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Dal corpo delle donne onnipresente al corpo degli uomini assente. Anche in Italia, finalmente, si inizia a discutere di mascolinità. Il libro "Essere maschi. Tra potere e libertà", di Stefano Ciccone, racconta come una rendita di potere può essere anche una gabbia opprimente

La libertà
di essere maschi

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Negli ultimi decenni gli studi sulla maschilità hanno portato un rilevante contributo al dibattito sul genere (Connell, 1995, Hearn 1992), contribuendo alla decostruzione delle culture di genere dominanti e mettendo in luce la dimensione normativa e performativa delle pratiche di genere.


In Italia questo filone di analisi ha ottenuto riconoscimento e piena cittadinanza solo in tempi molto recenti (Bellassai 2004, Dell’Agnese, Ruspini 2007), anche se da anni sono in realtà attivi studiosi e soggetti collettivi che rivolgono il loro interesse alle pratiche e ai modelli di maschilità. Tra questi vi è sicuramente Stefano Ciccone, tra i fondatori e presidente dell’associazione e rete nazionale Maschile Plurale. Il volume “Essere maschi. Tra potere e libertà” raccoglie di fatto riflessioni e sollecitazioni nate dal suo percorso intellettuale ed esperienziale di uomo che ha avviato una riflessione individuale e collettiva sulla condizione maschile, anche a partire dalle sollecitazioni emerse dagli studi femministi e di genere.


Il libro, che presenta un taglio volutamente autobiografico, ripercorre e rilegge le tappe, gli avanzamenti, ma anche le difficoltà e le esitazioni di un percorso individuale e di gruppo che ha segnato in modo profondo il vissuto dell’autore. Nella letteratura sul genere più volte si è sottolineato l’intreccio tra pensiero autobiografico e scrittura delle donne e d’altra parte la metodologia femminista si è da sempre caratterizzata proprio per uno sguardo retrospettivo, a partire dalla consapevolezza che il pensiero riflessivo consente una ri-appropriazione della storia personale e fonda la possibilità di cambiare (Haug 1987, Cavarero 1997, Gherardi e Poggio 2003). La percezione di naturalità dell’essere uomini ha invece a lungo fatto sì che questo tipo di sguardo non fosse percepito come un’esigenza da parte maschile: la costruzione di un immaginario maschile come neutro universale ha esonerato gli uomini dal racconto della propria singolarità e differenza - “sono un uomo: cos’altro c’è da dire?” (p. 9). Ciccone abbandona invece questo registro e si addentra nel dominio narrativo privilegiato dalla letteratura femminista. D’altra parte il libro riconosce fin da subito nell’emergere di una nuova soggettività politica delle donne un riferimento cruciale e imprescindibile per l’avvio di un ripensamento dei modelli identitari maschili: non una minaccia, ma una opportunità di liberazione dagli stereotipi che opprimono la condizione maschile.


La riflessione critica sul maschile trova avvio nel libro dalla ricerca delle radici della violenza nella costruzione della maschilità, da cui prende forma l’immagine di una miseria delle pratiche di socialità  e sessualità maschile. L’invito che attraversa il libro è quello a confrontarsi con questa miseria, intesa come limite, per cercare lo spazio di una diversa esperienza del corpo maschile da parte degli uomini e nella loro relazione con le donne.


In un mondo in cui il corpo delle donne è rappresentato e percepito come ingombrante a causa della materialità biologica (e in una società in cui, si potrebbe aggiungere, il corpo delle donne è enfatizzato e continuamente sovraesposto) dov’è invece finito il corpo degli uomini? L’assenza del corpo maschile è proprio una delle questioni cruciali della riflessione proposta da Ciccone. Silenzio, scissione, privazione sono i termini utilizzati per riferirsi al corpo maschile e sono gli elementi che l’autore vede paradossalmente alla base della strategia e della storia maschile di dominio e affermazione. L’emancipazione dalla dimensione corporea, il silenzio del corpo diventa di fatto la condizione su cui si fonda il dominio materiale e razionale sulla realtà.  L’immagine di copertina, che riproduce uno dei Prigioni scolpiti da Michelangelo, rappresenta con rara efficacia questa tensione: un corpo di uomo che si divincola e si dibatte, cercando di uscire dalla pietra da cui nasce e che lo trattiene. E tra i diversi prigioni di Michelangelo, non a caso il prescelto è Atlante, gigante costretto da Zeus, per punizione, a tenere sulle spalle il mondo. L’egemonia storicamente determinata della maschilità (anzi, per dirla con Connell di uno specifico modello di maschilità) rappresenta infatti per gli uomini una indubbia rendita di potere, ma per molti di loro anche una gabbia opprimente.


