Il piano del governo per la ripresa parla esplicitamente di impatto di genere, ma continuano a mancare tre elementi: i risultati da raggiungere, la valutazione ex ante e un legame effettivo con i progetti. Suggerimenti operativi per uscire dalle etichette ed entrare nel merito
Caro Draghi, usciamo
dall’impasse

Con la teoria sembra che ci siamo. Nelle prime pagine del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza consegnato dal precedente governo e datato 12 gennaio 2021, a pagina 15 si legge:
Ogni missione deve esplicitare le linee di riforma e di intervento mirate al perseguimento delle tre priorità trasversali (donne, giovani, sud) anche attraverso la definizione ex ante e la misurazione dei risultati attesi. Tali priorità non sono affidate a singoli interventi circoscritti in specifiche componenti, ma perseguite in tutte le missioni del Pnrr. Il piano nel suo complesso prevede la valutazione degli impatti macroeconomici, occupazionali, di indicatori Bes, e a favore di donne, giovani e sud.
Peccato che poi il passaggio dalla teoria alla pratica, lasci molte questioni irrisolte. E questo è il segno di una stagione politica travolta dall’esigenza di dover dar conto di un cambiamento sul versante dei temi di genere, ma non preparata culturalmente, ancor prima che tecnicamente, a dar corpo e voce a tale cambiamento.
Proviamo quindi a fornire qualche suggerimento utile a chi intenda prendere in mano la situazione con efficacia e uscire dall’impasse.
Avere chiaro l’obiettivo
Il tema della valutazione di genere nel piano è trattato confusamente, alternando riferimenti alla “valutazione dei singoli progetti” con la “valutazione di impatti del piano”, non distinguendo quindi i due livelli che sono metodologicamente e cronologicamente distinti: il livello di progetto all’interno di una specifica missione ed il livello di piano nel suo complesso.
Sarebbe invece necessario fornire un perimetro alla valutazione: distinguerne l’oggetto, definirne l’obiettivo, la tempistica e il sistema di misurazione. Nella fase di avvio, la valutazione ex ante servirà per stabilire le condizioni, gli obiettivi da raggiungere e le eventuali correzioni necessarie a non avere effetti indesiderati lungo il percorso. Nella fase in itinere, fornirà il polso di “come stanno andando le cose” rispetto agli obiettivi già previsti e in fase conclusiva consentirà il consuntivo dei risultati.
Questo è, in estrema semplificazione, un ciclo di valutazione che caliamo in ottica di genere. La valutazione di impatto di genere, richiesta specificatamente dalla Risoluzione del parlamento europeo sul Next generation Ue, nel piano, al momento, è completamente assente in questi termini (abbiamo già avuto modo di sottolineare l’importanza e la necessità di posizionarla invece da subito nella fase ex ante).
Ancora tanta confusione
Nessuna corrispondenza appare tra la definizione della parità di genere come obiettivo trasversale e l’attività di valutazione del piano nel suo complesso.
Cosa intende il piano come priorità trasversale di parità di genere? Sempre a pagina 15, si legge:
Realizzare una piena emancipazione economica e sociale della donna, mettendo la parità di genere come criterio di valutazione di tutti i progetti (gender mainstreaming) e promuovendo una strategia integrata di riforme, istruzione e investimenti in infrastrutture sociali e servizi di supporto.
Però poi nella parte specificamente dedicata alla “valutazione di impatto del Piano” (paragrafo 1.6) troviamo una trattazione puntuale dell’aspetto di valutazione del piano da un punto vista macroeconomico, ma la valutazione di genere viene solo accennata e rimandata a data da destinarsi. Si legge infatti (pagina 36) che “valutazioni sono anche in corso per quanto attiene agli impatti delle misure del Pnrr volte a contrastare le disuguaglianze di genere e quelle a favore delle nuove generazioni e dell’occupazione giovanile”. E, a seguire, “le Linee di intervento del Pnrr, a seguito della definitiva approvazione dei singoli progetti coerenti, saranno accompagnate da un set di indicatori quali-quantitativi che consentirà una più accurata valutazione degli effetti di genere e generazionali delle politiche e degli investimenti”.
Il quadro indicato appare, pertanto, molto confuso. Due sono gli aspetti su cui far luce.
Misurare si, ma cosa?
Dal momento che, come espresso a pagina 15, ogni missione deve esplicitare le linee di riforma e di intervento sulle tre priorità trasversali, (donne, giovani, sud) anche attraverso “la definizione ex ante e la misurazione dei risultati attesi”, possiamo affermare che questa parte non è adeguata. In ogni missione, la definizione dei risultati appare approssimativa, legata a generali miglioramenti del contesto, non ben identificati nel loro contenuto e nelle loro determinanti.
Manca cioè il nesso causale tra la tipologia di problematiche in chiave di genere che il piano intende risolvere e i risultati di questo miglioramento. Il senso dell’ex ante, ossia la loro definizione prima che parta il tutto, non è sostanziato adeguatamente in termini di previsione.
