Dati

In Italia i dati sulle persone minori allontanate giuridicamente dalle famiglie di provenienza sono insufficienti e descrivono un paese in cui il modello del legame di sangue viene difeso contro ogni logica, anche quando il costo per le singole vite e per la società diventa molto alto

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fuori dalle famiglie
Credits Unsplash/Emma Tin

Uno dei luoghi comuni più ostinati sugli allontanamenti forzosi dei minori dalle loro famiglie di origine, rinsaldato anche dai casi di cronaca recente – come l'inchiesta giudiziaria denominata Angeli e Demoni che ha avuto origine a Bibbiano (in provincia di Reggio Emilia) –, è quello che vede l'Italia come un paese in cui le separazioni dalle famiglie nucleari si verificano con più frequenza e facilità di quanto non avvenga negli altri paesi.

Numeri alla mano, in Italia bambini, bambine e adolescenti che hanno avuto esperienza di un allontanamento forzato dalle famiglie di origine nel 2017 sono stati il 2,8 per mille del numero totale delle persone di minore età, vale a dire 27.111. 

Se il numero sia alto o basso lo si può capire da un confronto internazionale: lo stesso dato è del 10,4 per mille in Francia, del 10,5 per mille in Germania, del 6,1 per mille in Inghilterra e del 4,4 per mille in Spagna.[1] 

In Europa, dopo la Grecia (1,1 per mille), siamo quindi il paese che dispone meno allontanamenti. Di fatto, si può affermare che l'Italia abbia un atteggiamento piuttosto prudenziale rispetto agli allontanamenti come misura di protezione giuridica e sociale disposta dall'autorità giudiziaria nelle situazioni di estrema gravità e a elevato rischio psico-fisico per bambini, bambine e adolescenti – questo ancor prima che il caso di Bibbiano esplodesse in tutto il suo fragore mediatico. 

I dati più recenti, del 2021, indicano l'Italia come il fanalino di coda nelle disposizioni degli allontanamenti (in valori assoluti), anche rispetto a paesi con una popolazione inferiore come la Spagna o la Polonia. Tuttavia, anche in relazione a paesi che hanno una popolazione superiore a quella italiana, come la Germania, è evidente come non si possa rilevare una proporzionalità diretta ragionevole.

Figura 1. Minori fuori dalla famiglia di origine per paesi europei, in strutture di protezione e in affido familiare

minori fuori dalle famiglie
Fonte: DataCare project, 2021

La domanda allora è se l'Italia sia più virtuosa nel riconoscere e prevenire situazioni di rischio per bambini, bambine e adolescenti e a sostenere le famiglie in difficoltà.

La risposta è che, probabilmente, i valori più bassi che si registrano nel nostro paese siano da attribuire non tanto all'efficacia delle nostre istituzioni nel contenere il numero di allontanamenti forzati rispetto agli altri paesi, quanto, piuttosto, a misure di protezione e prevenzione per l'infanzia e l'adolescenza meno tempestive, con la conseguenza che i minori permangono di più e più a lungo all'interno di situazioni e contesti familiari disfunzionali. 

Persistono nel nostro paese ancoraggi patriarcali e pregiudizi familisti, in base ai quali i legami di sangue sono inviolabili e in cui lo stereotipo della maternità oblativa, intesa come atto completamente gratuito, resiste senza zone d'ombra. 

Stereotipi culturali e luoghi comuni appartengono però anche alle istituzioni di protezione, come i servizi territoriali e i tribunali per i minorenni, che rischiano di condannare le persone di minore età in difficoltà legandole irreversibilmente alle loro famiglie: o perché non si allontanano in tempo utile o perché, una volta allontanate, non si recidono i legami familiari, anche se così irrimediabilmente compromessi da pregiudicare un rientro in tempi ragionevoli.

Quel che rimane, allora, è il limbo in cui la burocrazia congela bambini, bambine, ragazze e ragazzi, che in certi casi assume denominazioni inverosimili, come quella di "stato di semiabbandono permanente". 

Alcuni studi nazionali e internazionali rilevano che, invece, la tempestività degli interventi è fondamentale affinché l’allontanamento si configuri come uno strumento di tutela e non come la soluzione a un problema.[2]

Infatti, ampliando le risorse di cura – ad esempio con un affido familiare – bambini e bambine nella prima infanzia (0-3 anni) hanno maggiori probabilità di rientro efficace nella famiglia di origine, beneficiando, allo stesso tempo, di minori conseguenze dovute al tempo prolungato in un ambiente pregiudizievole. 

