sono ancora molto numerose quelle che ne hanno almeno uno. Secondo le stime più recenti, riferite alla generazione delle nate nel 1970, circa l’80 per cento delle donne avrà almeno un figlio. Al contrario, il passaggio dal primo al secondo figlio è divenuto, e tende ad essere, sempre meno frequente (Istat, 2014a). 

Il grande divario tra aspettative e figli avuti

I progetti riproduttivi delle donne, tuttavia, continuano a prevedere in media almeno due figli, questo è vero anche per le madri, come confermano i dati dell’edizione 2012 dell’indagine campionaria sulle nascite e le madri. Ne deriva che i vincoli che limitano la fecondità italiana, e che hanno fatto conquistare all’Italia il primato di paese tra i meno prolifici, intervengono non solo sulla decisione di avere o meno un figlio, ma soprattutto su quella di averne più di uno.

Considerando che l’intervallo medio tra la nascita del primo e del secondo figlio è di due-tre anni, un target privilegiato di osservazione e di intervento per le politiche a sostegno della famiglia è costituito proprio dalle donne divenute madri da poco. Le neo-madri costituiscono l’universo di riferimento dell’indagine campionaria sulle nascite: le intervistate vengono contattate a circa due anni dalla nascita dei figli, ovvero nel momento in cui generalmente maturano le scelte in merito ai progetti riproduttivi futuri e in cui con maggior forza si avverte il peso dei vincoli che si frappongono alla loro realizzazione[1]

I progetti riproduttivi delle neo-madri

Nel 2012 oltre il 40 per cento delle neo-madri progettava la nascita di almeno un altro figlio nel corso della propria carriera riproduttiva (Istat, 2014b). Il progetto di avere altri figli è assai più frequente (ed è anche associato ad un grado di certezza più elevato) tra le donne che hanno un solo figlio, tra le più giovani e tra le madri che hanno un livello di istruzione medio-alto. I differenziali territoriali sono invece decisamente più contenuti, anche se vedono le donne che risiedono nel Mezzogiorno più inclini a progettare ulteriori nascite.

La proporzione di madri che progetta di avere almeno un altro figlio decresce sensibilmente, come ci si può attendere, all’aumentare del numero di figli che la donna ha già avuto. In particolare circa tre donne su quattro tra quelle che hanno un solo figlio pianificano di averne almeno un altro. Di queste, il 57 per cento mostra una netta preferenza per la famiglia con due figli, il 13 per cento pianifica la nascita di due ulteriori figli, mentre la propensione verso famiglie più numerose è assai contenuta (Figura 1).

Figura 1 - I progetti riproduttivi delle madri di nati nel 2009/2010 con un figlio e numero di ulteriori figli attesi (a) – Anno 2012 (valori percentuali)

 

Fonte: Istat, Indagine campionaria sulle nascite e le madri di nati nel 2009/2010 – Anno 2012 (a) Sono state escluse dall’elaborazione le donne incinte al momento dell’intervista.

Considerando le donne che hanno già due figli, il 20 per cento di queste intende avere altri bambini e – nella maggioranza dei casi – viene pianificata la nascita di un solo ulteriore figlio. Le intenzioni di fecondità positive sono ancora meno diffuse tra le donne con tre o più figli: meno del 9 per cento di queste progetta di averne altri.

L’età massima per avere l’ultimo figlio

Un ulteriore indicatore di rilievo per l’analisi dei progetti riproduttivi è l’età massima entro la quale le neo-madri intendono concludere la loro esperienza riproduttiva. Nel 2012 essa è pari a 31 anni per le madri che all’intervista ne hanno meno di 25 fino ad arrivare a 44 per le madri che hanno più di 40 anni. Va sottolineato che l’età massima a cui avere l’ultimo figlio è aumentata nel tempo principalmente a causa dell’aumento di quella dichiarata dalle madri più giovani. Questo fenomeno merita di essere evidenziato, perché potrebbe contribuire ad una ulteriore contrazione della fecondità delle più giovani. Pensare di poter contare su un lasso temporale sempre più lungo per avere figli, infatti, significa esporsi a maggiori rischi di non riuscire poi a dar seguito ai propri progetti riproduttivi, per ragioni bio-fisiologiche (Associazione italiana per gli studi di popolazione, 2013), ma anche per il mutare di altre condizioni, come ad esempio l’interruzione della relazione affettiva, l’insorgere di problemi di salute, ecc.

