La strada per il riconoscimento del diritto di voto alle donne è stata lunga e piena di ostacoli. Una storia che inizia assai prima di quello che molte ricordano come "un giorno bellissimo"
Un giorno bellissimo. La lunga
storia del voto alle donne
"Teresa Mattei… la più giovane deputatessa italiana alla Costituente ha molti bei riccioli bruni e due begli occhi vivi e ha venticinque anni: è nata a Genova, ha studiato a Milano, e a Firenze si è laureata in filosofia, durante la lotta clandestina". Con queste parole il quotidiano Il Messaggero descriveva nel 1946 una delle prime donne elette in Italia. Ma la strada per giungere a quel momento era stata lunga, anzi lunghissima, impervia e piena di ostacoli.
Durante la rivoluzione francese viene sancita per la prima volta l'uguaglianza di tutti gli uomini: ciò si traduce nella concessione del suffragio universale maschile, mentre ci si dimentica delle donne, che pure avevano partecipato al movimento rivoluzionario. Non a caso, nel 1791, la scrittrice Olympe de Gouges redige una Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina sostenendo che "La donna nasce libera e ha uguali diritti all’uomo" e reclamando quindi anche il diritto di voto. Olympe finisce ghigliottinata.
Durante l'800, quasi ovunque viene affidato ai parlamenti interpreti della sovranità generale il compito di garantire diritti e doveri all'interno dello Stato. Ma nonostante l’affermazione formale del principio di uguaglianza, si ammettono trattamenti discriminatori fondati su "oggettive" differenze tra i cittadini, ad esempio le differenze di sesso. Alle donne è proibito partecipare al governo della nazione, non possono votare né essere votate. Si diffondono quindi a livello mondiale i movimenti delle suffragette. Non di rado, poi, questi movimenti legano le loro rivendicazioni alla questione dell'istruzione femminile, spesso trascurata e considerata inutile, se non addirittura pericolosa.
Grazie alla tenacia delle suffragette, agli inizi del '900 le donne conquistano i diritti elettorali in Australia, Norvegia, Finlandia (in Nuova Zelanda già nel 1893). In Italia si susseguono diverse proposte di legge: in tutto quasi una ventina. Nessuna ottiene successo. E se nel 1912 il governo Giolitti concede il suffragio universale maschile, contemporaneamente si ribadisce la non convenienza del voto femminile, parziale o universale che sia.
Una prima svolta sembra avvenire dopo la prima guerra mondiale e la mobilitazione delle donne sul "fronte interno". Nel 1919 la Camera approva una proposta per concedere alle cittadine i diritti elettorali; ma la legislatura si chiude prima che la questione passi al Senato. I successivi tentativi decadono finché nel 1925, sotto Mussolini, il parlamento concede alle donne il voto amministrativo, che resta però senza attuazione a causa all'abolizione delle elezioni per gli enti locali. Nel frattempo il suffragio femminile si estende in Russia, in Inghilterra, in Germania, in Svezia, negli Stati Uniti, in Spagna e in Portogallo. Ma nel nostro paese si deve attendere la fine di un'altra tragedia di proporzioni devastanti, la seconda guerra mondiale.
È proprio in questo conflitto che le italiane conquistano un'autorevolezza mai riconosciuta prima. Tutte si mobilitano. Alcune sono direttamente impegnate nella resistenza armata: come le "gappiste", partigiane combattenti che attaccano il nemico con le armi in pugno al pari degli uomini; o le "staffette", che trasportano informazioni tra i vari reparti partigiani. Molte altre forse meno celebrate ma non meno importanti sono impegnate nella "resistenza civile": offrono sostegno, diffondono materiale propagandistico, nascondono ebrei, oppositori, fuggiaschi e partigiani, svolgono ruoli di mediazione o si prodigano per ottenere il rilascio di prigionieri politici. Per di più, si organizzano: nascono i Gruppi di difesa della donna (1943), l'Unione delle donne italiane e il Centro italiano femminile (1944). Nasce infine un Comitato pro voto.
Così il 1 febbraio 1945 in un'Italia ancora parzialmente occupata dai nazisti a nord e invasa dagli angloamericani a sud il governo presieduto da Ivanoe Bonomi decide di emanare il decreto legislativo luogotenenziale n.23: finalmente le donne potranno votare. La prima concreta occasione arriva un anno dopo, il 10 marzo 1946, con le elezioni amministrative per la ricostituzione dei comuni. Le elettrici rispondono in massa e l’affluenza femminile alle urne supera l’89%. Oltretutto, non solo le donne votano, ma sono anche votate: circa 2.000 candidate conquistano un seggio nei nuovi consigli comunali.
Finché arriva il giorno del referendum del 2 giugno 1946: si deve scegliere tra monarchia e repubblica, e votare contemporaneamente i rappresentanti all'assemblea costituente che discuterà la nuova carta costituzionale italiana. Riescono a essere elette alla Costituente 21 donne: 9 della Democrazia Cristiana, 9 del Partito Comunista, 2 del Partito Socialista e 1 dell’Uomo Qualunque. Sono 21 donne su 556 deputati, pari al 3,7% del totale. Poche forse ma già tantissime per la loro carica simbolica, per la rottura che rappresentano con il passato.
Qualcuna ricordava così l'emozione di quel giorno: "credo che le mani mi tremassero"… "nella cabina di votazione avevo il cuore in gola"… "avevo paura di sbagliarmi fra il segno della repubblica e quello della monarchia"… "forse solo le donne possono capirmi: e gli analfabeti. Era un giorno bellissimo….”.
Certo, ai diritti politici conquistati nel '46 non corrisponderà per molto tempo la pienezza dei diritti civili, che saranno ottenuti molto lentamente: la tutela delle lavoratrici madri (1950); l’ingresso delle donne nell’amministrazione della giustizia (1956); il divieto di licenziamento per matrimonio (1963); l’abrogazione del reato di adulterio (1968) e poi del delitto d'onore (1981); la legge sul divorzio (1970); il nuovo diritto di famiglia (1975); l’aborto (1978). Come pure la parità di trattamento di uomini e donne sul lavoro (1977), che ancora stenta a essere pienamente riconosciuta. Ma quel 2 giugno di settant'anni fa iniziò finalmente il percorso delle donne italiane verso una piena cittadinanza.
Senza dubbio, fu davvero "un giorno bellissimo".
Leggi lo speciale di inGenere per il settantesimo anniversario del voto alle donne