Politiche

In Italia non è ancora stata approvata una legge che consenta a donne e uomini omosessuali di esercitare il proprio diritto di “fare famiglia”. Cerchiamo di capire perché

Famiglie a metà.
L'omogenitorialità in Italia

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foto Flickr/Danny Hammontree

La questione dei diritti e delle tutele per le famiglie omogenitoriali è un argomento di recentissimo dibattito politico-istituzionale e mediatico. Sul piano più squisitamente scientifico, l’ultimo decennio segna grossi passi in avanti: il numero di ricerche e studi pubblicati in tutto il mondo è in costante crescita e le diverse posizioni sull’argomento sono sempre più difficilmente sintetizzabili. Le famiglie omogenitoriali segnano un importante punto di partenza per ripensare il concetto e l’organizzazione della “forma familiare”[1]. Le funzioni genitoriali in esse esercitate mostrano che la coppia eterosessuale con figli ha smesso di essere l’unica via di accesso alla (ri)produzione sociale: la forma familiare “classica” costituisce solo una tra le variegate tipologie culturali che riempiono il crescente spazio di organizzazione della vita familiare. Uno spazio affollato da famiglie “vecchie” e “nuove”, con e senza figli, giovani e meno giovani, salde e fragili, piccole e ampie, a una o più generazioni, eterosessuali e non. La realtà delle famiglie omogenitoriali pone quindi interrogativi sulla capacità della politica (politic) e delle politiche (policies) italiane di comprendere un mutamento di tale portata supportando padri, madri e figli nella gravosa battaglia quotidiana del riconoscimento dei propri diritti; anzitutto di quelli genitoriali. Nel nostro paese il destino dei bambini delle famiglie omogenitoriali spesso dipende dalla “buona volontà” dei giudici. Questi bambini hanno, di fatto, due genitori ma la legge ne riconosce uno soltanto, quello biologico. Quello che ancora manca non è solo un riconoscimento formale dei ruoli, ma la possibilità di assegnare a queste famiglie l’insieme di tutti i diritti di cui beneficiano le altre forme familiari.  

Come è noto, in Italia non è stata ancora approvata una legge che consenta a donne e uomini omosessuali di esercitare il proprio diritto di “fare famiglia”. Vogliamo provare a spiegare perché.

Stime

Quante sono le persone omosessuali, le famiglie Lgbt e i figli cresciuti all’interno di tali famiglie in Italia? Iniziamo dicendo che non è facile rispondere alle seguenti domande perché, sul versante delle fonti dei dati, possiamo fare solo riferimento a stime. Ricordiamo infatti che, negli strumenti istituzionali e standardizzati di rilevazione dati − ad esempio i questionari utilizzati nelle indagini censuarie − è pratica eccezionale inserire una domanda tesa a rilevare l’orientamento sessuale, dando per scontato un orientamento e un desiderio eterosessuale diffuso e stabile. Nel nostro Paese, l’Istat ha condotto nel 2011 una rilevazione statistica sulle “Discriminazioni in base al genere, all’orientamento sessuale e all’appartenenza etnica” da cui emerge che circa un milione di persone si è dichiarato omosessuale o bisessuale[2]. Altri due milioni circa hanno sperimentato nella propria vita l’innamoramento o i rapporti sessuali o l’attrazione sessuale per persone dello stesso sesso. 

Ma, eccezion fatta per l’Istat e per altri, pochi, studi scientifici sul tema, in Italia la situazione langue. 

Quali diritti?

È emblematico il requisito dell’impossibilità, per legge, del genitore non biologico di poter riconoscere il proprio figlio oppure di affidarsi al giudice per assicurarsi la continuità relazionale-affettiva con i propri figli non biologici in caso di separazione. E ancora, sul versante del diritto privato, l’impossibilità di beneficiare di una parte della retribuzione del lavoratore deceduto o della pensione di reversibilità, o anche di eventuali benefits aziendali, dato che il beneficio è forzosamente legato al matrimonio. Possiamo dire che la famiglia omogenitoriale si trova a fronteggiare una presunta carica giusnaturalistica del concetto di famiglia, insidiosamente fissata nella formula della naturalità della società familiare eterosessuale. Appare chiaro che il pieno rispetto del principio della parità di trattamento[3] impone che i diritti e i benefici debbano, in situazioni di pari status – coniugi di differente o stesso sesso; registered partners dello stesso sesso o di sesso opposto; conviventi di fatto dello stesso sesso o di sesso opposto – essere garantiti a prescindere da qualsiasi discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. 

Un po’ di storia

Il dibattito sui diritti delle coppie e delle famiglie omogenitoriali in Italia è agli inizi, nonostante la questione sia esplorata da una ormai abbastanza ampia dottrina giurisprudenziale e letteratura scientifica. La politica italiana muove i primi passi verso l’universo Lgbt soltanto tra il 1988 e il 1996, quando si avvia un fievole dibattito sulla regolarizzazione delle unioni tra persone dello stesso sesso, senza matrimonio, e viene presentata una proposta di legge per ciascuna delle legislature di quel periodo. Tra il 1996 e il 2001 le proposte salgono a 8, mentre nella XV legislatura (2006-2008) vengono depositate 21 proposte e, per la prima volta nella storia politica dell’Italia, nel febbraio 2007 anche un disegno di legge, quello del governo Prodi sui cosiddetti Di.Co. (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi). Nel 2008, Renato Brunetta propone il testo di legge Di.Do.Re (Diritti e Doveri di Reciprocità dei Conviventi) che avrebbe dovuto regolamentare le unioni civili ma “senza oneri per lo Stato”, in particolare senza l’accesso alle pensioni di reversibilità. Cartina al tornasole, secondo Brunetta, per capire se il dibattito fosse allora, come oggi, legato a una sincera richiesta di diritti o a un mero assalto alla diligenza del welfare. Di governo in governo, di acronimo in acronimo, la debole e sporadica attenzione alle persone e alle famiglie omossessuali arriva fino all’attuale Parlamento, dove proprio in questi mesi si discute, con un profluvio di emendamenti, l’ennesima proposta di legge sulle unioni civili: la cosiddetta “legge Cirinnà”. Il testo disciplina le unioni civili per le coppie omosessuali, senza equipararle al matrimonio, e delinea le convivenze tra eterosessuali, che si chiameranno “contratti di convivenza”. 

