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L'ultimo numero della rivista Autonomie locali e servizi sociali (Il Mulino, 2016) curato da Fiorenza Deriu è dedicato interamente alla questione della violenza sulle donne

Violenza di genere e
approccio delle capacità

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La violenza sulle donne costituisce uno dei temi maggiormente discussi dalla comunità scientifica, interessando molteplici ambiti disciplinari, dall’antropologia alla sociologia, dalla psicologia alla scienza medica (perché considerata una questione di salute pubblica), dalla filosofia al diritto, dalle politiche sociali a quelle pubbliche. Di questo si dà conto nel numero monografico Violenza di genere e approccio delle capacità curato da Fiorenza Deriu per la rivista "Autonomie locali e servizi sociali" da poco pubblicato.

Questo numero monografico, costruito a partire dalla feconda intersezione tra riflessione teorica ed esperienza sul campo, intende proporre una originale cornice interpretativa all’interno della quale analizzare i percorsi di empowerment delle donne che hanno subito forme diverse di violenza, non necessariamente riconducibili alla sfera “domestica” o a quella che va sotto l'etichetta di intimate partner violence. Il quadro interpretativo proposto risulta, infatti, idoneo anche alla comprensione profonda di alcuni processi che rendono possibili/evitabili forme di violenza più recentemente assurte all’attenzione della comunità scientifica, come nel caso di quella ostetrica. La cornice che si intende proporre incorpora i concetti di resilienza e di empowerment all’interno dell’approccio delle capacità, nell’accezione rivisitata di Martha Nussbaum.

Come sottolinea Fiorenza Deriu, nella sua bella introduzione, “la forza della prospettiva nussbaumiana risiede non solo nella sua capacità di portare il discorso sulla violenza su un piano politico e sociale, che chiama direttamente in causa la responsabilità dei governi, ma anche di superare il linguaggio dei diritti, facendosi così linguaggio universale, neutro rispetto alle diversità culturali alle varie latitudini del mondo” (Deriu, pp. 201-210). Ciò avviene attraverso una maggiore attenzione al modo in cui i sistemi politici assicurano de factu la qualità della vita dei singoli e dei gruppi. La domanda diventa: cosa le donne in un certo Paese sono effettivamente in grado di essere e fare? Quali opportunità sono loro date di essere e fare ciò che ritengono bene per sé? In tal modo, è possibile passare dal piano delle garanzie formali a quello delle barriere strutturali che si frappongono alle pari opportunità tra uomini e donne.

Entro tale cornice è possibile analizzare in che modo i concetti di resilienza - ossia la capacità di resistere a eventi traumatici della vita, affrontandoli e cercando di riorganizzare in modo positivo la propria esistenza - e di empowerment coesistano nel processo che può condurre la donna vittima di violenza verso nuovi obiettivi di realizzazione e di vita.

I diversi saggi contenuti nel volume contribuiscono a definire un processo che mette al centro l’intero corso di vita individuale e sociale di una donna, e lungo il quale si inseriscono fattori corrosivi e altri “capacitanti”, nell’accezione propria di Nussbaum. Ben si colloca in questo contesto il saggio di Maria Lucia Piga e Daniela Pisu (pp. 235-248) nel quale è analizzata l’esperienza di sei donne coinvolte in un processo di empowerment all’interno del quale un ruolo strategico è stato giocato dalla realizzazione di percorsi individualizzati di inserimento lavorativo. Percorsi che hanno dato alle donne vittime di violenza una opportunità di ridefinizione del senso di sé, consentendo loro di farsi risorse competenti. Il lavoro è diventato occasione feconda di rafforzamento della fiducia nelle proprie possibilità, nella personale capacità di autodeterminazione. L’auspicio delle autrici è che queste esperienze possano sostenere una rinnovata cultura dei servizi alla persona, capace di puntare su una logica di investimento sociale, che promuova la fiducia negli individui, e nelle donne nello specifico, in una cornice di welfare in cui sia favorito l’incontro e la collaborazione tra le diverse risorse del territorio e la costruzione di reti integrate di attori.

La violenza è a tutti gli effetti uno svantaggio corrosivo, perché agisce sull’indebolimento dei fattori protettivi e sui cosiddetti tutori della resilienza: famiglia, scuola, società.

La condizione di una donna vittima di una relazione violenta ha una sua specificità, perché la forza e la determinazione della scelta di affrancamento da quella spirale può essere rintracciata solo ed esclusivamente dentro di sé, senza poter contare sulla cornice di affetti e di relazioni. Alcuni autori sostengono, infatti, che la resilienza si sviluppi proprio all’interno di un sistema di relazioni e sia sostenuta da esperienze che la valorizzano e accrescono il senso di autostima dell’individuo. Ma il partner violento corrode queste relazioni, isolando progressivamente la donna da parenti e amici, creandole un vuoto intorno; allo stesso tempo, la colpisce nella valorizzazione di sé, umiliandola costantemente, colpevolizzandola e screditandola ai suoi occhi e a quelli dei figli. La dimensione proattiva della resilienza, pur sempre presente ma in forma attenuata, riemerge quando la relazione violenta giunge al cosiddetto punto di rottura, necessario perché la donna decida di rivolgersi a qualcuno per chiedere consiglio, aiuto nella determinazione di sottrarsi alla spirale di violenza. È a questo punto che le opportunità offerte dal sistema di governo del contesto socio-politico di appartenenza fanno concretamente la differenza, giocando un ruolo fondamentale nella rilevazione e successiva “presa in carico” della donna, ai suoi primi passi nel difficile percorso di uscita dalla relazione violenta e di riconquista di un proprio spazio di vita. Il ruolo svolto dai centri antiviolenza, in primo luogo, e da tutti gli altri soggetti che in sinergia con essi concorrono alla realizzazione del progetto individuale di empowerment della donna, è d’importanza strategica per il recupero e il rafforzamento della capacità di resilienza della donna.

L’azione pubblica dovrebbe preoccuparsi del perché certi individui scelgano in un determinato momento di non accedere a determinate risorse e di garantire sicurezza, stabilità, continuità al loro funzionamento. Quali sono le condizioni per cui alcune donne, pur sapendo e potendo chiedere aiuto e consiglio al numero verde nazionale (1522), o rivolgersi ai servizi sociali, al pronto soccorso o alle forze dell’ordine, scelgono di non farlo? Possono queste donne contare effettivamente sulla continuità e stabilità di tali servizi di sostegno e accompagnamento nel processo di empowerment, senza rischiare di restare da un momento all’altro senza un adeguato supporto?

A queste e altre domande cercano, almeno in parte, di rispondere i contributi accolti nel numero monografico, di cui vi consigliamo la lettura.

Violenza di genere e approccio delle capacità, Autonomie locali e servizi sociali, n.2, Il Mulino, settembre 2016

Riferimenti bibliografici

Deriu, F. (2014), Violenza di genere e approccio delle capacità, Edizioni Nuova Cultura, Roma, DOI: 10.4458/4182.

Deriu, F. (2011) (a cura di), Contro la violenza, Franco Angeli, Milano.

Nussbaum, Martha C. (1997), “Capabilities and Human Rights”, in: Fordham Law Review, Vol. 66, Issue 2, pp.: 277-300, available at: http://ir.lawnet.fordham.edu/flr/vol66/iss2/2

WHO (2012), “Understanding and addressing violence against women. Intimate Partner Violence”.

Wolff, J. e De-Shalit, A. (2007), Disadvantage, New York, Oxford University Press.

Foto: Flickr/Stefano Corso