Inoltre, tecnicamente, il termine risultati “attesi” non indica esiti lasciati al caso, ma al contrario, attesi in quanto “previsti”, perché si è messo in moto un procedimento che li determinerà. Di conseguenza, il concetto di misurazione è completamente assente. È evidente che non è possibile scendere nel dettaglio della misurazione di un risultato quando non risultino chiari l’obiettivo, gli step e cosa si intende concretamente produrre per poi poterlo misurare.
Valutare dall'inizio
Nella declaratoria della parità di genere come obiettivo trasversale (sempre pagina 15) si trattano come sinonimi due concetti profondamente diversi: il gender mainstreaming e la valutazione dei progetti. Il primo, formalmente realizzato, riguarda la “dispersione” in tutte le parti del piano dell’ottica di genere, ossia in ogni missione sono indicati formalmente dei riferimenti, più o meno pertinenti ma presenti, alle donne – e agli altri fattori trasversali.
Cosa diversa è invece indicare la parità di genere come “criterio di valutazione dei progetti”, perché significa assumere che sia stato definito un sistema, un soggetto e una procedura che per ogni progetto definisce o meno la congruità rispetto agli obiettivi di parità. Cosa che, come abbiamo già evidenziato, non è indicata dal piano. Pertanto il documento non risolve questa dicotomia, afferma solo genericamente che la valutazione avverrà a seguito della definitiva approvazione dei singoli progetti (pagina 36).
Comunque la si voglia configurare, questa attività non può essere lasciata a un momento successivo alla approvazione dei progetti. Va fatta contestualmente alla selezione dei progetti, con la consapevolezza che la sua stessa esistenza può e deve incidere nell’orientamento alla definizione dei progetti stessi. Non pensarci prima significa rincorrere dopo la ricerca degli effetti.
A livello di valutazione dei progetti, ogni proposta, sin dall’inizio, deve sapere di dover rispondere alla domanda: in che modo e misura contribuisco alla parità di genere? A livello di piano nazionale, in che modo questa complessa programmazione di fondi pubblici contribuisce all’obiettivo di parità di genere? La risposta, su entrambi i fronti, non è scontata e non è banale. Bisogna aver chiaro da subito cosa si vuole ottenere e quali sono gli elementi per cui un progetto e lo stesso programma possono funzionare. E tracciarli.
Purtroppo, siamo un paese poco avvezzo alla valutazione delle politiche, sia ex post che soprattutto ex ante – prima di prendere decisioni che investono la dimensione pubblica. Su questo tema c’è un disallineamento drammatico tra il lavoro delle università, degli enti di ricerca, persino degli enti strumentali alle istituzioni e il recepimento del loro lavoro da parte dei policy maker.
Il timore della valutazione è il primo frutto dell’ignoranza. Conoscere, riflettere e correggere per migliorare dovrebbe essere la sfida di ogni politica orientata al benessere collettivo e non alla tutela della propria posizione in tempi di legislatura brevi e intermittenti. Tuttavia, da un punto di vista strettamente tecnico, l’essere destinatari di fondi pubblici cospicui impone il dovere di predisporre e mettere in trasparenza un sistema di selezione e valutazione dei progetti coerente con le finalità che lo stesso parlamento europeo impone nella stesura dei piani nazionali per la ripresa.
Come uscire dall'impasse
Uscire da questo impasse, però, si può. Siamo ancora in tempo. A partire da una rilettura del piano nazionale che punti all’evidenza e alla concretezza, mettendo in trasparenza obiettivi di missione, risultati attesi, previsti e misurabili. Per ogni missione deve essere esplicitata la ricaduta programmabile e misurabile sull’occupazione femminile e sulla parità di genere. Parallelamente, mettendo in collegamento effettivo i progetti, di cui ancora non si ha evidenza pubblica, con la priorità trasversale.
In quest’ottica è possibile sin da ora:
- stabilire una griglia con cui individuare per ogni missione il contributo alla priorità parità di genere, specificabile in termini di risultati attesi e fattori misurabili;
- calare quella griglia sui singoli progetti, per avere come riscontro lo stato dell’arte in tema di parità di genere, prima che parta tutto, ed avere margini per poterne ridefinire gli elementi potenzialmente distorsivi;
- produrre linee guida che diano condizioni minime di uniformità nella stesura e nell’operatività dei progetti e degli enti attuatori;
- progettare specifiche azioni positive che siano parte integrante delle missioni del piano.
Si può e si deve sin da ora costruire la strada con cui leggere i risultati nel tempo. Attivare un processo di valutazione adeguato richiede di stabilire sin dalla selezione dei progetti quegli indicatori, caratteristiche, elementi, ritenuti rilevanti che poi un monitoraggio in itinere o una valutazione successiva dovrà rintracciare.
Se invece i progetti partono senza questa consapevolezza, la valutazione sarà solo un esercizio sterile o una rincorsa a fine programma a rintracciare, per fini rendicontativi, qualche esito positivo attribuibile alle donne. Senza questa consapevolezza il paese avrà davvero perso non solo un’occasione storica di risolvere la sua fatica più grande – innalzare l’occupazione femminile e promuovere una migliore condizione di vita per uomini e donne – ma avrà anche perso la faccia.
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