I motivi per non volere altri figli

Le prime tre motivazioni per non progettare la nascita di altri figli sono le stesse a prescindere dal numero di figli della donna, ma la loro importanza varia considerevolmente al variare del numero di figli già avuti (Figura 2). L’aver raggiunto la dimensione familiare desiderata è il primo motivo per non progettare di avere altri figli riportato dalle neo-madri con 2 o più figli, anche se tale motivazione ha un peso notevolmente più basso tra le donne con due figli rispetto a quelle con tre o più figli. 

Per le neo-madri con un solo figlio, al contrario,  la prima motivazione per non averne altri è legata ai problemi di tipo economico, segnalati da più di una madre su quattro. Anche i motivi legati all’età troppo alta – pur se frequentemente riportati da tutte madri – sono in special modo evidenziati dalle donne con un solo figlio. 

Si noti, infine, come quasi una donna su dieci tra quelle con un figlio non progetta di averne altri a causa di problemi legati al lavoro (delle donna o del partner) o perché ravvisano difficoltà nella conciliazione degli impegni familiari con quelli lavorativi. L’importanza di tale motivo decresce al crescere del numero dei figli della donna. Anche la preoccupazione e i problemi legati alla crescita dei figli e all’eccessivo peso della gravidanza, del parto e della cura della prole sono più spesso segnalati dalle donne con un solo figlio rispetto alle madri con famiglie più numerose.

Figura 2 – Madri di nati nel 2009/2010 per motivo per non progettare la nascita di altri figli e numero di figli (a) – Anno 2012 (valori percentuali)

Fonte: Istat, Indagine campionaria sulle nascite e le madri di nati nel 2009/2010 – Anno 2012 (a) Sono state escluse dall’elaborazione le donne incinte al momento dell’intervista; sono invece incluse le madri che hanno risposto ”non so” al quesito sulle intenzioni di fecondità.

Rispetto ai dati delle indagini 2002 e 2005 si registra una diminuzione nel tempo del numero di donne che adducono come motivo principale per non proseguire nella propria carriera riproduttiva quello di aver già raggiunto il numero desiderato di figli e contemporaneamente un aumento di quelle che vedono nei problemi di natura economica il principale ostacolo alla nascita di ulteriori figli. Questa dinamica è particolarmente accentuata per le neo-madri al primo figlio (Figura 3).

Figura 3 – I primi tre motivi per non progettare la nascita di altri figli. Donne con un figlio (a) – Anni 2002, 2005 e 2012 (valori percentuali)

Fonte: Istat, Indagine campionaria sulle nascite e sulle madri. Anni 2002, 2005 e 2012. (a) Sono state escluse dall’elaborazione le donne incinte al momento dell’intervista; sono invece incluse le madri che hanno risposto ”non so” al quesito sulle intenzioni di fecondità.

L’ottimismo delle neo-madri

La persistente bassa fecondità che caratterizza il nostro Paese, e la continua contrazione della discendenza finale delle donne che via via concludono la loro carriera riproduttiva, potrebbe indurre a ipotizzare che ci sia una crescente convergenza verso l’adozione del modello del figlio unico. Le aspettative di fecondità delle neo-madri suggeriscono che avere un solo figlio è molto spesso una condizione più subita che pianificata. 

I risultati delle indagini sulle neo-madri condotte dall’Istat consentono infatti di aggiungere un nuovo tassello utile alla comprensione delle preferenze in materia di fecondità: nove neo-madri su dieci vorrebbero avere una famiglia con almeno due figli, ed in particolare spicca la preferenza verso la famiglia con esattamente due figli. La propensione verso la famiglia con il figlio unico è minoritaria tra le neo-madri (riguarda circa il 10 per cento), e più spesso è espressa da donne che hanno posticipato in modo consistente la nascita del primo figlio, arrivando a ridosso dei quarant'anni o anche oltre.  

