Politiche

Certificare l'uguaglianza di genere nelle università e negli enti di ricerca: quattro scenari possibili a partire da Casper, uno dei progetti su cui la Commissione europea ha puntato per programmare strumenti condivisi a sostegno della scienza

Certificare la parità
nella ricerca in Europa

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Foto: Unsplash/ Karim Ghantous

Negli ultimi decenni diversi programmi quadro per la ricerca e l’innovazione hanno introdotto e sviluppato il concetto e la pratica di "misure di policy per l’uguaglianza di genere nella scienza". L’attenzione è stata puntata verso l’obiettivo del cambiamento istituzionale attraverso azioni positive e un approccio di mainstreaming che prevede piani per l’uguaglianza di genere (Gep), come richiamato dalla recente Dichiarazione di Ljubljana del 2021.

Per offrire una spinta più decisiva al cambiamento che il nuovo report She Figures conferma procedere a ritmi ancora lenti, la Commissione europea ha di recente fatto leva su un vero e proprio incentivo economico, introducendo un nuovo requisito per l’ammissibilità delle domande di finanziamento della ricerca nell’ambito del programma Horizon Europe: tutti gli enti pubblici che candidino proposte progettuali come partner o capofila devono dichiarare di essere in possesso di un piano per l’uguaglianza di genere, corrispondente a una serie di requisiti di processo e di contenuto come illustrato dalle linee guida della commissione (Figura1).

Il "progetto Casper" (Certification-award systems to promote gender equality in research) è stato uno dei progetti sui quali la Commissione europea ha puntato in vista della programmazione di strumenti a sostegno dell’uguaglianza di genere nel mondo europeo della ricerca e dell’innovazione: Casper ha infatti esaminato  tramite un solido e partecipato processo di ricerca, consultazione e co-design  la fattibilità della creazione di un sistema europeo di riconoscimento/certificazione dell'uguaglianza di genere per le università e le organizzazioni che svolgono attività di ricerca.

Tre scenari per la certificazione dell’uguaglianza di genere nella ricerca e nell’innovazione (i cosiddetti Gecas) sono stati sviluppati, tutti conformi ai requisiti richiesti dalla commissione per il criterio di ammissibilità a Horizon Europe sui Gep.

Il primo scenario (Euqual) prevede l'introduzione di un Gecas del tutto nuovo a livello di Ue, e rappresenta lo scenario più ambizioso per massimizzare l'impatto in termini di uguaglianza di genere e inclusività. Tale schema implicherebbe un sistema di punteggio progressivo (crediti), richiederebbe un rinnovo ogni 4 anni e integrerebbe una prospettiva intersezionale. Inoltre, valuterebbe sia il processo che i risultati dell'attuazione dei Gep.

Il secondo scenario (Gender equality strategy for researchers, Ges4r) propone di stabilire uno schema simile all’esistente e ampiamente diffuso Human resources strategy for researchers (Hrs4r), ma con un focus sull’uguaglianza di genere. Come Hrs4r, esso utilizzerebbe un semplice sistema di approvazione/bocciatura considerando principalmente il processo che è stato impostato all'interno delle organizzazioni per raggiungere gli obiettivi di uguaglianza di genere, senza valutarne i risultati.

La terza proposta suggerisce di utilizzare il noto e diffuso – anche internazionalmente – sistema di certificazione Athena SWAN e convertirlo in un Gecas a livello europeo. Dal punto di vista dei contenuti, questo scenario sarebbe simile a Euqual, prevedendo un sistema progressivo (in questo caso articolato su tre livelli: Bronze, Silver e Gold) e una valutazione sia del processo che dei risultati delle azioni sull’uguaglianza di genere. 

Un quarto scenario, infine, non prevede alcuna azione diretta da parte della Commmissione europea, attribuendo le responsabilità di una politica di certificazione per l'uguaglianza di genere alle autorità nazionali e alle parti interessate, con la commissione in un ruolo di armonizzazione e supporto. Una decisione è attesa da parte della commissione nei prossimi mesi riguardo l’adozione di uno degli scenari messi a punto e validati dal progetto Casper sulla creazione di un sistema di certificazione di livello europeo e specificamente pensato per il mondo della ricerca.

Figura1. Requisiti per l’ammissibilità ai finanziamenti di ricerca nell’ambito del programma Horizon Europe

Fonte: Horizon Europe guidance on gender equality plans, 2021

Uno dei più importanti fattori che influenzano la decisione di adottare un Gecas europeo e le percezioni dei diversi attori rispetto ai vari scenari sono i rispettivi contesti nazionali, come è emerso chiaramente durante la fase di validazione degli scenari e come era lecito aspettarsi date le considerevoli differenze tra le politiche di uguaglianza di genere negli stati membri dell'Ue. Mentre alcuni paesi (come Germania e Svezia) hanno disposizioni legali per piani di genere e infrastrutture di supporto, altri paesi (come Ungheria e Polonia) rifiutano apertamente di intervenire sull'uguaglianza di genere o di fornire risorse o supporto. In secondo luogo, i contesti nazionali, regionali e organizzativi sono importanti perché modellano l'attuazione delle azioni dei Gep e delle pratiche di uguaglianza in generale.

In questo quadro ci si può chiedere quale sia il valore potenziale di un approccio europeo alla certificazione, considerando non solo i paesi relativamente inattivi in ​​termini di uguaglianza di genere, ma anche quelli piuttosto avanzati. Quali argomentazioni potrebbero supportare l'unificazione e lo standard condiviso che un tale schema introdurrebbe, nonostante i quadri politici altamente diversificati tra i paesi?