Il tema della cittadinanza

In questo caotico “fare all’italiana”, il tema della cittadinanza delle famiglie omogenitoriali è gestito, parzialmente e non senza difficoltà, dai governi locali, attraverso la messa a punto e il riconoscimento di “prerogative” - trascrizione dei matrimoni, registro delle unioni civili, ecc. – che ancor oggi sono negate a livello nazionale, ma attuate con orgoglio e rivendicate dai “sindaci rainbow”. 

Inoltre, mentre in periodi di crisi economica le famiglie “tradizionali” possono contare sul sostegno sociale ed economico operato dal welfare state e dalle reti informali di cura, le famiglie omogenitoriali accedono al welfare solo per metà e non sempre riescono a fare affidamento sulle proprie reti sociali, spesso spezzate o lacerate dalla discriminazione e dal pregiudizio familistico. 

In sintesi, in Italia la possibilità di essere genitori a tutti gli effetti è preclusa socialmente e normativamente alle coppie di persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Questo, nonostante la giurisprudenza sia comunque orientata a supportare queste famiglie non ritenendo, per esempio, rilevante la circostanza dell’orientamento sessuale nei casi di affidamento di figli minori.

Soluzioni possibili

Dal punto di vista normativo, una delle soluzioni è proprio la necessità di provvedere al superiore interesse dei figli attraverso soluzioni giudiziali puntuali, ottenute di volta in volta in applicazione diretta di regole pretorie dedotte da principi costituzionali, senza mediazione legislativa di supporto. Insomma, lasciare ai giudici la responsabilità di concedere o rifiutare un diritto di cittadinanza alla famiglia omogenitoriale. Dal punto di vista sociale, le soluzioni sono molteplici. Un dispositivo per rompere il muro di gomma della politica e del parlamento italiano potrebbe essere rappresentato dalle “città arcobaleno”. Nella mise en oeuvre dei governi locali la capacità “sussidiaria” di implementare politiche e servizi di welfare a favore delle persone omosessuali è diventata uno strumento di effectiveness delle strategie europee di integrazione e non discriminazione. Da qui, la necessità di riguardare al modello delle città arcobaleno che, entro i molteplici e contraddittori processi di riorganizzazione degli Stati nazionali su scala europea, sviluppano, assieme all’associazionismo Lgbt, competenze, dispositivi e politiche necessarie per governare fenomeni complessi e territorialmente radicati come quello dei diritti delle famiglie omogenitoriali. Infine, finché i diritti delle persone e delle famiglie Lgbt resteranno dimezzati rispetto al resto del paese, un modo per bilanciare potrebbe essere quello di ridurre, con formule ed equivalenze di scala appropriate, il loro imponibile fiscale. Con il doppio effetto di costituire una compensazione, non solo simbolica, per le famiglie omogenitoriali e sperimentare un dispositivo metodologico per censirle.

Riferimenti bibliografici

C. Cavina, D. Danna (a cura di) (2009). Crescere in famiglie omogenitoriali, Milano: FrancoAngeli.

F. Corbisiero (2015). Mamme lesbiche e i loro bambini: percorsi di genitorialità (ad ostacoli) e reti arcobaleno in R. Parisi (a cura di) “Famiglie, omosessualità, genitorialità. Pratiche e narrazioni del vivere assieme”, Firenze: SEID editori.

F. Corbisiero (a cura di) (2015). Over the rainbow city. Towards a LGBT citizenship in Italy, New York-Milano.

F. Corbisiero (2014). “Omogenitorialità: azioni, politiche e strategie europee per le famiglie arcobaleno” in Voci. Annuale di scienze umane XI (2014): 11-23.

D. Déttore D., A. Parretta, (2013). Crescere nelle famiglie omosessuali. Un approccio psicologico, Roma: Carocci.

A.E. Goldberg, K.R. Allen (2013). LGBT-Parent Families. Innovations in Research and Implications for Practice, New York: Springer.

E. Ruspini, S. Luciani (2010). Nuovi genitori, Roma: Carocci.  

E. Ruspini (2015). Diversity in Family Life. Gender, Relationship and Social Change. Bristol: Policy Press.

NOTE

[1] Come sintetizzato da Ruspini e Luciani (2010) esse possono infatti nascere a seguito di: una ricomposizione familiare con un/una partner dello stesso sesso dopo un’unione eterosessuale; un sistema di co-genitorialità all’interno del quale gay e lesbiche si accordano per avere un figlio/a che verrà allevato/a − con modalità di compartecipazione che possono significativamente variare − nei due nuclei; un’adozione (vietata in Italia alle coppie dello stesso sesso); il ricorso alla procreazione assistita (vietata in Italia a single e a coppie omosessuali: Legge 40 del 2004). 

[2] Considerando l’intervallo di confidenza, si tratta di una stima che oscilla tra 889mila e un milione 220mila soggetti

[3] Art. 13 del Trattato di Amsterdam.