Certo si potrebbe obiettare che le aspettative di fecondità delle neo-madri siano almeno in parte attribuibili ad un ottimismo poco realista sugli gli eventi futuri, che può spingere le donne, soprattutto le più giovani, a esprimere un ideale di fecondità piuttosto che un progetto riproduttivo reale.

Ma i figli non sono spesso il frutto dell’ottimismo? In un contesto di bassa fecondità come quello italiano, politiche volte alla 'riconciliazione' tra le aspettative di fecondità e la loro realizzazione, oltre a rappresentare una straordinaria opportunità di 'ringiovanimento' del Paese, consentirebbero ad una ampia fetta di popolazione di realizzare i propri progetti familiari. 

Le analisi longitudinali condotte  per seguire la realizzazione dei progetti riproduttivi delle neo-madri, intervistate nella indagine del 2005, ci dicono che circa il 50% delle donne con un figlio, che all’epoca dell’indagine avevano dichiarato di volerne almeno un altro, hanno realizzato il loro progetto negli oltre sei anni successivi all’intervista (Istat, 2014a). Data la lunghezza del tempo intercorso, è verosimile ipotizzare che per buona parte del restante 50% delle madri che avrebbero voluto avere un secondo figlio, la mancata realizzazione  possa tradursi via via in una rinuncia definitiva. 

La rimozione degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei progetti riproduttivi appare, dunque, di primaria importanza non solo per comprendere le cause della bassa fecondità italiana, ma anche per le preziose indicazioni che da queste possono essere tratte in fase di elaborazione e valutazione di politiche a favore delle famiglie. 

Tali politiche potrebbero rivelarsi tanto più efficaci quanto più mirate sulle donne che vogliono avere figli. In particolare, per le donne con un solo figlio emerge un ampio ventaglio di motivazioni tra le quali spiccano gli ostacoli di natura più strettamente economica, -  il costo dei figli-, e le difficoltà di conciliazione del ruolo di madre e lavoratrice.

I dati dell’indagine ci dicono che oltre la metà delle neo-madri lavora e che le famiglie con due redditi riportano meno frequentemente problemi economici dopo la nascita del bambino. Nel 2012, tuttavia, oltre il 22 per cento delle madri occupate all’inizio della gravidanza, non lo è più al momento dell’intervista, ossia a circa due anni dalla nascita del bambino. Il 42,8 per cento di quelle che hanno continuato a lavorare dichiara di avere problemi nel conciliare l’attività lavorativa e gli impegni familiari. 

E conciliare è l’aspirazione delle neo-madri intervistate che, nonostante tutto, mostrano di guardare con ottimismo al futuro, un ottimismo che meriterebbe di essere supportato da specifici interventi di policy[2].

NOTE

[1] L’Istat ha condotto tre edizioni dell’indagine campionaria sulle nascite e le madri, intervistando un campione di  “neo-madri”, ovvero di donne che hanno avuto un figlio nel 2000/2001, nel 2003 e nel 2009/2010, a circa due anni di distanza dalla nascita. L’obiettivo è contribuire alla comprensione delle dinamiche più recenti dei comportamenti riproduttivi, anche in relazione con la crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro registrata negli anni 2000. Un modulo di approfondimento è dedicato proprio all’interazione maternità-lavoro; nell’edizione 2012, i contenuti sono stati rivisitati e arricchiti grazie anche alla collaborazione con l’Isfol nell’ambito di una specifica convenzione tra i due Enti.

[2] Il presente contributo riflette le opinioni delle autrici e non quelle dell’Istat.

Riferimenti bibliografici

Associazione Italiana per gli studi di popolazione, Rapporto sulla popolazione. Sessualità e riproduzione nell’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2013

Istat, Generazioni a confronto: come cambiano i percorsi verso la vita adulta, 2014a

Istat, Avere figli in Italia negli anni 2000. Approfondimenti dalle indagini campionarie sulle nascite e sulle madri, 2014b