La via di uscita che viene tracciata nel libro è quella di un’etica della relazione: il limite può infatti essere visto proprio come opportunità per riconoscere che la soggettività maschile non può prescindere dalla relazione. Questo tema viene in particolare sviluppato laddove Ciccone affronta la questione della paternità e dell’esperienza maschile di terzietà rispetto al rapporto madre-figli, tramutata nel corso della storia da condizione di accessorietà a vantaggio, attraverso il prevalere di un universo simbolico in cui è l’affrancamento da emozioni e legami affettivi (e dunque la fuga dalla relazione) ad offrire titolarità di parola nello spazio pubblico. Ciccone propone una diversa prospettiva, rivendicando invece l’irriducibile relazionalità del maschile, la sua non autosufficienza e alterità,  sostenendo che solo attraverso la relazione l’uomo può trovare senso per la propria esperienza.


In questa relazione gioca un ruolo cruciale la dimensione del desiderio e delle sue rappresentazioni (un desiderio maschile quasi parossistico e di un desiderio femminile atrofizzato – o addirittura rimosso), di cui viene opportunamente decostruita la naturalità, sottolineandone invece la dimensione socialmente costruita. Interrogarsi sulla possibilità di una nuova relazione tra i sessi, significa infatti, per gli uomini, anche interrogarsi su come “frequentare il desiderio maschile” (p. 84) senza negarlo, ma cercando di reinventarlo, superando una visione del maschile stretta tra una pulsione sessuale incontenibile e l’imperativo disciplinante del controllo razionale.


Infine non è possibile parlare di questo libro senza segnalarne la tensione politica, che ne è ingrediente costitutivo: per poter dare avvio ad una riflessione sulla mascolinità che sappia andare oltre l’analisi teorica, generando un effettivo processo di trasformazione, è infatti necessario, sostiene l’autore, confrontarsi con la dimensione collettiva, che si attualizza sia nel dialogo con i femminismi, “a partire da un reciproco riconoscimento di parzialità sul terreno della differenza” (p. 214), sia nella costruzione politica di spazi di socialità maschile che, evitando le insidie del revanchismo misogino e della complicità, consentano di scoprire diverse potenzialità dei corpi e delle relazioni, in un percorso che può a pieno titolo essere definito di liberazione.


E’ dunque un libro importante, quello scritto da Stefano Ciccone, in cui si riflette sul percorso tracciato, ma si delineano al contempo gli spazi di lavoro e di interlocuzione per una effettiva rideterminazione delle pratiche di maschilità e più in generale per un superamento della pressione coercitiva e alienante che i modelli di genere dominanti esercitano sulle domande di libertà di donne e uomini.

Riferimenti bibliografici
Bellassai, Sandro (2004) La mascolinità contemporanea, Roma, Carocci.
Cavarero, Adriana (1997) Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano.
Connell, Robert (1995) Masculinities. Berkeley: University of California Press.
Dell’Agnese, Elena; Ruspini, Elisabetta (2007) Mascolinità all’italiana. Torino, Utet.
Gherardi, Silvia; Poggio, Barbara (2003) Donna per fortuna, uomo per destino. Milano, Etas.
Haug, Frigga (1987) Female Sexualization. A Collective Work of Memory. Londra, Verso.
Hearn, Jeff (1992) Men in the public eye, The Construction and Deconstruction of Public Men and Public Patriarchies, Londra, Routledge.