Gli allontanamenti tardivi, invece, anche in famiglie affidatarie, possono far prefigurare maggiori problemi per le persone di minore età, e contribuiscono a ridurre le probabilità del reinserimento nelle famiglie di origine, anche per via delle più scarse possibilità, da parte di queste ultime, di recuperare le capacità genitoriali. 

Nel 2020 gli affidamenti familiari di tipo giudiziario, cioè senza il consenso e la collaborazione della famiglia di origine, sono stati oltre l'80% del totale, e sono rientrate in famiglia, complessivamente, il 31,7% delle persone di minore età che erano in affidamento familiare e il 27,4% di quelle ospiti nei servizi residenziali.

Ma quante sono e come sono distribuite le persone di minore età temporaneamente fuori dalla famiglia di origine? I dati sull'Italia, dove è ancora assente l'istituzione di una banca dati nazionale sulle persone di minore età prive di un ambiente familiare, sono aggiornati al 31 dicembre 2020 (ultimo dato disponibile) ne registrano, complessivamente, 26.223 (dato al netto dei Minori non accompagnati).[3] 

Di queste, 12.815 sono in affidamento familiare – con la maggioranza, il 57,3%, in affidamento etero-familiare e il 42,7% in affido familiare presso parenti – di cui 51,6% bambini o ragazzi e il 48,0% bambine o ragazze, a fronte di 13.408 accolte nei servizi residenziali, di cui il 60,2% bambini o ragazzi e il 39,2% bambine o ragazze. 

Occorre sottolineare che dal 2019, con un trend purtroppo in controtendenza rispetto agli ultimi 15 anni, gli inserimenti nei servizi residenziali superano gli affidamenti familiari.

Figura 2. Minori in affido familiare e nei servizi residenziali. Anni 2010, 2015, 2020.

minori in affido
Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Per ciò che concerne le fasce di età delle persone minori fuori dalle famiglie di origine nel 2020, quasi il 60% di quelle che sono in affido familiare ha un'età superiore agli 11 anni (il 28% ha un'età compresa tra i 15 e i 18 anni non compiuti), mentre, fra quelle ospitate nei servizi residenziali per i minori, oltre il 66% supera gli 11 anni di età (e il 45,4% ha tra i 15 e i 18 anni non compiuti). Ha, invece, un'età compresa fra 0 e 2 anni il 4,3% di neonati, neonate, bambine e bambini in affidamento familiare e il 7,8% di quelli inseriti nelle strutture di protezione.

Infine, è utile ribadire l'importanza dei dati per comprendere l'esito delle traiettorie di collocamento delle persone minori fuori dalla famiglia di origine in carico al sistema di protezione. Servirebbero, a questo proposito, oltre ai dati di stock (relativi a un determinato momento di osservazione del fenomeno), anche dati di flusso (relativi all'osservazione del fenomeno in determinato arco di tempo) delle persone minori e la realizzazione di studi longitudinali sui processi di cambiamento che intervengono nelle vite di bambini, bambine, ragazze e ragazzi a partire dalla mobilità (e dalla  frequenza di cambiamento) nelle famiglie e all'interno del sistema di protezione.

Note

[1] Dati al 31/12/2017 (per UK al 31/03/2018). Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2020), "Quaderni della Ricerca Sociale", n. 46: Bambini e ragazzi in affidamento familiare e nei servizi residenziali per minorenni. Esiti della rilevazione coordinata dei dati in possesso delle Regioni e Province autonome. Anno 2017, Istituto degli Innocenti, Firenze. 

[2] Feldman 2004; Vincent 2010; Lee et al. 2012; Ricchiardi 2022.

[3] I dati disponibili sul fenomeno sono recuperabili da tre monitoraggi nazionali su questo target, le cui banche dati, però, non dialogano fra loro: la rilevazione annuale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di bambini, bambine, ragazze e ragazzi in affidamento familiare e nei servizi residenziali per persone minorenni attraverso i dati in possesso delle Regioni e Province autonome; la raccolta dati sperimentale sulle persone minori accolti nelle strutture residenziali elaborata dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza con le procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni; la quota "minori" nell’indagine Istat sulle Strutture residenziali socio-assistenziali e socio-sanitarie.