La soluzione apparentemente più praticabile, rappresentata dal Hrs4r, che è già ampiamente adottato in Europa, potrebbe essere utile, ad esempio, in relazione al criterio di ammissibilità che prevede l’esistenza di un piano di genere per accedere ai finanziamenti di Horizon Europe. Dai paesi centro-orientali e balcanici sono state evidenziate le opportunità che anche un'iniziativa di certificazione più “di base” come il Ges4r (come schema gemello del Hrs4r) potrebbe rappresentare, compensando in parte la mancanza di iniziative ufficiali nazionali e l'ostilità politica verso l’uguaglianza di genere in alcuni contesti.  

Invece, le persone intervistate nei paesi nordici sono quelle che considerano lo scenario che non prevede alcuna azione diretta da parte della Commissione europea in una luce più favorevole, poiché un nuovo schema, a meno che non sia molto ambizioso, risulterebbe essere controproducente, abbassando gli standard nazionali. Casper ha mostrato, insomma, come una certificazione europea comune dell'uguaglianza di genere potrà funzionare solo nella misura in cui verranno affrontate le disparità sottostanti in termini di infrastrutture di supporto in termini di competenze, strumenti e risorse. Diversamente, qualsiasi certificazione rischia di divenire un onere amministrativo (spesso sostenuto, paradossalmente, proprio da donne) con limitato impatto reale. 

In Italia, dove la storia delle politiche di genere risulta sostanzialmente allineata con gli sviluppi delle politiche europee, gli enti di ricerca pubblici e le università ricadono nell’applicazione del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (Dgls n° 198/2006) e della direttiva 2/2019 Misure per promuovere le pari opportunità e rafforzare il ruolo dei Comitati unici di garanzia nelle amministrazioni pubbliche emanata nel giugno 2019 dal Ministero della funzione pubblica. Questa prevede l’obbligatorietà dei piani per le azioni positive, assieme all’istituzione dei Comitati unici di garanzia.

Per quanto i piani per le azioni positive, focalizzati come sono su reclutamento, benessere organizzativo e anti-discriminazione, non si sovrappongano interamente alle aree di intervento e alle caratteristiche attese dai piani di genere nelle politiche europee, il contesto di policy si può considerare complessivamente in linea nel richiedere l’adozione di politiche che pianifichino interventi in un arco temporale determinato e che istituiscano meccanismi istituzionali di riferimento a presidio degli stessi.

A oggi, a seguito dell’effetto di spinta giocato dal requisito di ammissibilità sui piani di genere in Horizon Europe, il mondo della ricerca è già in fermento, come accade in molti altri paesi data anche la rilevanza dell’incentivo economico: la Conferenza dei rettori delle università italiane ha infatti già pubblicato a luglio 2021 il Vademecum per l’elaborazione del gender equality plan negli atenei italiani, sopperendo dunque a un bisogno di guida e supporto sul tema.

Inoltre, è recente l’istituzione di un sistema nazionale di certificazione della parità di genere (Legge 162/2021) che si intende applicare, entro il 2022 ad 800 piccole e medie imprese, integrato nella missione 5 del Piano nazionale di ripresa e resilienza intitolato Inclusione e coesione, tra le politiche per il lavoro, che destina a questa finalità 10 milioni di euro. La norma è stata presentata di recente e individua 6 aree di indicatori: cultura e strategia; governance; processi di risorse umane; opportunità di crescita in azienda neutrali per genere; equità remunerativa per genere; tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

La certificazione è legata a sgravi contributivi, punteggi premiali per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici, migliore posizionamento in graduatorie di bandi di gara. Per quanto si tratti di una politica ambiziosa, sono stati sollevati dubbi sulla gestione operativa dei processi stessi di certificazione, e sul ruolo atteso delle consigliere di parità in tal senso (si veda l’articolo di Tonia Stumpo già pubblicato su inGenere).

Nel caso a livello europeo la commissione dovesse optare per uno scenario di ‘non-azione’ e decidere di non creare alcuno schema di certificazione europeo, è verosimile che schemi di certificazione esistenti, anche di recente istituzione come quello menzionato potrebbero adattarsi alle esigenze specifiche delle organizzazioni di ricerca e accademiche, o quanto meno essere stimolati a farlo. Queste ultime, viceversa, potrebbero guardare con interesse agli schemi già esistenti, sotto la sempre più urgente necessità di dare prove tangibili di conformità con quello che è divenuto un requisito di accesso a una delle principali fonti di finanziamento della ricerca.

In un quadro in rapida evoluzione è difficile prevedere quali saranno le scelte di policy sia a livello europeo che da parte degli stati membri: mettere a disposizione strumenti e risorse, anche nella forma di sistemi di certificazione, può essere una leva di trasformazione, purché si tenga conto dei contesti e si prevengano sovrapposizioni e duplicazioni di sforzi che finirebbero con l’aumentare l’effetto cosiddetto di “box-ticking” ovvero di adesione puramente formalistica e dimostrativa alle politiche di genere. 

Riferimenti

Drew, E. (2022). Navigating unChartered waters: Anchoring Athena SWAN into Irish HEIs. Journal of Gender Studies, 31(1), 23–35.

Ní Laoire, C., Linehan, C., Archibong, U., Picardi, I., & Udén, M. (2021). Context matters: Problematizing the policy-practice interface in the enactment of gender equality action plans in universities. Gender, Work & Organization, 28(2), 575–593.

Tzanakou, C., Clayton-Hathway, K., & Humbert, A. L. (2021). Certifying Gender Equality in Research: Lessons Learnt From Athena SWAN and Total E-Quality Award Schemes. Frontiers in Sociology, 6.

Wroblewski, A. (2020). Report on Monitoring of ERA Priority 4 Implementation (Deliverable 3.2 of Genderaction Project). Institute of Sociology of the Czech Academy of Sciences.

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