
Un posto al di sopra della media europea, in fatto di parità di genere, lo strappiamo solo alla voce sanità, grazie alla lunga aspettativa di vita delle italiane. Per il resto, l'Italia è tra i paesi con il più basso livello di parità, secondo l'indice europeo dell'uguaglianza di genere. Le politiche per riequilibrare la situazione sono state poche e frammentarie, per lo più intese come iniziative per contrastare le discriminazioni. Una rassegna delle leggi e delle policies adottate in Italia per promuovere la parità si trova nel report "The policy on Gender Equality in Italy", curato per conto della commissione Femm del Parlamento europeo da Annalisa Rosselli, economista dell'università Roma Tor Vergata e tra le animatrici di inGenere.
Sul piano delle politiche lavorative, per esempio, di fronte a un'occupazione femminile che rimane troppo bassa, specie al Sud e specie per le donne con bassi livello di istruzione, manca una strategia complessiva - osserva il report - e le uniche misure adottate riguardano la cura dei bambini e gli incentivi per le assunzioni femminili. Misure che hanno sortito scarsi risultati, anche a causa della totale rimozione dell'altro aspetto della cura, quella per gli anziani, lasciata all'iniziativa familiare e di solito risolta solo grazie alle badanti, per lo più lavoratrici provenienti dall'Europa dell'Est (una soluzione talmente diffusa che si è parlato di "modello mediterraneo di welfare").
Il gap salariale di genere italiano è tra i più bassi a livello europeo, ma solo perché le donne che lavorano sono maggiormente quelle più istruite e per la presenza del sistema di contrattazione collettiva dei salari, mentre un grande squilibrio si registra per le pensioni, senza però che nessuna iniziativa sia stata intrapresa per appianarlo.
Un'annosa disparità che invece è stata affrotata è quella della presenza delle donne nelle posizioni apicali, presenza molto bassa fino a un passato vicinissimo, ma in via di migliramento grazie alla legge 120 del 2011, che ha introdotto l'obbligo temporaneo di rispettare una giusta rappresentanza dei generi nei Cda e nei collegi sindacali di aziende quotate in borsa e partecipate pubbliche.
Sul fronte sanitario, invece, il report nota che la salute femminile è ancora intesa come limitata al solo ambito ginecologico e della salute riproduttiva, con la legge sull'aborto (che si porta dietro il problema della massiccia obiezione di coscienza) e quella sulla fecondazione assistita, i cui aspetti più problematici sono stati affrontati dalla Corte costituzionale.
Nonostante i miglioramenti registrati dalla società civile - conclude il report - le disuguaglianze sono ancora ben radicate e le politiche messe in atto ancora molto limitate. La severa crisi finanziaria in corso da un lato minaccia le conquiste acquisite, ma dall'altro potrebbe essere occasione per una riorganizzazione radicale di un sistema in cui le donne sono attive fornitrici di servizi di cura non retribuiti. (gp)