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La precarietà e la leggerezza dei redditi. Soprattutto per lei

Dati
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Il precariato riapre il gender pay gap. È quanto risulta dai dati della gestione separata dell’Inps, così come rielaborati dall’Associazione 20 maggio, che ha pubblicato un report dedicato al mondo del lavoro parasubordinato e dei professionisti a partita Iva: in sostanza, tutti coloro che fanno capo a quella gestione pensionistica riservata, appunto, al mondo del lavoro non dipendente. In linea generale, il report nota come il 2013 sia stato un anno di calo per le posizioni dei parasubordinati (meno 11,7%, in valori assoluti hanno perso 166.867 contratti), e che questa riduzione sia imputabile soprattutto agli effetti della riforma Fornero, che ha reso più oneroso il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto, portando così molte imprese a “consigliare” ai lavoratori l’apertura di una partita Iva e un contratto formalmente autonomo. Nello stesso anno, hanno invece tenuto le posizioni a partita Iva. Nel complesso, si tratta di un insieme di lavoratori che sfiora il numero di 1.600.000: in riduzione, di circa 300mila unità, dagli anni precedenti la crisi (negli stessi anni il lavoro dipendente perdeva 1 milione 380mila posti).

All’interno del mondo del lavoro parasubordinato e a partita Iva (non sono qui comprese le partite Iva dei professionisti che hanno un loro albo e cassa previdenziale autonoma, come gli architetti, gli avvocati, i giornalisti…), le donne se la passano peggio. È singolare l’andamento per età: sono prevalenti (il 55% delle posizioni) sotto i 39 anni, poi la loro presenza scende rapidamente. Secondo il report questo succede perché “complici le minori protezioni sociali e contrattuali dei collaboratori, si accentua il fenomeno, riscontrabile anche nel lavoro dipendente e nelle professioni, per cui le donne lasciano il lavoro in concomitanza con la nascita dei figli”.

Sensibile è anche il gender pay gap, la differenza salariale di genere (qui un elenco di articoli sul tema). In un contesto di lavori che sono complessivamente a basso reddito, quello delle donne è più basso. Tra i parasubordinati, nel complesso, il reddito lordo annuo è di 19.155 euro: ma se si va a scomporre tale dato per genere, viene fuori che è fatto da 23.874 euro di reddito lordo maschile, e 12.185 di reddito femminile. Vale a dire: le donne, nel mondo del lavoro parasubordinato, guadagnano quasi la metà degli uomini. Ma è necessario anche guardare dentro il variegato universo dei parasubordinati, che comprende: amministratori e sindaci di società (che hanno un reddito un po’ più alto, sui 30mila euro l’anno), collaboratori a progetto e continuativi, dottorandi e borsisti, collaboratori occasionali, lavoratori associati in partecipazione, e altre figure. Se si esaminano solo i collaboratori a progetto – una delle categorie più numerose -, i valori si abbassano ma il gender gap non scende: il reddito medio di un cocopro maschio nel 2013 è stato di 13.820 euro, quello di una cocopro di 7.035. La differenza, in rapporto al reddito maschile, è pari al 49% (guarda il grafico a questo link). Invece nel grafico che segue, è possibile vedere il gender pay gap all’opera per fascia d’età (i dati in questo caso si riferiscono all’universo dei parasubordinati): alto per le giovanissime, decresce un po’ nella fascia 20-29 anni, per poi risalire e toccare il suo massimo tra i 45 e i 49 anni. (Roberta Carlini)